Periti assicurativi e RNPA: professione protetta o da proteggere?

AutoreAnnunziata Candida Fusco
CaricaAvvocato, Foro di Nola
Pagine865-878

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1. Premessa

Il dibattito mai sopito, dai toni accesi e poco cortesi, che si è sviluppato a partire dall’entrata in vigore della L. 166/92 tra categorie di professionisti di diversa formazione, impegnati ad operare nel settore della RCA, sembra non riuscire a trovare, ancor oggi, una soluzione, come attestano recenti schermaglie intervenute tra ingegneri e periti industriali da un lato e periti assicurativi dall’altro 1. Tra indebita appropriazione di ruoli e competenze, riforme in corso e riforme da fare, i dubbi sembrano aumentare e le opinioni proliferare. Spesso dimenticando che, pur nel disordine delle leggi, a far da guida sono sempre e comunque le norme ed i principi che da esse promanano.

Principi regolatori di una determinata materia o, in mancanza, principi generali dell’ordinamento giuridico. Le problematiche che, ancora una volta, si pongono all’attenzione dell’interprete, sono le seguenti: Quesito n. 1. Se sia possibile per i periti industriali e gli ingegneri, non iscritti al RNPA, svolgere attività di accertamento e stima dei danni alle cose derivanti dalla circolazione, dal furto e dall’incendio dei veicoli a motore e dei natanti soggetti alla disciplina della L. 990/69 e succ. mod., vista la riserva in favore dei periti assicurativi ex art. 156 D.L.vo 209/2009.

Quesito n. 2. Se, viceversa, sia possibile per i periti assicurativi ex art. 156 cit., svolgere attività di analisi e ricostruzione di sinistri stradali ovvero se tale attività sia riservata a periti industriali ed ingegneri, iscritti nei rispettivi albi.

Quesito n. 3. Se sia necessaria l’iscrizione al RNPA per i periti industriali e gli ingegneri che intendano accettare incarichi di ctu ai sensi degli artt. 61 e ss. c.p.c. in materia di infortunistica stradale (sia per l’accertamento e la stima dei danni che per la ricostruzione dei sinistri).

2. Introduzione

L’art. 2229 c.c. (esercizio delle professioni intellettuali), prevede, al comma 1, che “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”.

“L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi e negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali …2 (comma 2).”

Art. 2231 c.c. (mancanza d’iscrizione): “Quando l’esercizio di una attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione” (primo comma) 3.

Art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione) Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516 4.

Alla luce della normativa citata, i principi elaborati dalla costante giurisprudenza in materia possono così brevemente sintetizzarsi.

Premessa la distinzione tra professioni intellettuali protette e non protette, soltanto alle prime si applicano le norme di cui agli artt. 2229 e ss. c.c. e 348 c.p.5.

Sono protette tutte quelle professioni per il cui esercizio la legge richiede l’iscrizione in un albo, previo superamento dell’esame di Stato (art. 33, co. 5, Cost.), con successiva soggezione degli iscritti al potere disciplinare di un ordine o collegio (presenti a livello nazionale e locale), cui viene riconosciuto altresì il potere di autodeterminazione delle tariffe.

3. Sul piano civile

Le norme che prescrivono l’abilitazione di Stato sono norme imperative, poste a tutela di interessi generali: la loro violazione determina illiceità dell’attività e dunque degli atti posti in essere.

È attività professionale l’attività esercitata con carattere di stabilità, abitualità, continuatività.

Si ha esercizio abusivo di attività professionale, ai sensi degli artt. 2229 e ss. c.c., in caso di esercizio abituale, continuativo, stabile di attività professionale protetta senza il rispetto della normativa citata. Più precisamente, si ritiene che l’art. 2231 c.c., che prevede come conseguenza dell’esercizio abusivo dell’attività la preclusione del diritto all’azione giudiziaria per il recupero del compenso, si applichi nei seguenti casi: a) a chi svolga l’attività professionale

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protetta senza aver superato l’esame di Stato e quindi senza essere iscritto all’albo; b) al professionista iscritto che esercita attività espressamente riservata ad altra categoria professionale (protetta). Non trova, invece, applicazione quando il professionista eserciti attività non prevista tra le sue proprie competenze, ma non riservata ad altra categoria professionale protetta, sebbene abitualmente svolta da quest’ultima. In questo caso, la mancanza di riserva rende quella attività liberamente praticabile da chiunque.

