Il percorso dell'armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?

AutoreFrancesco Macario
Pagine71-101

Il presente contributo costituisce la rielaborazione, con il necessario apparato dei riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, della relazione introduttiva dell'incontro "La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE", tenutosi a Ferrara il 12 dicembre 2008, per iniziativa del prof. Giovanni De Cristofaro (che ringrazio per l'autorizzazione alla pubblicazione del contributo anche in via autonoma rispetto agli atti del convegno, editi mentre il presente lavoro era in fase di pubblicazione, La nuova disciplina europea del credito al consumo, a cura di De Cristofaro, Torino, 2009).

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1. iniziato nell'ormai lontano 1986 con la direttiva 87/101/Cee (del Consiglio del 22.12.1986) modificata, di lì a poco, con la successiva direttiva 90/88/Cee (del Consiglio del 22.2.1990), l'iter normativo europeo del credito al consumo avrebbe dovuto trovare compimento con la recente direttiva 2008/48/Ce (del 23.4.2008), abrogativa e sostitutiva della precedente disciplina comunitaria. L'uso del condizionale deriva dal fatto che la chiarezza, tanto delle ragioni quanto delle intenzioni alla base dell'intervento normativo europeo, non sembra trovare riscontro, nel senso di una pari chiarezza e completezza, sia nelle tecniche redazionali, sia nei contenuti della direttiva1.

Di qui il dubbio, indicato dall'interrogativo formulato nel titolo, che quello attuato con la direttiva 2008/48 possa essere davvero l'intervento conclusivo del percorso iniziato in sede comunitaria oltre un ventennio addietro e che, probabilmente Page 72 ancora di più rispetto ad altri itinerari legislativi sulla via della tutela del consumatore, rappresenta emblematicamente la difficoltà di costruire una disciplina giuridica protettiva (dei diritti di una categoria soggettiva già di per sé estremamente variegata) davvero omogenea in ambito europeo, soprattutto in una vicenda che vede le componenti socio-economiche del fenomeno 'consumeristico' svolgere un ruolo particolarmente forte e, secondo i contesti - anche temporali, come insegna la crisi economico-finanziaria globale, che muta gli scenari di partenza e incide decisivamente in peius, rispetto alla cornice originaria, sulla concessione del credito, così come sui consumi -, destinate a permanere, inevitabilmente, diverse a seconda del quadro d'insieme. In questo senso, la disciplina del credito al consumo rivela la sua natura ambigua, all'un tempo strumento di tutela del consumatore quale parte debole del rapporto, ma anche elemento propulsivo e incentivante, o alternativamente, disincentivamente nell'erogazione del credito in questa forma, sicché a fondamento di una qualsiasi regolamentazione dell'attività, che incide sulla strutturazione della disciplina degli atti e dei contratti posti in essere nell'esercizio di tale attività, rimane l'opzione politico-economica sulla spinta da dare (o non dare) all'indebitamento del consumatore. In termini giuridici, l'incrocio tra la disciplina dell'attività d'impresa - relativamente a tutti i soggetti coinvolti: finanziatori e intermediari - e le regole del contratto, di cui è parte il consumatore che esige ormai il rispetto di uno statuto minimo di tutela, è inevitabile nonché del tutto fisiologico, ma è anche il motivo delle maggiori difficoltà fra le quali, tanto in sede comunitaria quanto in fase di recepimento, il legislatore deve districarsi.

Il confronto tra il primo intervento del legislatore comunitario e la ridefinizione della materia attuata oltre vent'anni dopo appare d'un certo interesse e, in ogni caso, estremamente istruttivo sulla non semplice e lineare evoluzione che il diritto privato europeo - in particolare, la sempre più consistente normativa a tutela del consumatore - sotto la spinta degli organi legislativi comunitari, ma anche della giurisprudenza, in primo luogo della Corte di giustizia (ricordando, già in premessa, i recenti interventi della Corte con le decisioni 4 ottobre 2007 e da ultimo 23 aprile 2009, su cui vi sarà modo di ritornare, infra n. 4)2. Parimenti significativo è osservare come il legislatore nazionale, in questo ventennio, sia riuscito a metabolizzare modelli e formule di nuovo conio, familiarizzando con concetti, regole e tecniche normative non facenti parte del bagaglio tradizionale del giurista abituato a ragionare sulla base di categorie ordinanti che sembravano solidissime e invece oggi paiono superate (e Page 73 comunque superabili) dall'approccio funzionalistico caratterizzante il diritto privato di matrice comunitaria.

