Organizzazione e poteri «datoriali» del dirigente pubblico

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine113-125

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@4.1. Il principio di distinzione tra politica e amministrazione

Uno dei principi cardine della riforma della organizzazione e dei rapporti di lavoro nel settore pubblico è la distinzione funzionale tra politica ed amministrazione, affermata e regolata dall’art. 4 del D.Lgs. n. 165/2001 (§ 2.7.1).

L’attribuzione delle attività di indirizzo politico-amministrativo e di controllo agliorgani politici e dei compiti di concreto svolgimento delle attività amministrative e di gestione, invece, ai dirigenti pubblici è volta a definire le rispettive aree di competenza, così da delimitarne le sfere d’azione e le relative responsabilità. L’affermazione di questo principio ha, peraltro, soprattutto la finalità di far acquisire alla categoria dirigenziale una reale autonomia operativa nell’esercizio dei poteri ad essa attribuiti, nell’ambito degli obiettivi fissati dal vertice politico dell’amministrazione1.

In questo ambito il dirigente esprime, al tempo stesso, l’autorità esterna della p.a. e la funzione interna di organizzare e gestire le strutture e i dipendenti pubblici. Ed infatti, secondo il vigente ordinamento, la dirigenza esercita due distinti tipi di poteri, che comportano l’adozione di atti assoggettati a diversa disciplina giuridica: i poteri pubblici, che si esplicano nello svolgimento dell’attività amministrativa indirizzata al soddisfacimento degli interessi pubblici; i poteri del privato datore di lavoro, che intervengono sulla organizzazione e la gestione dei rapporti di lavoro.

@4.2. Il ruolo «datoriale» del dirigente pubblico

L’applicazione sul piano organizzativo del principio di distinzione tra politica e amministrazione comporta che gli organi politici, o comunque gli organi di vertice delle amministrazioni, «definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive»2 in funzione del perseguimento degli interessi pubblici: cd. macro-organizzazione. I dirigenti, invece, adottano «le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro»3 e curano così l’interesse strumentale dell’amministrazione a definire le proprie strutture e gestire il personale: cd. micro-organizzazione (§ 2.7.4).

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Nell’ambito delle rispettive aree di competenza organizzativa – macro e micro-organizzazione, appunto – politici e dirigenti cooperano nella realizzazione di obiettivi che sono tra loro connessi. Gli obiettivi ‘finali’ dell’amministrazione, definiti dall’organo politico in funzione degli interessi della collettività che egli rappresenta e di cui è interprete e affidatario, sono, infatti, tradotti, poi, dal dirigente in autonomi obiettivi dell’organizzazione.

L’attività organizzativa delle pp.aa., con riferimento all’organizzazione degli uffici in area micro, all’organizzazione del lavoro e alla gestione individuale dei rapporti di lavoro, a partire dalla seconda fase della riforma (§ 2.5.2), ha perso il suo tradizionale connotato di ‘funzione pubblica’ ed è divenuta espressione dell’autonomia privata, di cui, al pari dei soggetti privati, anche la p.a. può valersi: la peculiarità di tale autonomia (rispetto all’esercizio di autorità pubblica, funzionale al perseguimento di interessi pubblici) è, notoriamente, rappresentata proprio dalla determinazione autonoma degli obiettivi da perseguire nella propria azione: nel diritto privato, infatti, l’attività del soggetto si svolge tendenzialmente in assenza di ogni predeterminazione legislativa degli scopi e l’ordinamento interviene solo al fine di apporre dei limiti esterni ad essa.

In dottrina, si è da più parti proposto di adottare, quale chiave di lettura del rapporto tra politica e amministrazione, il binomio imprenditore-datore, inteso nella sua valenza di principio organizzativo, al fine di distinguere tra sfera d’azione governata dal principio di libertà di individuazione degli obiettivi finali (quella per così dire ‘imprenditoriale’) e sfera d’azione soggetta alle regole privatistico-contrattuali per la definizione degli obiettivi strumentali (quella datoriale). L’adozione di questa prospettiva interpretativa consentirebbe di offrire un fondamento giuridico alla distinzione tra indirizzo e gestione, nell’ambito dell’attività organizzativa, più coerente con la ‘privatizzazione’, nonché di individuare, per conseguenza, nell’economicità dell’agire e nell’assunzione del rischio connesso all’esercizio del potere di gestione, il fondamento dell’autonomia organizzativa e della stessa responsabilità dirigenziale.

