Ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1115-1130

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@TRIBUNALE DI ROVERETO Ufficio del Gip Ord. di rinvio 26 maggio 2000. Est. Tammaro - Imp. Roussis Nikos.

Sicurezza pubblica - Stranieri - Immigrazione clandestina - Confisca del mezzo di trasporto utilizzato - Appartenenza del mezzo a persona estranea al reato - Esclusione - Mancata previsione - Questione di legittimità costituzionale.

Non è manifestamente infondata, in riferimento all'art. 27 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 4, D.L.vo n. 286/1998 come modificato dal D.L.vo n. 133/1999 nella parte in cui non esclude la confisca nel caso in cui il mezzo di trasporto appartenga a persona estranea al reato che possa provare di non aver potuto prevedere l'illecito impiego del mezzo e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza. (D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 12) (1).

    (1) Conformemente, nel senso di escludere la confisca obbligatoria, ai sensi del disposto normativo suindicato, del mezzo di trasporto utilizzato per il compimento dei reati in materia di immigrazione clandestina, qualora trattisi di mezzo appartenente a persona estranea al reato, si veda Cass. pen., sez. I, 9 giugno 2000, Prekain, in questa Rivista 2000, 788.


(Omissis). - Letti gli atti del procedimento in epigrafe, a carico di Roussis Nikos nato il 3 novembre 1970 a Giannitsa (Grecia);

Letta l'istanza depositata in data 5 maggio 2000 dal difensore della Alpina Group Spedizioni Trasporti Internazionali, società proprietaria del trattore stradale con targa greca NEA 3021 e del semirimorchio targa italiana TN 12838, sottoposti a sequestro, con la quale viene chiesta la restituzione di tali mezzi, avendola il P.M. rifiutata;

Sentite le parti all'udienza in camera di consiglio di data odierna;

Ritenuto che questo Gip deve, ai sensi dell'art. 263 comma 5 c.p.p. decidere sull'opposizione dell'interessato al diniego del P.M. di restituzione di cose sequestrate;

Ritenuto che per effetto della disposizione, cui all'art. 12 comma quarto, D.L.vo n. 286/1998, come modificato dall'art. 2 del D.L.vo n. 113/1999, la confisca dei mezzi di trasporto che servirono a commettere i reati di cui all'art. 1 della stessa legge (agevolazione all'ingresso di clandestini in territorio nazionale) è obbligatoria anche nel rito dell'applicazione della pena e anche nel caso che i mezzi appartengano a persone estranee al reato;

Ritenuto che tale interpretazione del testo di legge novellato è l'unica possibile, attesa la eliminazione dell'inciso «salvo che si tratti di mezzo... appartenente a persona estranea al reato» presente nell'originario testo della legge, e la ratio della novella, intesa a scoraggiare gli artifizi delle organizzazioni criminali dedite al traffico di clandestini (le quali per sfuggire alla misura del sequestro e quindi della confisca usano mezzi intestati a società di comodo, o a prestanomi, e comunque a soggetti apparentemente estranei al reato);

Ritenuto che tale disposizione realizzando una ipotesi di responsabilità oggettiva si pone in contrasto con il principio della personalità della responsabilità penale stabilito dall'art. 27 primo comma della Costituzione (vedi sentenza n. 229/1974 e n. 259/1976);

Considerato che per insegnamento della Corte costituzionale «se possono esservi cose il cui possesso può configurare una illiceità obiettiva in senso assoluto, la quale prescinde dal rapporto col soggetto che ne dispone e legittimamente debbono essere confiscate presso chiunque le detenga (art. 240 c.p.) in ogni altro caso l'art. 27, primo comma, della Costituzione non può consentire che si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto» (sent. n. 2/1987);

Ritenuto che non appare possibile una lettura adeguatrice della norma in questione, che andrebbe contro il significato letterale della norma e contro il canone ermeneutico vigente in materia penale ubi lex voluit dixit, ubi noluit non dixit;;

Ritenuto che la questione sollevata appare rilevante nella fattispecie di causa, giacché, ove fosse accolta, nel senso già delineato dal precedente tenore del testo, il proprietario istante avrebbe probabilmente diritto alla restituzione, dimostrando la sua estraneità al reato, laddove invece in caso di rigetto della questione, e cioè nella vigenza del testo normativo attuale, essendo probabile la confisca, il sequestro andrebbe mantenuto e l'opposizione respinta (Omissis).

@TRIBUNALE DI ROVERETO Ord. di rinvio 20 gennaio 2000. Est. Dies - Imp. Prandato.

Oltraggio - A pubblico ufficiale o impiegato - Oggetto della tutela penale - Mancata estensione al prestigio e buon andamento della P.A. - Mancata previsione della procedibilità a querela - Mancata previsione della pena pecuniaria alternativa alla pena detentiva - Questione di legittimità costituzionale.

