Ordinanza Nº 25760 della Corte Suprema di Cassazione, 15-10-2018

Presiding JudgeMATERA LINA
ECLIECLI:IT:CASS:2018:25760CIV
Date15 Ottobre 2018
Court Rule Number25760
CourtSeconda Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
ORDINANZA
sul ricorso 17131-2014 proposto da:
c.
J
oci
MILITANO GIOVANNI, elettivamente domiciliata a Scilla (RC),
via Bellantoni s.n.c., presso lo studio dell'Avvocato GAETANO
CICCONE che lo rappresenta e difende per procura speciale in
calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MILITANO FRANCESCO,
MILITANO ANTONIA, SOFIO
FRANCESCO, SOFIO ANGELINA, SOFIO GIUSEPPE e SOFIO
ANTONINO, quali eredi di MILITANO MARIA CARMELA,
elettivamente domiciliati a Bagnara Calabra, corso Vittorio
Emanuele 132, presso lo studio dell'Avvocato GIOVANNI
GOLOTTA, che li rappresenta e difende per procura speciale in
calce al controricorso
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 81/2014 della CORTE D'APPELLO DI
(2-'
REGGIO CALABRIA, depositata il 25/2/2014;
(j)
2U(/(
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25760 Anno 2018
Presidente: MATERA LINA
Relatore: DONGIACOMO GIUSEPPE
Data pubblicazione: 15/10/2018
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
non partecipata del 16/05/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
DONGIACOMO
FATTI DI CAUSA
La corte d'appello di Reggio Calabria, con la sentenza n. 81
del 25/2/2014 - dopo aver dato atto che la stessa corte, con
sentenza n. 80, pronunciata in pari data, in accoglimento
dell'appello proposto (da Francesco Militano, Antonia Militano
nonché da Francesco Sofio, Angelina Sofio, Giuseppe Sofio e ad
Antonino Sofio, quali eredi di Maria Carmela Militano) nei
confronti della sentenza non definitiva resa dal tribunale di
Reggio Calabria in data 1/7/2003, ha rigettato la domanda
(accolta, invece, dal tribunale) con la quale Giovanni Militano
aveva chiesto la declaratoria di nullità e/o l'annullamento del
testamento olografo, sottoscritto dalla madre Domenica
Polimeni, datato 2/4/1988 e pubblicato il 9/6/1995, e che, di
conseguenza, il titolo che disciplina la relativa successione è
costituito, non dal testamento del 3/3/1974, ma dal testamento
del 2/4/1988, che ha attributo a Giovanni Militano, quale
disponibile, la camera da letto a piano terra, attualmente
adibita a cucina, ed il resto a tutti e quattro i figli, in parti uguali
- ha parzialmente accolto l'appello proposto nei confronti della
sentenza definitiva resa, nello stesso giudizio, dal tribunale di
Reggio Calabria il 23/12/2004, ed, in accoglimento della
domanda di divisione del compendio ereditario di Domenica
Polimeni sulla base del predetto testamento, ha provveduto ad
assegnare, in comunione
pro indiviso,
a Francesco Militano,
Antonia Militano nonché a Francesco Sofio, Angelina Sofio,
Giuseppe Sofio e ad Antonino Sofio, quali eredi di Maria
Carmela Militano, ciascuno in ragione della rispettiva spettanza,
con addebito per l'eccedenza, l'unico immobile devoluto in via
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ereditaria, ubicato a Bagnara Calabra, fraz. Porelli, via XXIV
Maggio n. 45, come individuato dalla relazione tecnica dell'ing.
Scarano del 16/3/2004, disponendo che gli assegnatari
corrispondessero
pro quota,
a Giovanni Militano, a titolo di
conguaglio, la somma complessiva di C. 19.700,58, oltre
interessi dalla pronuncia al saldo.
