L’accesso al patrocinio a spese dello stato in deroga ai limiti di reddito in favore della persona offesa dai reati di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e di violenza sessuale di gruppo

AutoreEleonora Antonuccio
Pagine259-263

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1. Premessa

La legge 23 aprile 2009, n. 38, ha convertito con modi-ficazioni il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori (c.d. “decreto anti-stupri”). L’art. 4 del decreto ha inserito un nuovo comma, il 4 ter, all’art. 76 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (c.d. Testo unico sulle spese di giustizia), sulle condizioni di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La nuova norma prevede che la persona offesa dai reati di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), di atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.) e di violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.), possa accedere al beneficio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal testo unico.1

Questa interpolazione segue a distanza di pochi mesi l’introduzione, al medesimo articolo, del comma 4 bis, ad opera dell’art. 12 ter del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 24 luglio 2008, n. 125,2 con il quale è stata sancita una presunzione di superamento dei limiti reddituali per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per alcune categorie di reati, tra i quali l’associazione a delinquere di stampo mafioso anche straniera.3 Su questo comma è già intervenuta una pronuncia di illegittimità costituzionale “nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nella stessa norma il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti per l’ammissione al patrocino a spese dello Stato, non ammette la prova contraria”,4 con la quale la Consulta ha, dunque, sancito che la presunzione, introdotta come assoluta, debba, invece, intendersi come relativa, consentendo al condannato di provare la propria effettiva situazione economica.

Le due disposizioni contengono, in buona sostanza, meccanismi semplificati, l’una, di ammissione, l’altra, di esclusione dal beneficio del patrocinio a spese dello Stato, entrambi modulati sul requisito della condizione reddituale e operanti in ragione della fattispecie di reato per la quale si procede o si è proceduto.

La contiguità delle norme va oltre la mera vicinanza topografica. Secondo quanto riportato dalla Relazione tecnica che ha accompagnato il disegno di legge in Parlamento e che è stata sottoposta all’esame della Commissione Bilancio e Tesoro, la copertura finanziaria dell’estensione del beneficio a tutte le persone offese per i reati a sfondo sessuale indicati, anche oltre i limiti di reddito, rientrerebbe nell’ambito previsionale delle spese di giustizia, tenuto conto anche degli asseriti evidenti risparmi di spesa derivanti dall’esclusione dal patrocinio dei condannati per reati di tipo mafioso.

L’esclusione citata opera per “i soggetti già condannati con sentenza definita” per i reati contemplati, senza espresse distinzioni in merito alla posizione processuale che essi possano assumere nel nuovo procedimento in cui risultino coinvolti. Se ne deve dedurre che l’esclusione valga anche quando il condannato agisca in giudizio nella veste di persona offesa, di danneggiato che intenda costituirsi parte civile, di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria.5 Tuttavia, stando alla lettera della deroga alla soglia reddituale, di cui al nuovo comma 4 ter dell’art. 76, la presunzione di superamento di tale soglia non dovrebbe escludere più dal beneficio quei soggetti già condannati per i reati associativi e di mafia indicati che siano offesi dai reati a sfondo sessuale richiamati.

Gli interrogativi sul comma 4 ter dell’art. 76 non riguardano soltanto il suo coordinamento con il 4 bis. La norma solleva la necessità di alcune considerazioni in ordine alla scelta del legislatore di limitarla alla figura processuale della sola persona offesa dal reato e a tre fattispecie delittuose soltanto.

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2. La selezione del legislatore: per soggetto processuale ...

L’indicazione della persona offesa come unica beneficiaria della deroga ai limiti di reddito,6 prevista dal nuovo comma, richiama all’attenzione dell’interprete il più ampio concetto, di matrice criminologica, di “vittima del reato”, intesa come destinataria delle conseguenze pregiudizievoli, in senso lato, derivanti dal reato.7 Limitando l’analisi alla disciplina codicistica, non si rinviene alcun richiamo espresso a questa figura, né in ambito sostanziale, né in ambito processuale. Si distinguono, invece, due soggetti: la “persona offesa dal reato” e il “danneggiato”.

In assenza d’una definizione legislativa, la persona offesa viene identificata dalla dottrina nel titolare dell’interesse giuridico la cui lesione o esposizione al pericolo costituisce l’essenza del reato,8 così che tale figura viene a coincidere con quella, pure d’elaborazione dottrinaria, del soggetto passivo del reato.9 Il danneggiato, invece, è il soggetto che subisce le conseguenze morali o patrimoniali negative derivanti dall’illecito penale e ha diritto alla restituzione o al risarcimento previsti dall’art. 185 c.p..