In presenza di attività comuni a più professioni, ma espressamente riservate ad una professione (protetta) in particolare, qualora vi siano dubbi interpretativi sull’ambito di estensione delle competenze, la Cassazione ha precisato: “Il libero professionista può compiere anche attività comuni all’area di esercizio di altre professioni, a condizione che le suddette attività: a) abbiano formato oggetto dell’esame di abilitazione professionale6; b) non siano riservate dalla legge esclusivamente ad altre categorie professionali7” e sempre che essa attività sia preordinata al conseguimento di un risultato finale proprio della sua attività; dovendosi escludere tale legittimazione qualora l’attività riservata (e non vietata) costituisce l’oggetto finale dell’attività professionale (diversa): in questo caso si verificherebbe una non consentita ingerenza nel settore di attività riservato ad altro professionista (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1999, n. 7023, su cui meglio infra alla nota 14).

Le conseguenze dell’esercizio abusivo della professione, sul piano civile, sono dunque le seguenti: nullità ex art. 1418 c.c. del contratto d’opera professionale intercorso tra il cliente ed il professionista incaricato (per contrasto con norme imperative); nullità dell’attività svolta; impossibilità per il professionista di esercitare l’azione per il recupero del suo compenso (nemmeno con l’azione di indebito arricchimento: Cass. 10937/99); impossibilità per il cliente di azionare i rimedi previsti in materia di responsabilità professionale.

4. Sul piano penale

Fermi i principi di cui innanzi, anche la giurisprudenza penale precisa che integra il reato di cui all’art. 348 c.p. (esercizio abusivo di una professione) “il soggetto che esercita un’attività professionale per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, senza i necessari titoli autorizzativi” (Trib. Nola 17 dicembre 2007; v. anche Cass. pen. 20 giugno 2007, n. 34200; Cass. pen. 23 gennaio 2007, n. 6887), nonché chi, pur iscritto in albo professionale, esercita attività riservata ad altra categoria (supra nota 3). “Ne deriva che la tutela in esame si estende soltanto agli atti propri o tipici delle suddette professioni in quanto alle stesse riservate in via esclusiva e non anche agli atti che, pur essendo in qualche modo connessi all’esercizio professionale, difettano di tipicità nel senso sopra indicato, perché suscettibili di essere posti in essere da qualsiasi interessato” (Cass. pen. 6 febbraio 1985, n. 1207; Cass. 20 giugno 1985, n. 6157; Cass. pen. 24 agosto 1990, n. 11794; Cass. 781/95; Cass. 21 novembre 2006, n. 3627).

“L’art. 348 c.p., che punisce il reato di abusivo esercizio di una professione, ha natura di norma penale in bianco, in quanto presuppone l’esistenza di altre disposizioni, integrative del precetto penale, che definiscono l’area oltre la quale non è consentito l’esercizio di determinate professioni” (Cass. pen. 21 febbraio 1997, n. 1632; v. anche Cass. pen. 10 gennaio 1990, n. 59; Trib. Nola 23 febbraio 2005).

La Cassazione penale ha ribadito ripetutamente che “ai fini della sussistenza del delitto di esercizio abusivo di una professione, non è necessario il compimento di una serie di atti riservati ad una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione, ma è sufficiente anche il compimento di una isolata prestazione professionale” (Cass. pen. 7 maggio 1985, n. 4349; v. anche Cass. 10 ottobre 2007, n. 42790; contra: Cass. pen. 8 ottobre 2002, n. 49; Cass. pen. 24 ottobre 2005, n. 7564; Cass. pen. 5 luglio 2006, n. 26829; Cass. pen. 8 ottobre 2002, n. 49).

Viene da chiedersi, a questo punto, che tipo di tutela ricevono quelle professioni, che, pur disciplinate da un’apposita legge, non costituiscono professioni protette. Copiosa a riguardo è la giurisprudenza che si è formata, ad esempio, intorno alla figura degli agenti (di assicurazione in particolare) e dei mediatori (assicurativi e non solo), figure professionali unanimemente riconosciute come non protette e, pertanto, fuori dall’ambito di applicazione delle norme civili e penali citate.

Orbene, per quanto non protette, si tratta pur sempre di professioni tutelate, in quanto comunque regolamentate da apposite leggi che ne controllano l’accesso al settore e ne disciplinano le modalità minime di svolgimento, spesso prevedendo poteri disciplinari in capo ad organi dello Stato nonché l’irrogazione di sanzioni anche penali a carico dei trasgressori. Sebbene esse non introducano una riserva di attività nel senso propriamente...

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