In realtà, queste proposte interpretative, per quanto apprezzabili nella loro finalità di evidenziare le complesse implicazioni poste dalla privatizzazione di una parte dell’attività organizzativa della p.a., dando loro un inquadramento dogmatico, appaiono tuttavia in qualche misura ‘sovrabbondanti’, potendosi in realtà descrivere, in modo più lineare, il rapporto tra politico e dirigente come corrispondente al rapporto intercorrente tra l’imprenditore/datore di lavoro e il dirigente nel settore privato, sia pure con una significativa differenza, che attiene alla fonte regolativa del potere che quest’ultimo esercita. Nel set- tore privato, infatti, è l’imprenditore a decidere, nell’esercizio della libertà organizzativa che l’ordinamento gli attribuisce, quali e quanti poteri trasferire al dirigente e questi dispone, quindi, di competenze delegate; nel pubblico, invece, è il legislatore a stabilire se spetti o meno al dirigente esercitare i poteri datoriali (ed in effetti è stata questa la scelta compiuta a partire dalla riforma del 1993) ed in quale misura.

In definitiva, fermo restando che il creditore della prestazione del dipendente pubblico è, e resta in ogni caso, l’amministrazione, il legislatore, nel D.Lgs. n. 165/2001, ha provveduto a definire le competenze del dirigente attribuendogli espressamente «la capacità e i poteri datoriali»4 e ne ha ribadito il carattere esclusivo. È importante sottoline- Page 115 are che, da ultimo, siffatta soluzione di autonomia gestionale della dirigenza, oltre ad essere stata confermata nei confronti delle distinte prerogative degli organi politici5, è stata altresì rafforzata nei confronti della contrattazione collettiva6 (cap. 2 e § 23.3.2.1).

@4.3. Funzioni della dirigenza e poteri “datoriali”

Gli artt. 16 e 17, D.Lgs. n. 165/2001 definiscono le funzioni dei dirigenti delle amministrazioni dello stato, riconducendole, rispettivamente, agli incarichi dirigenziali di prima e seconda fascia7.

I dirigenti degli uffici dirigenziali generali concorrono alla definizione dell’indirizzo politico-amministrativo, formulando pareri e proposte al Ministro nelle materie di sua competenza e curando l’attuazione dei piani, dei programmi e delle direttive generali definite dal Ministro; essi, inoltre, adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti; decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti; promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere; curano i rapporti con le altre amministrazioni e, in particolare, con gli uffici dell’UE e degli organismi internazionali, nelle materie di loro competenza8.

I dirigenti di seconda fascia svolgono analoga funzione consultiva nei confronti dei dirigenti degli uffici dirigenziali generali, formulando proposte ed esprimendo pareri; curano l’attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate; svolgono, inoltre, tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali9.

La maggior parte di queste competenze, come si può facilmente rilevare, attengono a profili dell’attività dei dirigenti che comportano esercizio di potestà pubbliche. Accanto a queste, poi, ve ne sono altre, che concernono la gestione degli uffici e del personale ad essi imputato, rispetto alle quali l’esercizio dell’attività avviene sulla base degli interessi organizzativo-privatistici di cui si è detto in precedenza. per quanto concerne tali competenze, da esercitarsi sul fronte interno dell’amministrazione, con riferimento cioè all’organizzazione e ai rapporti di lavoro, ai dirigenti con incarico di direzione di uffici dirigenziali generali spetta: proporre le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti, anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del Page 116 fabbisogno di personale; attribuire ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni; definire gli obiettivi che i dirigenti devono perseguire e attribuire loro le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali; adottare gli atti relativi all’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale; dirigere, coordinare e controllare l’attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e proporre l’adozione, nei confronti dei soli dirigenti, delle misure sanzionatorie previste in caso di responsabilità dirigenziale; svolgere le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro; concorrere alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell’ufficio cui sono preposti10.

I dirigenti di seconda fascia, invece: dirigono, coordinano e controllano l’attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche...

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