La corte d'appello, in particolare, dopo aver escluso dall'asse
ereditario, confermando
in parte qua
la sentenza impugnata, la
stanza adibita a cucina, con l'annesso terreno, in mancanza di
un titolo di acquisto della proprietà in capo alla
de cuius,
affermando, di conseguenza che, avendo il testamento del
2/4/1988 attributo a Giovanni Militano a titolo di disponibile
proprio la stanza adibita a cucina,
"nessuna porzione della res
vada più differenziata per sorte giuridica dall'intero",
ha ritenuto
che l'immobile caduto in successione,
"considerate le
caratteristiche strutturali e funzionali del sito nella sua attuale
distribuzione (per spazi e destinazione) quali esaurientemente
censite e descritte dal professionista officiato (nelle pp. 12-19)",
non fosse divisibile ed ha, quindi, accolto la domanda che, su
tale presupposto, Francesco Militano, Antonia Militano e Maria
Carmela Militano, titolari della quota pari ai tre quarti
dell'intero, avevano proposto nella citazione introduttiva del
giudizio, vale a dire l'assegnazione dell'immobile in proprietà
comune ed indivisa, con conguaglio in favore di Giovanni
Militano, che ha determinato, a fronte del valore complessivo
del bene in C. 51.300,00 (C. 23.100,00 per il piano terra; C.
23.100,00 per il primo piano; C. 5.100,00 per il secondo piano),
nella somma di C. 12.825,00, oltre ai rimborsi già riconosciuti
dal tribunale, pari ad C. 3.815,58 per il rifacimento del bagno
ed C. 3.060,00 per spese funerarie. La corte, invece, ha
rigettato l'appello incidentale con il quale Giovanni Militano
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aveva lamentato il ridimensionamento delle spese per le
ristrutturazioni effettuate negli anni 1962, 1988 e 1994, sul
rilievo che: - i lavori del 1988, sostanzialmente consistiti in una
tinteggiatura, non potevano qualificarsi come un miglioramento
durevole ma come manutenzione ordinaria soggetta a periodica
reiterazione; - non risultava il contenuto che avevano avuto i
lavori del 1994; - i lavori asseverati con scrittura della Polimeni
del 1975 non hanno avuto una prova di riscontro. La corte,
infine, ha ritenuto infondate le doglianze dell'appellato
relativamente alle spese per l'acquisto del corredo per le
sorelle, del pari pretese dall'appellato.
Giovanni Militano, con ricorso notificato il 27/6/2014, ha
proposto, per due motivi, la cassazione della sentenza della
corte d'appello.
Hanno resistito, con controricorso notificato il 19/9/2014,
Francesco Militano, Antonia Militano nonché da Francesco Sofio,
Angelina Sofio, Giuseppe Sofio ed Antonino Sofio, quali eredi di
Maria Carmela Militano.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con
il primo motivo, il ricorrente, lamentando la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 620, 733 e 734 c.c.,
in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza
impugnata nella parte in cui la corte d'appello, in ragione delle
caratteristiche strutturali e funzionali dell'immobile nella sua
attuale distribuzione, lo ha ritenuto non divisibile, laddove, in
realtà, il consulente tecnico aveva ritenuto indivisibile
l'immobile solo sul presupposto della vigenza del testamento
olografo del 3/3/1974, e cioè escludendo dalla massa ereditaria
l'intera porzione sita al primo piano dell'edificio, le parti di esso
poste al primo piano (il secondo fuori terra) ed al secondo piano
(il terzo fuori terra). Se, invece, si considera il testamento del
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2/4/1988, l'immobile comprende anche il piano terra, salvo la
porzione che si è accertato non essere di proprietà della
de
cuius,
sicché la corte d'appello, prima di dichiararlo indivisibile,
avrebbe dovuto disporre una consulenza tecnica, che avrebbe
con ogni evidenza accertato la sua comoda divisibilità, tanto più
che gli attori avevano chiesto l'assegnazione congiunta solo
della parte di immobile go-l-o spettante, con esclusione della
quota spettante a Giovanni. Il ricorrente, poi, ha censurato la
sentenza gleJ4,3— impugnata anche nella parte in cui la corte
d'appello ha provveduto all'assegnazione dell'immobile agli
attori, sul rilievo che gli stessi sono titolari di quote parti altre
quarti dell'intero, laddove, al contrario, a norma dell'art. 720
c.c., in presenza di contrapposte richieste di attribuzione,
l'immobile comune non comodamente divisibile, dev'essere
attributo al condividente titolare della quota maggiore, e cioè,
nella specie, Giovanni Militano, il quale, in quanto titolare della
quota di un quarto, oltre alla disponibile ricevuta dalla
testatrice, è il maggior quotista. La corte d'appello, infine, ha
aggiunto il ricorrente, ha omesso di considerare che la testatrice
ha lasciato a Giovanni Militano una parte precisa dell'immobile,
imputandola direttamente alla quota disponibile, integrando,
così, esplicitamente il disposto degli artt. 733 e 734 c.c..
