Ordinanza Nº 26796 della Corte Suprema di Cassazione, 21-10-2019

Presiding JudgePETITTI STEFANO
ECLIECLI:IT:CASS:2019:26796CIV
Date21 Ottobre 2019
Court Rule Number26796
CourtSeconda Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
ORDINANZA
sul ricorso 6585-2018 proposto da:
OREFICE Bia
g
io, rappresentato e difeso, per procura speciale in calce
al ricorso, da
g
li Avvocati Maurizio Albachiara e Alessandro Ferrara
;
- ricorrente -
contro
?s,
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro
pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura
'
Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Porto
g
hesi
12, è domiciliato per le
gg
e
;
-‘
-
con troricorrente -
avverso il decreto n. 53680/2012 della Corte d'appello di Roma,
depositato il 4 a
g
osto 2017.
Udita
la relazione della causa svolta nella camera di consi
g
lio del 22
ma
gg
io 2019 dal Presidente relatore Stefano Petitti.
Ritenuto
che la Corte d'appello di Roma, con il decreto
q
ui
impu
g
nato, ha dichiarato improponibile la domanda di e
q
ua
riparazione ai sensi della le
gg
e n. 89 del 2001, proposta nel 2012 da
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26796 Anno 2019
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO
Data pubblicazione: 21/10/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
OREFICE Biagio per la irragionevole durata di un giudizio
amministrativo iniziato dinnanzi al TAR Campania nel 1992, deciso in
primo grado con sentenza del 25 ottobre 2011;
che la Corte d'appello ha rilevato che nel giudizio amministrativo
presupposto non era stata presentata istanza di prelievo;
che per la cassazione di tale decisione OREFICE Biagio ha proposto
ricorso, affidato a due motivi;
che l'intimato Ministero ha resistito con controricorso.
Considerato
che il ricorrente censura il decreto impugnato per avere
ritenuto che la mancata presentazione dell'istanza di prelievo nel
giudizio amministrativo del quale si lamenta la irragionevole durata
sia preclusiva della possibilità di esaminare la domanda di equa
riparazione e prospetta la illegittimità costituzionale dell'art. 54 del
d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall'art. 3, comma 23,
dell'Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010;
che il ricorso è fondato;
che, infatti, deve prendersi atto che nelle more del presente giudizio
è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6
marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 54, comma 2,
del d.l. n. 112 del 2008 e successive modifiche, qui rilevante,
trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta
applicabile la previsione di cui all'art. 2, comma 1, della legge n. 89
del 2001, come novellato dalla legge n. 208 del 2015 (attesa la
specifica norma transitoria di cui all'art. 6, comma
2
-
bis,
della stessa
legge n. 89 del 2001, in quanto il processo presupposto alla data del
31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata
ragionevole);
che la Corte costituzionale, nel richiamare la costante giurisprudenza
della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che
la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono
ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione
con quelli indennitari, ma ciò solo se "effettivi" e, cioè, nella misura
in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così,
in particolare, Corte europea dei diritti dell'uomo, grande Camera,
-2-
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come
già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta
Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato
esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato
che una prassi interpretativa ed applicativa dell'art. 54, comma 2,
del d.l. n. 112 del 2008, nel testo antecedente alla modifica di cui al
d.lgs. n. 104 del 2010 - che avesse avuto come effetto quello di
opporsi all'ammissibilità dei ricorsi
ex lege
Pinto (relativi alla durata
di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008),
per il solo fatto della mancata presentazione di un'istanza di prelievo
- avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti
della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;
che la stessa Corte ha altresì rammentato che di recente, con la
sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU
ha affrontato il problema dell'effettività del rimedio nazionale
ex lege
n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità dell'art. 54,
comma 2, del d.l. n. 112 del 2008; e, esaminando diacronicamente
tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal
d.lgs. n. 104 del 2010, ha conclusivamente ritenuto che la procedura
nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al
giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della
"legge Pinto" con la disposizione stessa, non possa essere
considerata un rimedio effettivo ai sensi dell'art. 13 della CEDU,
soprattutto perché il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna
condizione volta a garantire l'esame dell'istanza di prelievo;
che la Corte costituzionale ha quindi ritenuto che la norma in esame
si pone in contrasto con la «costante giurisprudenza della Corte
EDU», atteso che l'istanza di prelievo, cui fa riferimento l'art. 54,
comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 (prima della rimodulazione, come
rimedio preventivo, operatane dalla legge n. 208 del 2015), non
costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del
ricorrente (ex art. 71, comma 2, del codice del processo
amministrativo, la parte «può» segnalare al giudice l'urgenza del
ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già
-3-
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
incardinato nel processo e di mera "prenotazione della decisione"
(che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata
del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento
formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non
proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di
indennizzo risulta non in sintonia né con l'obiettivo del contenimento
della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua
eccessiva durata;
che la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che
subordina la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla
necessaria presentazione dell'istanza di prelievo per contrasto con i
parametri convenzionali della CEDU (art. 6 par. 1), la cui violazione
comporta, appunto, per interposizione, quella dell'art. 117, primo
comma, Cost., impone quindi la cassazione del decreto impugnato
con rinvio per nuovo esame alla Corte d'Appello di Roma, in diversa
composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito
dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza, che la mancata
presentazione dell'istanza di prelievo può costituire elemento
indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà,
dell'interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi
assumere rilievo ai fini della quantificazione dell'indennizzo
ex lege
n.
89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa
proponibilità della correlativa domanda;
che al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione
delle spese del giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
accoglie
il ricorso;
cassa
il decreto impugnato e
rinvia
la
causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte
d'appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Civile della Corte suprema di cassazione, il 22 maggio 2019.
Il Presidente estensore
-4-
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
ano
NERI
DEPOSITATO
IN CANCEMIL
Roma,
2
1
on.
2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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