Il Sistema di valutazione delle performance delle strutture, della dirigenza e del personale nella riforma della pubblica amministrazione

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine99-109

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@3.1. Valutazione e misurazione: prescrizioni legislative e bisogni organizzativi

Elemento strategico del processo di «riforma organica» avviato dalla L. n. 15/2009, ed attuato dal D.Lgs. n. 150/2009 è da individuarsi nella definizione di un complesso «sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti» (art. 2, comma 1), concettualmente alternativo, piuttosto che integralmente sostitutivo, dei ben noti meccanismi e strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, dettati dal D.Lgs. 30 luglio 1999 n. 286. Com’è noto, infatti, è proprio in virtù di quest’ultimo decreto che le amministrazioni si sono dotate nel tempo – almeno sul piano formale – di un sistema articolato di strumenti destinati a: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); b) verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione); c) valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza); d) valutare, infine, l’adeguatezza – in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti – delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico (valutazione e controllo strategico).

L’introduzione di un innovativo sistema di valutazione conferma, per un verso, l’ormai consolidata e condivisa opzione legislativa per una amministrazione orientata al risultato (senza però trascurare una recentemente rinnovata attenzione al procedimento ed ai suoi ritmi1); perpetua tuttavia, per altro verso, il paradosso dell’introduzione per via di autorità esterna di strumenti propriamente interni ad ogni organizzazione complessa, o almeno di ogni organizzazione che voglia tracciare esattamente sulla mappa la posizione occupata e dunque la rotta da seguire per entrare in porto. Da qui l’evidente rischio di congelare in un ‘freddo’ ordito normativo (ad alto rischio di inef fettività) ciò che invece dovrebbe costituire “il cuore pulsante” di ogni sistema organizzato, ovvero di tradurre e ridurre in mero adempimento formale (viepiù sollecitato dalla notevole produzione documentale che sembra caratterizzare il nuovo sistema) ciò che invece dovrebbe informare ed animare la cultura interna dell’organizzazione e dei singoli che in essa si trovano ad operare. Ciò vale, in particolare, se si considera l’am- Page 100 bizione del legislatore di «assicurare», mediante l’introduzione legislativa di un sistema di valutazione, «elevati standard qualitativi ed economici del servizio»2 in funzione del «soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi e degli interventi»3.

@3.2. Obiettivi, Risultati, performance

Costituisce oggetto precipuo di valutazione la c.d. performance, così potendosi intendere (almeno in prima approssimazione) il grado con il quale un sistema (organizzato o semplice) realizza gli obiettivi definiti e ad esso assegnati (in via autonoma o eteronoma). A tale stregua, deve sottolinearsi, fin da subito ed in via generale, la stringente correlazione tra definizione degli obiettivi e misurazione della performance, essendo del tutto evidente l’inanità, in assenza di una chiara e preventiva statuizione di obiettivi, della selezione di coerenti ed adeguati indicatori di valutazione. L’osservazione può appare (e forse lo è) di assoluta banalità, ma essa manifesta intera la sua pregnanza ove si rifletta (ad esempio) non solo sulla valutazione della prestazione dirigenziale (là dove è ragionevole ritenere che la corretta definizione degli elementi contenutistici del provvedimento di incarico costituisca il presupposto stesso della valutazione di quella prestazione nelle pp.aa.4), ma anche, e ancor prima, sulla stessa valutazione della performance di una struttura organizzata. A tale stregua, è ragionevole ritenere che la definizione della mission istituzionale (concretamente riletta alla luce delle «priorità politiche» e delle «strategie dell’amministrazione»5) costituisca presupposto e condizione per l’attivazione dei sistemi di valutazione e questi, a loro volta, occasione per una ridefinizione ragionata di quelle stesse priorità e strategie.

