Peculato

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine679-692

    Le precedenti Rassegne di giurisprudenza pubblicate in questa Rivista hanno riguardato, rispettivamente, Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina (1996, 669); Bellezze naturali (vincolo paesaggistico-ambientale) (1997, 113); Delitti contro l'assistenza familiare (1996, 1283); Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (1999, 407); Estorsione (2001, 324); False informazioni al pubblico ministero (1996, 141); Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (2000, 755); Favoreggiamento personale (2000, 953); I delitti contro la personalità interna dello Stato (1996, 811); I reati di assenza dal servizio alle armi (1996, 407); Il dolo nella ricettazione (1997, 779); Il furto (1999, 791); Incompatibilità, astensione, ricusazione del giudice e rimessione del processo (1996, 255); L'abuso di ufficio (1996, 917); La diffamazione commessa col mezzo della stampa (1997, 971); La nuova disciplina della caccia (1996, 537); La nuova gestione dei rifiuti (1999, 1047); La tutela degli alimenti nel codice penale (1998, 211); Le interferenze illecite nella vita privata (1997, 253); L'obiezione di coscienza al servizio militare (1997, 537); Sulla protezione del diritto d'autore: l'art. 171 della L. n. 633/41 (1996, 1033); Sulle nuove norme in tema di violenza sessuale (1998, 637); Truffa (2001, 99).


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@a) Questione di legittimità costituzionale

Non vi è disparità di trattamento nella diversa ipotizzabilità di reato nei confronti di chi esercita una data mansione alle dipendenze di un ente pubblico e di chi eserciti la stessa mansione alle dipendenze di un privato. È quindi legittima la norma che prevede una diversa responsabilità penale per chi commetta un'azione illegale mentre svolge un servizio pubblico rispetto a chi compie la stessa azione senza trovarsi nell'identica collocazione e la relativa questione di legittimità costituzionale proposta in relazione all'art. 3 della Costituzione è manifestamente infondata. (Fattispecie in tema di titolare di una farmacia, facente parte di un ente ospedaliero, imputato di peculato).

    Cass. pen., sez. VI, 4 maggio 1982, n. 4640 (ud. 15 gennaio 1982), Taiti.


@b) Soggetto attivo: nozione e casi

Le sezioni provinciali della «Lega italiana per la lotta contro i tumori» hanno natura pubblicistica e, pertanto, i loro rappresentanti e dipendenti (nella fattispecie il presidente, un componente del consiglio direttivo ed una segretaria) rivestono la qualifica di incaricati di pubblico servizio. Ne consegue che l'appropriazione di denaro della sezione da parte dei suddetti rappresentanti e dipendenti configura il reato di peculato.

    Cass. pen., sez. VI, 26 settembre 1997, n. 8619 (ud. 20 maggio 1997), P.G. in proc. Saccani ed altri, in questa Rivista 1997, 1128.


Gli indicatori dai quali deve essere desunta la qualità pubblica di un ente concernono i suoi rapporti con l'ente territoriale di riferimento (nella specie, regione e comune) sotto i profili della sua organizzazione (riguardo alla nomina ed alla revoca degli organi), della gestione commissariale (volta a garantire la continuità dell'attività dell'ente e l'interesse pubblico sotteso alla sua necessaria esistenza), della vigilanza finanziaria mediante l'approvazione dei bilanci, del controllo contabile attraverso revisori venuti a riferire direttamente all'ente pubblico di riferimento. Ne consegue che il segretario di un ente, la cui natura pubblica venga individuata sulla base dei suddetti criteri, riveste la qualifica di pubblico ufficiale e l'appropriazione di denaro dell'ente da parte di questi configura il reato di peculato di cui all'art. 314 c.p.

    Cass. pen., sez. VI, 1 dicembre 1997, n. 10978 (ud. 10 ottobre 1997), Balistreri, in questa Rivista 1998, 40.


In materia di reati fallimentari non sussiste alcuna pregiudizialità del giudizio sul rendiconto rispetto alla possibilità di procedere per il reato di peculato nei confronti del commissario liquidatore. La costatazione di prelievi operati dal liquidatore in assenza di corrispettive causali legittima perciò l'ipotesi di peculato a suo carico indipendentemente dallo svolgimento e dall'esito delle procedure civilistiche di rendiconto.

    Cass. pen., sez. VI, 28 aprile 1997, n. 433 (c.c. 31 gennaio 1997), Ferri F.


