Ordinanza Nº 04068 della Corte Suprema di Cassazione, 29-01-2014

Presiding JudgeBRUSCO CARLO GIUSEPPE
ECLIECLI:IT:CASS:2014:4068PEN
Court Rule Number04068
Date29 Gennaio 2014
CourtQuarta Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
(Udito, per la parte civile, l'Av
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sul ricorso proposto da:
FRIJA MOURAD N. IL 30/06/1977
avverso la sentenza n. 4531/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
02/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Penale Ord. Sez. 4 Num. 4068 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO
Data Udienza: 16/01/2014
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Ritenuto in fatto
1.
Con sentenza del 17/4/2012 il Tribunale di Lecco condannava Frija
Mourad alla pena di anni sei di reclusione ed euro 40.000,00 di multa per il
reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente commesso nelle
province di Lecco, Bergamo e Brescia dal mese di dicembre 2008, con condotta
perdurante.
Interposto appello dal difensore dell'imputato in punto di mancata
concessione del rito abbreviato, affermazione della responsabilità penale e
trattamento sanzionatorio, con la sentenza in epigrafe la Corte d'Appello di
Milano lo rigettava confermando integralmente la sentenza gravata.
2.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato, per
mezzo del proprio difensore, sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo deduce inosservanza di norma processuale stabilita a pena
di nullità per non aver la corte territoriale concesso il recupero del rito abbreviato
richiesto ai sensi dell'art. 438, commi 1 e 2, cod. proc. pen., confermando la
decisione del G.u.p. e poi quella del Tribunale che avevano ritenuto tale richiesta
tardiva in quanto proposta successivamente alla formulazione delle conclusioni
del P.M., e ciò in contrasto con la giurisprudenza prevalente che ritiene che essa
possa essere proposta fino al momento in cui il giudice dell'udienza preliminare
dichiari chiusa la discussione.
2.2. Con il secondo deduce vizio di motivazione in ordine all'affermazione
della penale responsabilità.
Premesso che essa viene affermata solamente in base al contenuto di una
serie di intercettazioni telefoniche a carico della sua utenza cellulare, rileva che
da tali contatti (nei quali, secondo il ricorrente, si usano termini per nulla chiari o
non è desumibile il riferimento all'imputato, né comunque la cessione di
stupefacenti) la sua partecipazione nella rete di spaccio è fatta discendere dal
giudice in modo del tutto arbitrario. Rileva altresì che in modo manifestamente
illogico la Corte d'appello desume la penale responsabilità dell'imputato anche
dalla circostanza che lo stesso sia stato trovato in possesso della somma di €
1.490,00, non essendo spiegata la ragione per la quale tale somma non possa
essere considerata legittimamente posseduta quale provento del suo lavoro.
2
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla
determinazione della pena, che assume eccessiva rispetto all'entità dei fatti
commessi.
Considerato in diritto
3. Ritiene questo collegio che il primo motivo d'impugnazione proposto dal
ricorrente - il cui esame non potrebbe comunque ritenersi assorbito
dall'eventuale accoglimento degli altri motivi - impone una rimessione del ricorso
alle Sezioni Unite di questa Corte, stante il contrasto giurisprudenziale sul punto
esistente presso le sezioni semplici, peraltro segnalato anche nella sentenza
impugnata, relativo a questione interpretativa riassumibile nei seguenti termini:
«se può ritenersi tempestiva la richiesta di giudizio abbreviato proposta, nel
corso dell'udienza preliminare, prima che il giudice dichiari chiusa la discussione
ma dopo le conclusioni del pubblico ministero».
3.1. Secondo un primo - più risalente ma prevalente - orientamento a tale
quesito deve darsi risposta positiva.
Tale orientamento risulta espresso una prima volta con la sentenza della
Sez. 1, n. 755 del 14/11/2002 (dep. 13/01/2003), Tinnirello e altri, Rv. 223251.
In quel caso, il ricorrente, difensore degli imputati, si doleva del mancato
riconoscimento, da parte della corte d'appello, in favore dei propri assistiti, della
diminuente di cui all'art. 442 cod. proc. pen.: diniego motivato dalla corte
d'appello - che pure aveva ritenuto ingiustificato il dissenso espresso dal P.M.
sulle richieste di rito abbreviato presentate nell'udienza preliminare - in ragione
dell'unico rilievo per cui tali richieste dovevano considerarsi tardive per essere
state avanzate quando già il P.M. aveva formulato le sue conclusioni chiedendo il
rinvio a giudizio degli imputati.
Con la citata pronuncia la prima sezione riteneva fondata la censura sul
punto svolta dal ricorrente osservando che l'espressione
«fino a che non siano
formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422»
utilizzata nell'allora
vigente art. 439 comma 2 cod. proc. pen. (e riprodotta nel testo dell'art. 438
comma 2 cod. proc. pen. come sostituito dall'art. 27 legge 16 dicembre 1999, n.