Considerata nella sua evoluzione e nella dialettica, per così dire, tra diritto europeo (delle direttive, nel nostro caso essenzialmente, anche se non esclusivamente) e normativa nazionale (di diverso livello), la disciplina del credito al consumo può esprimere bene, perciò, il modus procedendi dell'armonizzazione nel diritto contrattuale - s'intende, sempre nella sua versione 'consumeristica' cara al legislatore comunitario - tra difficoltà, contraddizioni ed esigenze di coordinamento, di natura tanto linguistica quanto più strettamente disciplinare, all'interno di un dato sistema, sia pure nella veste di sistema in movimento (secondo la nota definzione della dotttrina tedesca di inizio Novecento, che faveva riferimento al "bewegliches System"), se si preferisce in fase di (continuo) assestamento, a fronte di una fenomenologia normativa, che investe procedimenti formali di produzione delle norme, al pari dei loro elementi contenutistici (e dunque, per semplificare, tanto la forma quanto la sostanza del nuovo diritto privato), senza precedenti nel passato della storia giuridica europea. La complessità del quadro di riferimento deve essere sempre tenuta presente, come si diceva nelle battute iniziali, allorché si esamini la normativa d'origine comunitaria ossia nel caso specifico la direttiva 48 del 2008, così come all'atto di tradurre in disposizioni di legge nazionali le prescrizioni europee3.

Per cercare di comprendere come dovrà (o dovrebbe, almeno) muoversi il legislatore nazionale nel tirare le fila della disciplina del credito al consumo, in sede di attuazione della recente direttiva, non si può ignorare l'origine della vicenda giuridica di un fenomeno per lungo considerato soltanto in termini socio-economici e, di conseguenza, i problemi peculiari del credito al consumo alla stregua della disciplina delle obbligazioni e dei contratti. Di qui, l'esigenza di alcune considerazioni introduttive alla riflessione sui signoli aspetti della direttiva.

Ê noto che, ben radicata nelle scienze economiche e sociali4, l'espressione "credito al consumo" trova corrispondenza in termini quasi letterali negli ordinamenti con i quali è normalmente condotta l'analisi gius-comparatistica (ad esempio: con- Page 74 sumer credit, credit à la consommation, Verbraucherkredit e così via), ordinamenti che hanno generalmente provveduto a disciplinare le ricadute giuridiche della vicenda socio-economica con un più o meno consistente anticipo rispetto a quanto sia stato fatto nel nostro Paese5. Nel nostro ordinamento la spinta - in termini di adempimento degli obblighi di appartenenza alla Comunità - a legiferare in questa materia è venuta da Bruxelles, alla stregua della normativa comunitaria 'consumeristica', la quale proprio con le regole sul credito al consumo ha inizato ad assumere consistenza e, soprattutto, a svelare, all'interno dell'ordinamento nazionale, la complessità della ridefinizione di norme giuridiche di tipo generale, ma soprattutto di categorie concettuali in materia di contratti, a fronte di regole che avrebbero dovuto essere esclusivamente funzionali alla tutela di una nuova categoria di soggetti (in termini giuridici, s'intende) ritenuti deboli ossia i consumatori, anche a scapito (come di fatto è accaduto) dell'armonia con il sistema tradizionale consegnato, per la materia dei contratti, alle architetture ordinate e ragionate del codice civile.

La questione, di tipo lato sensu metodologico, non può dirsi evidentemente risolta, come si può constatare già soltanto considerando la vicenda dell'appropriata sedes materiae della disciplina sul credito al consumo (su cui si tornerà, infra, n. 2). Ma al di là della collocazione della normativa, ci si può domandare quali fossero le questioni giuridiche cruciali con cui ci si sarebbe potuti misurare, già prima della normativa comunitaria, in presenza di un'operazione di credito al consumo.

Nel percorrere questa via, non si può fare a meno di notare come il conflitto fra i contrapposti interessi nell'operazione, certamente unitaria in termini economici, ma scissa nei due momenti negoziali autonomi - acquisto e concessione del finanziamento finalizzato - dal punto di vista giuridico, non si sia mai tradotto, nel nostro ordinamento, in controversie giudiziarie di rilevante impatto sul piano quantitativo, benché il risvolto patologico della vicenda ossia il cosiddetto "sovraindebitamento" del consumatore costituisca da tempo un fenomeno, non soltanto rilevante dal punto di vista sociale (mai, forse, come in questi ultimi anni), ma anche oggetto di attenta considerazione da parte di economisti e giuristi di diversi ordinamenti6.

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In una situazione di sostanziale inattività della giurisprudenza, che vale a spiegare anche la scarsa attenzione da parte della dottrina per un tema certamente di grande interesse (anche sul piano dogmatico), si era così potuta sviluppare una prassi contrattuale di fatto affrancata da qualsiasi tipo di controllo, se si esclude la (pur sempre discussa) operatività di alcune disposizioni in tema di vendita a rate con riserva della proprietà (artt. 1525 e 1526 c.c.) e l'applicazione della (altrettanto controversa, benché per ragioni diverse) disciplina delle condizioni generali di contratto (artt. 1341 e 1342 c.c., arricchita ora dalle norme in tema di contratti dei consumatori, di cui al codice del consumo), sempre che ne ricorressero in concreto i presupposti7.

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