Fonti del diritto - Legge penale - Successione di leggi - Legge intervenuta più favorevole al condannato - Modifica della sentenza di condanna passata in giudicato - Esclusione - Questione di legittimità costituzionale.

Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3, primo e secondo comma, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 28, 54 e 97, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 341 c.p., nella parte in cui esclude dall'oggetto di tutela anche il prestigio e il buon andamento della pubblica amministrazione; nella parte in cui non prevede la pena pecuniaria in alternativa a quella detentiva ed in cui priva i pubblici ufficiali del potere di proporre querela. (C.p., art. 341) (1).

Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma terzo, c.p. e 673 c.p.p., nella parte in cui non consente la modifica della sentenza di condanna passata in giudicato in caso di intervento di una legge penale in senso favorevole al condannato. (C.p., art. 2; c.p.p., art. 673) (2).

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    (1) Ordinanza ben articolata in parte motiva con numerosi richiami giurisprudenziali costituzionali e di legittimità a cui si rinvia per ulteriori approfondimenti.


    (2) In argomento si veda Cass. pen., sez. I, 16 novembre 1996, Bruno, in questa Rivista 1997, 220, secondo la quale il principio del ius superveniens più favorevole trova nel giudicato un limite invalicabile.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con richiesta depositata in data 6 dicembre 1999 l'avv. Giancarlo Tunno, nella sua qualità di difensore di Pierpaolo Prandato chiedeva la revoca della sentenza penale di condanna del Pretore di Rovereto n. 83/1993 del 15 aprile 1993, con la quale al Prandato veniva applicata su richiesta (artt. 444 ss. c.p.p.) la pena di mesi 4 di reclusione per il reato p. e p. dagli artt. 341 c.p., sulla base dell'intervenuta «cancellazione» dell'art. 341 c.p. disposta dall'art. 18 legge 25 giugno 1999, n. 205. All'udienza in camera di consiglio del 20 gennaio, le parti concludevano come da verbale.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Premessa: interpretazione della disciplina vigente (artt. 2 c.p. e 673 c.p.p.).

Ritiene questo giudice che non possa trovare applicazione nel caso di specie l'art. 673, c.p.p. Infatti la norma citata, secondo la consolidata interpretazione di dottrina e giurisprudenza, fa riferimento non già ad ogni ipotesi di abrogazione di una norma incriminatrice o all'approvazione di una legge penale più mite, bensì alla più limitata fattispecie della c.d. abolitio criminis, disciplinata, sotto il profilo sostanziale, dall'art. 2, comma 2, c.p. Affinché si possa parlare di abolitio criminis occorre che la nuova legge ponga nel nulla il giudizio di disvalore astratto del fatto reato, sicché i comportamenti descritti dalla norma incriminatrice abrogata siano ricondotti nell'area del (penalmente) lecito. Viceversa nel caso in cui le condotte in questione rimangano oggetto di un giudizio di disvalore astratto da parte del legislatore e, dunque, penalmente rilevanti, ancorché sottoposte ad una diversa disciplina, non si può far questione di una vera e propria abolitio criminis, bensì semplicemente di un mero intervento legislativo in senso modificativo, con la conseguente applicabilità dell'art. 2, comma 3 c.p. In particolare la norma citata dispone sì in ogni caso l'applicazione della norma più favorevole e, dunque, se più favorevole è la nuova norma quest'ultima deve trovare applicazione in via retroattiva, ma pone immediatamente dopo un limite invalicabile, rappresentato dalla presenza di una sentenza di condanna irrevocabile.

Ora, è ben noto che un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo in senso meramente modificativo, si può avere anche attraverso la mera abrogazione di una norma incriminatrice, quando ciò comporti non già la riconduzione nella sfera del lecito delle condotte rientranti nella fattispecie abrogata, bensì l'applicazione di altre norme penali già vigenti.

Ciò si verifica ad es. nel caso in cui ad essere abrogata è una norma incriminatrice speciale rispetto ad altra norma incriminatrice generale la quale, per effetto dell'abrogazione dell'incriminazione speciale, vede ampliata e dilatata la propria sfera di applicabilità, in quanto l'intera classe degli oggetti già sussumibile nella fattispecie speciale, rifluisce in essa automaticamente, salvo, beninteso, non emerga la volontà legislativa di espungere tale materia dalla sfera del penalmente rilevante.

Nel caso di specie è induscutibile che l'abrogazione dell'art. 341 c.p. ad opera dell'art. 18 legge 25 giugno 1999, n. 205 non ha affatto comportato una vera e propria abolitio criminis, bensì una semplice successione di leggi penali incriminatrici nel tempo in senso modificativo, dal momento che tutti i comportamenti previsti dall'art. 341 c.p. dovranno d'ora in avanti essere ricondotti alla più generale...

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