Nel nostro ordinamento, dunque, la dottrina separa il c.d. “danno criminale”, ossia il pregiudizio all’interesse protetto dalla norma penale, necessario alla configurazione stessa del reato, dal c.d. “danno civile”. A quest’ultima specie di danno fa riferimento l’art. 185 c.p. quando parla di “danno patrimoniale o non patrimoniale”, cagionato dal reato, al cui risarcimento sono obbligati il colpevole e coloro che debbono rispondere del fatto di lui a norma delle leggi civili. Spetta, quindi, al danneggiato esercitare l’azione civile nel processo penale, ai sensi dell’art. 74 c.p.p., e solo lui può costituirsi parte civile ex art. 76 c.p.p..10

È pur vero che, spesso, nella pratica persona offesa e danneggiato coincidono, tuttavia, così come possono darsi casi in cui la persona offesa, titolare dell’interesse protetto, subisca una menomazione patrimoniale o non patrimoniale, allo stesso modo è ben possibile che il civilmente danneggiato non sia anche persona offesa (esempio tipico è quello dei prossimi congiunti dell’ucciso che possono far valere la pretesa risarcitoria, non essendo però le persone offese dal reato d’omicidio).

Venendo al T.U. sulle spese di giustizia, esso contempla, all’art. 74, tra i soggetti ai quali può essere concesso il patrocinio a spese dello Stato, sia la “persona offesa dal reato” sia il “danneggiato che intenda costituirsi parte civile”.

La duplice indicazione farebbe pensare, di primo acchito, che la diversa scelta del decreto anti-stupri di riferirsi alla sola persona offesa voglia indirettamente escludere dal trattamento di favore il danneggiato e la parte civile.

A ben guardare, quest’impressione è fondata, ma con qualche precisazione.

Come supra evidenziato, ciò che qualifica la persona offesa è la titolarità del bene giuridico tutelato dalla norma penale, quindi, l’interesse privato alla persecuzione penale dell’autore del reato. Sicché, il comma 4 ter dell’art. 76 del testo unico sembra aver inteso sostenere la posizione della persona offesa con riferimento a questa situazione di promovimento e coltivazione di autonome istanze penalistiche.

L’omessa citazione del danneggiato che intenda costituirsi parte civile servirebbe, d’altro canto, a privare del supporto incondizionato del patrocinio a carico dello Stato solo quel soggetto che, distinguendosi dalla persona offesa, avanzi nel processo penale unicamente delle istanze risarcitorie civilistiche, autonome, seppur collegate, rispetto all’interesse penalmente tutelato. Ciò non esclude che la persona offesa che sia al contempo danneggiata dal reato possa godere del beneficio di cui al comma 4 ter.

Peraltro, la norma seleziona tre fattispecie di reato - la violenza sessuale, gli atti sessuali con minorenne e la violenza sessuale di gruppo - nelle quali il bene-interesse tutelato è la libertà di autodeterminazione sessuale, o il libero sviluppo psico-fisico, nel caso del minorenne, ossia quel diritto alla libertà sessuale che può senz’altro ricondursi tra i diritti inviolabili della persona umana.11 È difficile, dunque, negare alla persona offesa da questi reati un danno, quantomeno, morale di non lieve entità,12 dato questo che la legittima, nella prassi, ad avanzare delle pretese risarcitorie nella quasi totalità dei casi.

Occorre segnalare che, nonostante la natura personalissima dell’interesse tutelato, la giurisprudenza, in alcune pronunce, ha qualificato come “danneggiati”, in procedimenti per reati di violenza sessuale o atti sessuali con minorenne, anche soggetti diversi, quali i prossimi congiunti della persona offesa o alcuni enti giuridici, ammettendo che essi si costituissero parte civile per l’esercizio in sede penale di una pretesa civilistica da ritenersi autonoma rispetto a quella della persona offesa stessa. Così, è stata riconosciuta la legittimazione ad agire ai prossimi congiunti della persona offesa dal reato di violenza sessuale di gruppo,13 recentemente, anche al sindacato, nel procedimento per la violenza sessuale consumata a danno di una lavoratrice sul luogo di lavoro,14 e al Comune di Roma, rispetto a degli abusi sessuali compiuti nel territorio della Capitale.15 In tutte queste ipotesi, accanto alla lesione del diritto individuale alla libertà sessuale della persona offesa, sono stati individuati degli interessi rilevanti e autonomi, egualmente lesi dalla condotta criminosa, che hanno fondato la legittimazione iure proprio alla costituzione di parte civile per il risarcimento dei danni subiti.

Ebbene, la dizione del comma 4 ter dell’art. 76 non sembra lasciar spazio alla possibilità per questi soggetti, danneggiati diversi dalla persona offesa, di accedere al patrocinio a spese dello Stato al di là dei limiti di reddito, quindi, nei loro confronti rimarrà valida la necessità del requisito della non abbienza.

Dai casi appena richiamati di estensione, in via giurisprudenziale, del concetto di “danneggiato”, va tenuta...

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