2.11 motivo è infondato. Escluso, infatti, per ragioni di
autosufficienza, ogni rilievo alle risultanze della consulenza
tecnica che non risultano direttamente o indirettamente
riprodotte in ricorso, rileva la Corte che, in tema di scioglimento
di una comunione ereditaria avente ad oggetto un compendio
immobiliare, l'accertamento del requisito della comoda
divisibilità del bene, ai sensi dell'art. 720 c.c., è riservato
all'apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile
in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua,
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coerente e completa (Cass. n. 5603 del 2016; Cass. n. 7961 del
2003). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte,
infatti, in tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare
ereditario, l'art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il
diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti
con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c.,
trova deroga, ai sensi dell'art. 720 c.c., nel caso di "non
divisibilità" dei beni, come anche in ogni ipotesi in cui gli stessi
non siano "comodamente" divisibili e, cioè quando, pur
risultando il frazionamento materialmente possibile sotto
l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni
suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento,
non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non
richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni
che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero
sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero
(Cass. n. 25888 del 2016; Cass. n. 12498 del 2007). La non
comoda divisibilità di un immobile, integrando, tuttavia,
un'eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla
comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi
legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente
accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti, come
detto, dall'irrealizzabilità del frazionamento dell'immobile, o
dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento o di
costi eccessivi, o dall'impossibilità di formare in concreto
porzioni autonome. La relativa indagine implica un
accertamento di fatto e la conseguente decisione è
incensurabile in sede di legittimità per violazione di legge,
potendosi sindacare soltanto l'eventuale omesso esame di fatto,
ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. n. 30073 del 2017, in
motiv.; Cass. n. 14577 del 2012): ciò che, nella specie, non
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risulta neppure implicitamente dedotto. La corte d'appello, del
resto, ha ritenuto l'indivisibilità dell'immobile alla luce delle "...
caratteristiche strutturali e funzionali del sito nella sua attuale
distribuzione (per spazi e destinazione) quali esaurientemente
censite e descritte"
nella relazione tecnica, alle pagine da 12 a
19, dal consulente tecnico di ufficio, senza che tali rilievi
risultino essere stati specificamente contestati dal ricorrente.
D'altra parte, l'art. 720 c.c. ammette l'assegnazione dell'intero
immobile, non comodamente divisibile, a più coeredi che ne
abbiano fatto richiesta congiunta. Lo scioglimento della
comunione ereditaria non è, infatti, incompatibile con il
perdurare di uno stato di comunione ordinaria rispetto a singoli
beni già compresi nell'asse ereditario in divisione: in effetti,
quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad
eliminare la maggior parte delle varie componenti dell'asse
ereditario, indiviso al momento dell'apertura della successione,
la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in
comunione ordinaria (Cass. n. 20041 del 2016, in motiv.). La
corte d'appello, inoltre, con rilievo rimasto del tutto incontestato
(ma, anzi, dal ricorrente dichiaratamente condiviso: v. il
ricorso, p. 4-5), ha, per un verso, escluso dall'asse ereditario la
stanza adibita a cucina, con l'annesso terreno, in mancanza di
un titolo di acquisto della proprietà in capo alla
de cuius,
e,
dall'altra parte, ritenuto che, avendo il testamento del 2/4/1988
attributo a Giovanni Militano a titolo di disponibile proprio la
stanza adibita a cucina,
"nessuna porzione della res vada più
differenziata per sorte giuridica dall'intero"
(cfr. la
sentenza
impugnata, p. 4 e 36-41), con la conseguenza che Giovanni
Militano resta titolare, al pari degli altri, di una quota pari ad un
quarto.