Intese in questa prospettiva, le disposizioni contenute nel titolo II del D.Lgs. n. 150/2009 sembrano rappresentare la chiave di volta per una ridefinizione sistemica della governance interna delle pp.aa., consentendo di riportare ad unitarietà (logica, prima ancora che giuridica) tanto i diversi microsistemi normativi (in particolare quelli in materia di retribuzione e di responsabilità, ma anche quelli riguardanti la contrattazione collettiva e la gestione dei relativi flussi finanziari), quanto i differenti ed ambiziosi obiettivi del legislatore riformatore. Tali sono, per esplicita disposizione dell’art. 3, co. 1, il miglioramento della qualità dei servizi offerti, la valorizzazione del merito, la trasparenza dei risultati e delle (informazioni sulle) risorse impiegate per il loro perseguimento, il «soddisfacimento dell’interesse» (da non confondere con la mera soddisfazione per la qualità organizzativa) del destinatario dei beni prodotti e dei servizi erogati. In tale duplice enfatizzazione – delle differenze meritocratiche da un lato e della rendicontazione sociale del servizio pubblico dall’altro lato – trova ulteriore conferma normativa (pur nell’attesa di una necessaria conferma operativa) l’essenziale ragion d’essere di ogni p.a., quella cioè di essere funzione (per) e non potere (su).

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@3.3. Il Ciclo di gestione delle performance, la definizione degli obiettivi e il Piano di performance

Architrave del sistema di valutazione è il c.d. «ciclo di gestione della performance» (da ora CGp), disciplinato dal capo II del titolo in esame6. Il tratto essenziale del CGp è segnato proprio dalla sua ciclicità, ovvero, più esattamente, dal carattere di circolarità virtuosa tra le fasi che lo compongono.

In effetti, il CGp ha inizio con una prima fase caratterizzata, per un verso, dalla definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dalla correlata individuazione dei valori attesi in ordine al risultato, nonché dalla specificazione dei relativi indicatori, e segnata, per altro verso, dalla correlata allocazione delle risorse (umane, strumentali e finanziarie) disponibili.

A tale fase ne segue una seconda, deputata, per un verso, al monitoraggio ed alla valutazione, sulla base degli indicatori predefiniti, delle performance organizzativa ed individuale, cioè del grado di raggiungimento in concreto del risultato perseguito, e conseguentemente finalizzata, per altro verso, all’utilizzo dei sistemi premianti secondo criteri di valorizzazione del merito. A tal riguardo, occorre fin da subito sottolineare che il conseguimento degli obiettivi «costituisce condizione per l’erogazione degli incentivi previsti dalla contrattazione collettiva»7.

Terza ed ultima fase è data dalla rendicontazione sociale ed istituzionale (accountability) dei risultati conseguiti, per via della comunicazione di questi tanto agli organi di indirizzo politico-amministrativo ed ai vertici delle amministrazioni, quanto ai «competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti ed a destinatari dei servizi». Va da sé, benché comunque sia stato esplicitamente previsto dal legislatore, che il CGp deve essere «sviluppato in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziaria e del bilancio». pietra d’angolo del CGp è data dall’individuazione degli obiettivi. Ai sensi dell’art. 5, gli obiettivi sono programmati su base triennale (co. 1), ma concretamente devono essere «riferibili ad un arco temporale determinato, di norma corrispondente ad un anno» (co. 2, lett. d): in tale prospettiva si comprende la distinzione, utilizzata dal legislatore, tra obiettivi intermedi e finali. Gli obiettivi sono formalmente definiti dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, «sentiti» i vertici dell’amministrazione «che a loro volta consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative». Esclusa ogni forma di negoziazione tra politici e dirigenti e riportato il potere di scelta strategica – com’è pure giusto che sia – nella mani degli organi di indirizzo, il legislatore ha cura di precisare che gli obiettivi formalizzati debbono presentare alcune caratteristiche essen- ziali e cioè risultare: coerenti con quelli di bilancio; rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettività, alla missione istituzionale, alle priorità politiche ed alle strategie dell’amministrazione (per quanto, essendo definiti dagli organi di indirizzo politicoamministrativo, è difficile ipotizzare un obiettivo non coerente con le priorità politiche e strategiche dell’amministrazione); specifici e misurabili «in termini concreti e chiari», al fine di assicurare condizioni ottimali per la valutazione interna ed esterna; tali da Page 102 determinare, all’effetto, un «significativo miglioramento della qualità» dei servizi erogati; correlati alla quantità ed alla qualità delle risorse disponibili; commisurati a valori di riferimento standard; confrontabili, infine, ove possibile, con gli andamenti triennali della produttività della stessa amministrazione (co. 2, lett. a-g).

Gli obiettivi devono essere formalizzati, entro il 31 gennaio, in un documento programmatico triennale denominato “piano della performance” (da ora pp), che per le amministrazioni dello stato «contiene» anche la direttiva annuale prevista dall’art. 14, co. 1, lett. a, D.Lgs. n. 165/2001. Nel pp devono essere analiticamente individuati...

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