Il pubblico servizio, il cui svolgimento da parte del reo integra un elemento essenziale del delitto di peculato, deve essere inteso in senso oggettivo, avendo cioè riguardo alla connotazione pubblicistica dell'attività concernente svolta, prescindendo dalla natura pubblica o privata dell'ente o dell'imprenditore dal quale questa attività venga esercitata. Esso si caratterizza per la diretta inerenza di un interesse generale ad un'attività rivolta alla produzione di beni o di servizi e, inoltre, per l'assoggettamento di quest'ultima a poteri di controllo, indirizzo e vigilanza della pubblica autorità che, nel predeterminarne in vario modo gli obiettivi, i profili organizzativi e le modalità di esercizio, conferiscono rilevanza giuridica pubblicistica non soltanto ai fini perseguiti, ma all'intera attività di gestione unitariamente considerata. Ne consegue che in presenza di un ente o, comunque, di un imprenditore il quale svolga molteplici attività, l'indagine rivolta all'individuazione del pubblico servizio deve avere di mira la particolare natura pubblica o privata dei compiti cui l'imputato era addetto allorché pose in essere la condotta criminosa ascrittagli. (Nella specie la Cassazione ha escluso che l'attività esercitata dall'Ina nel settore dell'assicurazione sulla vita possa esser qualificata come pubblico servizio, osservando, tra l'altro, che in tale settore l'Ina opera per il conseguimento di interessi privatistici, anche se di indubbia rilevanza sociale, in concorrenza con le imprese private ed è sottoposta alla disciplina di diritto privato delle assicurazioni, e che la particolare posizione di privilegio riservata all'istituto per quanto attiene ad alcuni profili, quali la garanzia statale delle polizze o le modalità di esazione dei premi non alterano il carattere concorrenziale e sostanziale privato della suddetta attività).

    Cass. pen., sez. VI, 7 dicembre 1989, n. 17227 (ud. 5 ottobre 1989), Di Barbaro.


In tema di reati contro la pubblica amministrazione, colui che sia stato investito di pubblica funzione sia pure per atto della P.A., che successivamente risulterà frutto di inganno o di qualsiasi altra attività illegale o semplicemente irregolare, sino a quando non intervengano atti di annullamento o di revoca è da considerare pubblico ufficiale a tutti gli effetti, ivi compresi quelli penali. (Fattispecie in tema di peculato in cui l'imputato, privo di titolo di studio e di abilitazione professionale, aveva tratto in inganno l'ente ospedaliero che lo aveva inserito nella struttura con la qualifica di medico frequentatore).

    Cass. pen., sez. VI, 10 luglio 1990 (c.c. 4 maggio 1990, n. 1189), Negrini.


Tutti i dipendenti dell'Inps - che il controllo dello Stato e la natura del fine perseguito caratterizzano come ente pubblico - quando non sono rivestiti di una vera potestas per la quale assumono la veste di pubblico ufficiale, sono incaricati di pubblico servizio, perché la loro opera attiene ad un'attività sociale di pubblico interesse. (Fattispecie in tema di peculato).

    Cass. pen., sez. VI, 10 febbraio 1990, n. 1906 (ud. 30 ottobre 1989), Zannol.


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In tema di peculato, erroneamente il giudice di merito attribuisce la qualità di pubblico ufficiale ad un dipendente dell'Inps, sulla base d'un potere di certificazione estrinsecantesi nella sottoscrizione dell'elenco accompagnatario degli assegni da spedire ai pensionanti. Detto elenco, infatti, non può qualificarsi certificato, tale dovendo considerarsi solo l'atto con cui la P.A. attesta e manifesta all'esterno determinati fatti o qualità o diritti, sulla base di constatazioni dirette o delle risultanze dei registri da essa conservati. L'elenco in questione ha invece efficacia nei rapporti interni tra l'ufficio ragioneria e l'ufficio preposto alla spedizione della busta contenente l'assegno all'avente diritto, e la sua sottoscrizione, con la successiva restituzione all'ufficio ragioneria, ha la funzione di attestare l'avvenuta ricezione degli assegni in parola e la conformità di ciascuno di essi ai dati contenuti nell'elenco stesso. Non ravvisandosi, pertanto, nel sottoscrittore dell'elenco un potere di certificazione (e non potendo affermarsi, d'altro canto, che le sua mansioni fossero puramente manuali e di fatica) allo stesso va attribuita la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

    Cass. pen., sez. VI, 10 febbraio 1990, n. 1906 (ud. 30 ottobre 1989), Zannol.


Per quanto riguarda la natura dell'attività svolta da un soggetto qualificato incaricato di pubblico servizio ha giuridica rilevanza non tanto la natura della singola attività in sé considerata quanto il contributo concreto di tale attività alla realizzazione delle finalità del pubblico servizio, in virtù di uno stretto legame di strumentalità con le finalità suddette. Ne consegue che deve considerarsi incaricato di pubblico servizio il presidente di un centro regionale di incremento della cooperazione agricola, ente gestore di corsi di formazione professionale per conto dell'ente regione non solo quando svolga una attività diretta specificamente a detta gestione, ma anche quando amministri somme di danaro destinate al potenziamento ed all'ammodernamento delle strutture del centro. (Fattispecie in tema di appropriazione di danaro erogato al Crica per rinnovo di locali ed acquisto di suppellettili).

    Cass. pen., sez. VI, 30 giugno 1988, n. 7598 (ud. 22 aprile 1988), Terracciano.


In tema di peculato, il requisito dell'appartenenza del denaro deve essere ricavato non già dalla modalità di gestione di esso, bensì dalla sua destinazione a finalità pubbliche.

    Cass. pen., sez. VI, 14 settembre 1994, n. 9890 (ud. 8 aprile...

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