E
ciò assorbe la censura relativa alla presunta omessa
considerazione del fatto che la testatrice ha lasciato a Giovanni
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Militano
una
parte
precisa
dell'immobile,
imputandola
direttamente alla quota disponibile, integrando, così,
esplicitamente il disposto degli artt. 733 e 734 c.c.. Per il resto,
il ricorrente si duole, a ben vedere, dell'interpretazione che la
corte di merito ha dato della domanda di assegnazione proposta
dagli appellanti. Solo che, come è noto, in tema
d'interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il
significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la
specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui
agli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, o il vizio di
motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso,
a pena d'inammissibilità, le considerazioni del giudice in
contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell'atto oggetto di
erronea interpretazione (Cass. n. 16057 del 2016): ciò che,
nella specie, non è accaduto. Né, del resto, il ricorrente ha
riprodotto, in ricorso, il testo della domanda di assegnazione
svolta dagli appellanti: eppure, com'è noto, al fine di ritenere
integrato il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo
di ricorso per cassazione, quando esso concerna la valutazione
da parte del giudice di merito di atti processuali o di documenti,
è necessario specificare la sede in cui nel fascicolo d'ufficio o in
quelli di parte essi siano rinvenibili, sicché, in mancanza, il
ricorso è inammissibile per l'omessa osservanza del disposto di
cui all'art. 366, comma 1°, n. 6, c.p.c. (Cass. n. 22607 del
2014).
3.Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 723, 724 e 742,
comma 2°, c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., ha
censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte
d'appello non ha accolto l'appello incidentale proposto da
Giovanni Militano, laddove, al contrario, le spese di
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straordinaria amministrazione sostenute nel 1963, nel 1992 e
nel 1988, su mandato della testatrice, sono state provate dai
documenti prodotti e dalle testimonianze assunte, al pari delle
spese del corredo delle due sorelle in occasione del loro
matrimonio.
4.11 motivo è infondato. La valutazione degli elementi
istruttori costituisce, infatti, un'attività riservata in via esclusiva
all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui
conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale
non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in
motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell'art. 116 c.p.c.,
di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura
di prova legale), il giudice civile, invero, ben può apprezzare
discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli
sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore
preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi
istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è
insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e
coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito,
agli elementi utilizzati (Cass. n. 11176 del 2017). Ed è noto che
non è compito di questa Corte quello di condividere o non
condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione
impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di
sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta
dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece,
solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della
loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso
manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si
sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass.
n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel
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caso in esame. La corte d'appello, infatti, ha rigettato l'appello
incidentale proposto da Giovanni Militano in relazione all'omesso
"rilievo" delle prove testimoniali e dei documenti relativi alle
ristrutturazioni effettuate negli anni 1962, 1988 e 1994 ed alle
spese relative all'acquisto del corredo per le sorelle, osservando
che: - i lavori del 1988 sono sostanzialmente consistiti in una
tinteggiatura e, quindi, non possono qualificarsi come un
miglioramento durevole ma come manutenzione ordinaria
soggetta a periodica reiterazione; - non è risultato il contenuto
che abbiano avuto i lavori del 1994; - i lavori asseverati con
scrittura della Polimeni del 1975 non hanno avuto una prova di
riscontro; - le spese relative all'acquisto del corredo per le
sorelle sono risultate del tutto sfornite di prova. Ed è ovvio che,
una volta esclusa la sussistenza, in fatto, delle spese
asseritamente sostenute dal ricorrente, la corte d'appello non
poteva che rigettare l'appello incidentale che lo stesso, quale
appellato, aveva proposto sul punto.
5.11 ricorso, per l'infondatezza di tutti i motivi formulati,
dev'essere, quindi, rigettato.
6.Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono
liquidate in dispositivo.
7.La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per
l'applicabilità dell'art. 13, comma
1-quater,
del d.P.R. n. 115 del
2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228
del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a
rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in C.
3.200,00, di cui C. 200,00 per esborsi, oltre SG per il 15% ed
accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per
l'applicabilità dell'art. 13, comma
1-quater,
del d.P.R. n. 115 del
Ric. 2014 n. 17131, Sez. 2, CC del 16 maggio 2018
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2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228
del 2012.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione
Seconda Civile, il 16 maggio 2018.
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