Assistenza sanitaria a pazienti multietnici o di fede religiosa differente da quella cattolica
Autore | Roberta Santoro |
Pagine | 71-101 |
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@1. Premessa
Lo spostamento di individui, e talvolta di intere popolazioni, da un'area geografica a un'altra è un fenomeno antico; infatti, nella storia dell'umanità l'esercizio del diritto di migrare è un fatto inconfutabile che si riscontra nelle tradizioni culturali, storiche, religiose di tutti i popoli.
Allo stato attuale, specie dopo la caduta del sistema bipolare, i flussi migratori si presentano per la loro intensità e frequenza come problemi complessi di difficile soluzione nello scenario internazionale. Secondo stime recenti dell'ONU, attualmente nel mondo vi sono 130 milioni circa tra migranti e rifugiati, circa un quarto negli USA e circa un quinto del totale in Europa e, complessivamente, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite si occupa di oltre 21 milioni di persone, compresi i richiedenti asilo e altre categorie che necessitano di una specifica protezione.
In Europa ci sono in media 5 stranieri ogni 100 residenti; nello specifico, in Austria, Belgio e Germania sono 10 su 100; per Francia, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Regno Unito i valori sono compresi tra 3,5% e 6%, mentre l'Italia con il Page 72 2,5% si colloca al di sotto della media europea, essendo entrata solo di recente a far parte dei circuiti della migrazione intemazionale
Il crescente flusso migratorio, aumentato negli ultimi anni a causa di differenti spinte motivazionali, ha trovato il nostro Paese alquanto impreparato. Tutto ciò ha comportato una serie di problematiche di ordine pubblico anche dal punto di vista sanitario, alimentando un dibattito in riferimento alla regolamentazione del fenomeno, in considerazione del fatto che il nostro territorio rappresenta una porta d'ingresso per l'Europa.
L'area di problematicità investe, soprattutto, il campo della salute degli individui e della comunità in relazione a tutte quelle patologie di cui gli stranieri sono portatori, mettendo, in tal modo, scompiglio nella società che li ospita in quanto trattasi non di rado di patologie poco conosciute, e soprattutto, per il fatto che spesso le cure non risultano condivisibili con la religione di appartenenza. Inoltre, gli immigrati piìi frequentemente ricorrono alle cure sanitarie perché contraggono le cosiddette patologie da immigrazione (ovvero si tratta di patologie che gli stranieri contraggono successivamente al loro arrivo nel Paese che li ospita) per le difficoltà di adattamento alle condizioni ambientali, ai diversi modi di vita, ai diversi costumi alimentari e alla diversa realtà socio-culturale. Ciò comporta, dunque, la necessità di adottare il sistema medico assistenziale alle necessità culturali, spirituali e religiose degli immigrati, ai quali il nostro ordinamento riconosce esistere il diritto alla identità.
@2. Il conflitto tra religione e cure sanitarie
Il problema si concreta nel verificare ed esaminare se e in quale misura, salvaguardando le diverse culture e religioni sia possibile tracciare un mondo di coesistenza. La propagazione
Un tipico caso di conflitto è quello dell'accettazione o del rifiuto di determinati trattamenti sanitari. Il nostro ordinamento fa divieto di imporre trattamenti sanitari di sorta a chiunque (sempre nel pieno possesso delle proprie facoltà) non sia consenziente, e quindi ammette che una persona adulta possa rifiutare tali trattamenti anche quando sia in pericolo la propria salute e la propria vita. Ma non ammette che quanti hanno la potestà su minori possano rifiutare quei trattamenti e quelle cure che sono necessarie per la vita e la salute dei minori stessi.
Un problema su cui si è dibattuto molto è il caso del rifiuto di emotrasfusioni da parte dei Testimoni di Geova, i quali basandosi su di un passo delle Sacre Scritture si dichiarano contrari all'uso del sangue per finalità terapeutiche.
In base al principio costituzionale inerente il diritto alla salute bisogna concludere che, mancando un obbligo legislativamente previsto di sottoporsi alle trasfusioni, il loro rifiuto deve ritenersi legittimo. Tuttavia, all'interno delle strutture ospedaliere le risposte al rifiuto di trasfusioni non sempre sono state conseguenziali e spesso il conflitto di coscienza del medico di fronte alle resistenze del paziente si risolveva in atti autoritativi per preservare la salute dell'assistito. Di fronte ai dinieghi prevaleva la decisione di proteggere, anche forzatamente, la vita dei pazienti e si praticavano le emotrasfusioni in modo coattivo, in alcuni casi munendosi dell'autorizzazione dell'autorità giudiziaria.
