Pacta sunt servanda e «contratti» collettivi

AutoreLuca Nogler
Pagine771-783
Luca Nogler
Pacta sunt servanda e «contratti» collettivi
S: 1. Il duplice signif‌icato del principio pacta sunt servanda. - 2. Il problema della vincolatività
degli accordi collettivi atipici (usi aziendali e ipotesi di accordo). - 3. L’antica questione delle clausole
di tregua. - 4. Il recesso dal contratto collettivo.
1. Queste rif‌lessioni sono maturate nel contesto di un seminario che si svolse lo
scorso 9 marzo 2007, presso la Scuola di dottorato in Scienze giuridiche dell’Università
di Bologna in cui, nel quadro di una serie di incontri relativi alla relazione che intercor-
re tra il principio pacta sunt servanda e la categoria del «contratto», si focalizzò l’attenzio-
ne sui contratti di lavoro. Le relazioni di Francesco Galgano, Franco Scarpelli e del sot-
toscritto introdussero un interessante dibattito sulla rilevanza del pensiero contrattuale
nel diritto del lavoro, un tema particolarmente caro ad Edoardo Ghera1.
Nello sviluppare i prof‌ili collettivi del tema, presi le mosse dalla precisazione che nei
contratti di durata – ai quali sono da ascrivere sia il contratto individuale che quello
collettivo di lavoro2viene in massima evidenza la bilateralità del principio pacta sunt
servanda che, da un lato, guarda al problema se dare o no ingresso alla tutela giurisdizio-
nale dei pacta nuda e, dall’altro, al dif‌ferente quesito se la vincolatività del pactum resista
o no alla volontà delle parti, o meglio di una di esse, di porre un termine alla sussistenza
della vincolatività stessa. Il termine pactum si trascina, infatti, dietro il «duplice valore
della parola contratto, che può signif‌icare tanto l’accordo, come realtà del mondo del
fatto» (v. ad es. art. 1326 c.c.) «quanto il regolamento che ne deriva»3. In realtà, quando
si intende il contratto come un fatto si dovrebbe più opportunamente parlare di «accor-
do» (art. 1321 c.c.)4 per distinguerlo dal «regolamento contrattuale» che viene ricostru-
ito in base a norme legislative (in primis, gli artt. 1339 e 1374 c.c.) così come ad opera-
zioni interpretative (artt. 1362 ss. c.c.). I giuslavoristi hanno ben presente questa
duplicità e sono, anzi, tra coloro i quali valorizzano maggiormente i due piani di rilevan-
za. Ad esempio, per decidere se il fatto costitutivo del rapporto di lavoro sia o no un
contratto utilizzano la prima nozione, quella dell’accordo contrattuale. Peraltro, non
l’accordo come lo def‌inisce Irti caratterizzato dalla «consonanza raggiunta mediante la
parola e il dialogo»5; ma l’accordo come l’intende Oppo quando controbatte che «l’art.
1321 c.c. non richiede trattativa, dialogo e neanche espressione linguistica»6. Questo
scheletrito accordo contrattuale dà luogo, nel contesto della relazione di lavoro, ad un
ricco regolamento contrattuale, in gran parte eteronomo, che è alla base della nozione di
1 Cfr. da ultimo Ghera 2003.
2 Sul piano collettivo cfr. da ultimo Tursi 1996, 193 ss.
3 Così Sacco 1982, 460. Nella seconda accezione la nota ricostruzione di Rodotà 1969.
4 Roppo 1989, 111.
5 Irti 1998, 360.
6 Oppo 1998, 527.

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