Ordinanza Nº 11665 della Corte Suprema di Cassazione, 16-06-2020

Presiding JudgeGIANCOLA MARIA CRISTINA
ECLIECLI:IT:CASS:2020:11665CIV
Court Rule Number11665
Date16 Giugno 2020
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
sul ricorso 27097/2018 proposto da:
Sabaly Alassane, elettivamente domiciliato in
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firicorrente
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contro
Ministero Dell'interno
- intimato -
avverso la sentenza n. 1895/2018 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA,
depositata il 03/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/07/2019
da SAN GIORGIO MARIA ROSARIA
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11665 Anno 2020
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA
Data pubblicazione: 16/06/2020
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
FATTI DI CAUSA
1.- Il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso proposto da Sabaly Alassane,
cittadino del Senegal, nei confronti del provvedimento della Commissione
Territoriale competente di diniego delle sue domande di protezione
internazionale nelle varie forme.
2.-Su gravame del ricorrente, la Corte d'appello di Venezia ha confermato
l'ordinanza del Tribunale. Ha premesso che l'appellante, nell'audizione innanzi
alla Commissione aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio Paese perchè
la sua attività di vendita di birra da una bancarella - attività asseritamente
vietata nel suo villaggio di residenza, ma non nel resto del Senegal - non era
accettata dai "signori del villaggio", i quali lo avevano anche colpito al naso.
Al Tribunale il richiedente aveva precisato di essere partito per il timore di
essere arrestato in quanto aveva venduto vino ad alcune persone che si erano
ubriacate, causando una rissa nella quale anche egli era rimasto coinvolto nel
tentativo di dividerle.
La Corte territoriale ha rilevato che, al di là di ogni rilievo sulla credibilità di
tale narrazione, la situazione rappresentata dal richiedente quale fonte di
rischio per lui in caso di rientro nel suo Paese sarebbe stata dallo stesso
evitabile astenendosi dalla vendita di alcoolici sulla strada. Peraltro il rischio
paventato dal richiedente appariva generico, tenuto conto che non erano stati
indicati i presunti persecutori, né erano state riferite minacce concrete.
Nemmeno nel suo racconto l'appellante aveva fatto riferimento alla situazione
generale del Senegal quale fonte di pericolo per la sua incolumità in caso di
rimpatrio. Al riguardo la Corte di merito ha escluso, sulla base della
consultazione di fonti ufficiali internazionali, la sussistenza, nella regione di
Kolda, dove il richiedente è nato ed è vissuto, di una situazione di violenza
generalizzata o di assenza di controllo da parte dello Stato. La Corte lagunare
non ha ravvisato nemmeno i presupposti per la protezione umanitaria
mancando anche qualsiasi allegazione relativa alla presumibile durata di una
esposizione a rischio.
3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre Sabaly Alassane sulla base di un
unico, articolato motivo. Il Ministero intimato non si è costituito nel giudizio.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.-
Con l'unico, articolato mezzo si deduce, ai sensi dell'art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 3,
relazione all'art.3, comma 3, del D.Lgs. n.251 del 2007,
valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente (Senegal) ai
fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un
permesso di soggiorno per motivi umanitari>.
Si deduce l'elevato tasso di
disoccupazione nella zona di provenienza del ricorrente, che non gli avrebbe
consentito di svolgere una diversa attività lavorativa per mantenere la propria
famiglia, nonchè l'inadeguato sistema di protezione statale, e si censura,
pertanto, la decisione della Corte di merito che non ha individuato nella
comunità religiosa il soggetto persecutore del ricorrente, vittima di violenza ed
aggressioni, ed ha ignorato la grave situazione carceraria locale. In definitiva,
la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere in capo al ricorrente una
situazione di vulnerabilità per il rischio di perdere la vita cui lo stesso sarebbe
esposto in caso di rimpatrio, sia per le minacce delle autorità religiose, sia per
le condizioni inumane delle carceri senegalesi; ed avrebbe dovuto inoltre
valutare il suo percorso di integrazione in Italia, risultante dall'attività di
volontariato, provata dall'attestato prodotto nel giudizio di appello.
2.-
La doglianza è infondata.
Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di
cui all'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, al cittadino straniero che
abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve
fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva
ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d'origine, al fine di
verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e
dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo
dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione
d'integrazione raggiunta nel Paese d'accoglienza (Cass., SS.UU., sent. n.
29459 del 2019; Cass., sent. n. 4455 del 2018).
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Non è ipotizzabile né un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero
"parametri di benessere", nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il
sorgere di situazioni di " estrema difficoltà economica e sociale", in assenza di
qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto
prettamente economico (Cass., ord. n. 3681 del 2019).
Nella specie, la Corte territoriale non ha ravvisato ragioni di carattere
umanitario che giustifichino il riconoscimento della protezione umanitaria, in
mancanza, per un verso, di una esigenza qualificabile come umanitaria,
tenuto anche conto della genericità delle minacce denunciate dal ricorrente e
della mancata indicazione dei presunti persecutori, elementi, codesti, che, a
differenza di quanto sostenuto dal ricorrente stesso, denotano la convinzione
del giudice di secondo grado della scarsa credibilità del racconto; per l'altro, in
mancanza di violazione di diritti costituzionalmente tutelati nella regione di
provenienza del richiedente, alla stregua delle fonti di informazione
consultate.
7.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a
provvedimenti sulle spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività
difensiva.
Ai sensi dell'art. 13, comma
1-quater,
del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
ricorso, giusta il comma
1-bis
dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma
1-quater,
del d.P.R. n.
115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso, giusta il comma
1-bis
dello stesso articolo 13, se dovuto.
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Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 4
luglio 2019.
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