Nella stessa direzione va esaminato il caso in cui i Testimoni di Geova hanno impedito ai propri figli minori di subire i trattamenti sanitari, provocandone, in determinati casi, la morte. In queste fattispecie, la valutazione delle responsabilità è piuttosto complessa dal momento che occorre valutare se il comportamento dei genitori si è materializzato soltanto in un non fare ovvero in una astensione dal fare ricorso al trattamento o in un impedire ad altri di fare. Occorre, inoltre, valutare se non esistano responsabilità di altri soggetti che erano tenuti ad agire in sostituzione degli esercenti la potestà per garantire l'effettuazione della terapia nei confronti del minore. Non vi è dubbio che nei confronti del minore non esiste lo stesso diritto di disposizione del corpo che può aversi nei confronti della propria persona. L'ordinamento non ammette che i valori della vita e della salute possano essere negati sulla base di una motivazione religiosa, essendo i primi incomparabili con il rispetto dei convincimenti religiosi.
La scelta di non sottoporsi al trattamento sanitario è espressione dei convincimenti religiosi ovvero della volontà del soggetto di adeguare i propri comportamenti ai precetti della personale coscienza religiosa, pur consapevole di mettere in pericolo la vita o la salute.
@3. Segue: la mutilazione degli organi genitali femminili
Il pluralismo religioso che si è andato realizzando nelle società occidentali ha provocato non pochi problemi, soprattutto in considerazione del fatto che i nuovi gruppi sociali non chiedono soltanto il rispetto della propria fede religiosa, ma tendono a riprodurre al proprio interno comportamenti, usi, costumi, del tutto nuovi per il Paese ospitante, e in alcuni casi confliggenti con quei valori di base che costituiscono l'identità popolare del territorio nel quale essi stanno inserendosi.
Si tratta di questioni recenti per l'esperienza italiana, e quindi è opportuno riflettere su alcuni esempi concreti anche per il fatto che, potendo suscitare un certo allarme sociale, possono contrastare con l'ordine pubblico. Si pensi ad esempio alle mutilazioni genitali femminili, pratica che pone in risalto la questione preminente data dalla compatibilità delle pratiche sanitarie delle culture di origine con il sistema socio-giuridico ospitante.
L'espressione mutilazione di organi genitali femminili si riferisce alla totale o parziale rimozione dei genitali femminili. Ne esistono tre forme: la prima, più lieve, è nota come circoncisione sunna e consiste nell'ablazione del cappuccio della clitoride; l'escissione, che prevede la rimozione integrale della clitoride e l'infibulazione, consistente nella rimozione della clitoride, delle piccole labbra con la saturazione della ferita con punti di spine o di seta, fino a lasciare un piccolo foro, mantenuto aperto con una canna o un sottile pezzo di legno per consentire la fuoriuscita dell'urina o del sangue mestruale.
Essendo praticata in forma rituale e lontano da centri ospedalieri, è spesso affidata a persone senza alcuna competenza medica e con strumenti non adatti (vetri, coltelli...) con la conseguente insorgenza di infezioni.
Si tratta di valutare non solo la legittimità in assoluto dell'effettuazione di tali pratiche che offendono la dignità della persona umana, ma anche di esaminare le sanzioni specifiche di pratiche poste in violazione di norme penali.
Tali pratiche hanno ricevuto una specifica sanzione legislativa di carattere penale in diversi Paesi dell'area occidentale (Stati Uniti, Gran Bretagna); mentre altri Paesi occidentali hanno privilegiato la via giudiziaria per la repressione delle pratiche rescissorie, riconducendo le medesime a più generali figure di reato contemplate dall'ordinamento a tutela della persona. Nel nostro Paese si è avuta la prima condanna, per lesioni gravi volontarie, di un genitore egiziano che aveva fatto praticare l'infibulazione alla figlia minorenne. (Cfr. Trib. pen. Milano, Sez. IV, sentenza 25 novembre 1999, n. 2545).
Ê alquanto difficile risolvere un problema che nasce da oggettive e profonde diversità culturali e, soprattutto, che si inserisce in tradizioni etniche radicate, sostenute non dai contenuti teologici della religione, ma dalla mera attribuzione di religiosità al gesto tradizionale.
Tuttavia, la sola sanzione è insufficiente e si rende necessaria la disciplina da parte dello Stato e degli enti competenti di interventi preventivi, di carattere educativo, capaci di eliminare usi e...
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