479)
è «certamente idonea a ricom prendere l'intera fase della discussione
prevista dal comma 2 dell'art. 421, fino al suo epilogo».
Oltre che dal tenore letterale della disposizione, la prima sezione traeva
argomento dal rilievo che
«il legislatore, quando come negli artt. 162-bis comma
5 cod. pen. e 589 commi 1 e 3 cod. proc. pen. ha voluto collegare delle
decadenze al momento iniziale di una discussione, l'ha detto chiaramente
3
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adottando le espressioni, nettamente diverse, "sino all'inizio della discussione" o
"prima dell'inizio della discussione"»
ed inoltre dalla
«ratio deflazionalistica
dell'istituto, che induce a una interpretazione lata delle norme che regolano
l'accesso al rito abbreviato».
3.2. Tale orientamento è stato successivamente confermato dalla prima
sezione in altre due occasioni, in entrambe pronunciando su conflitti negativi di
competenza sollevati rispettivamente dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di
Varese al giudizio dei quali gli imputati erano stati rinviati con decreti dei G.u.p.
a seguito di declaratoria di inammissibilità di richieste di rito abbreviato avanzate
nel corso dell'udienza preliminare.
3.2.1. Nel primo caso (Sez. 1, n. 15982 del 23/03/2004, Marzocca e altri,
Rv. 227761) tali richieste erano state considerate tardive, in quanto presentate
dopo che il pubblico ministero aveva preso le proprie conclusioni.
Il conflitto di competenza - sollevato, come detto, dal Tribunale di Milano,
che sosteneva l'erroneità di una tale interpretazione proprio alla luce del già
citato precedente di Sez. 1, n. 755/2003 - veniva risolto conformemente
all'ordinanza del giudice remittente, e cioè nel senso che
«deve considerarsi
tempestiva la richiesta di giudizio abbreviato proposta nel corso dell'udienza
preliminare dopo le conclusioni del Pubblico Ministero, in quanto l'espressione
contenuta nel secondo comma dell'art. 438 cod. proc. pen. ("fino a che non
siano state formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422") si riferisce
all'intera fase della discussione fino al suo epilogo, di guisa che il termine finale
per la rituale proposizione della richiesta è rappresentato dal momento in cui si
esaurisce tale discussione».
Si osserva in tale pronuncia che tale indirizzo
è «più aderente
all'interpretazione letterale della norma, che indica come termine finale per la
proposizione della richiesta il momento della discussione nel suo complesso, e
non l'inizio della discussione o particolari momenti della discussione riferibili a
ciascuna parte»,
soggiungendosi altresì in senso convergente che
«la riforma
introdotta con la L. 479/1999 è ispirata ad un vero e proprio "favor" per il rito
abbreviato, in quanto è stata prevista in modo evidente la possibilità di ampliare
gli spazi temporali concessi all'imputato per valutare la propria posizione
processuale e scegliere strategie difensive alternative».
3.2.2. Nel secondo caso (Sez. 1, n. 12887 del 19/02/2009, Iervasi, Rv.
243041), come sì ricava dalla dettagliata esposizione contenuta nella sentenza,
era accaduto che:
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- il Giudice dell'udienza preliminare aveva emesso, all'udienza del 12 ottobre
2007 ed all'esito della discussione, provvedimento di integrazione probatoria ai
sensi dell'articolo 421 bis cod. proc. pen., fissando la nuova udienza per il giorno
21 dicembre 2007;
- a tale udienza aveva prorogato (al 22 febbraio 2008) il termine concesso al
pubblico ministero per lo svolgimento delle indagini integrative;
- all'udienza del 22 febbraio, il difensore e procuratore speciale dell'imputato
aveva, prima che le parti fossero state ammesse alla discussione, formulato
richiesta incondizionata di giudizio abbreviato;
- il Giudice dell'udienza preliminare aveva, tuttavia, disposto il rinvio
dell'imputato al giudizio ordinario, ritenendo che la richiesta di giudizio
abbreviato fosse stata presentata oltre il termine di legge, atteso che la
discussione era già stata dichiarata
«chiusa».
Anche in tal caso la prima sezione ha ritenuto erroneo il provvedimento del
G.u.p. assumendo in buona sostanza, in termini se possibile ancora più
esplicitamente a favore di una interpretazione lata della norma, che momento
effettivamente preclusivo di una successiva richiesta di giudizio abbreviato deve
identificarsi con quello in cui il giudice dichiara formalmente chiusa la
discussione, risultando invece irrilevante che non solo il PM abbia reso le proprie
conclusioni ma che anche le altre parti, compreso il difensore dell'imputato,
abbia già una prima volta concluso, tutte le volte in cui a tale prima discussione
non faccia seguito la detta formale declaratoria di chiusura della discussione, ma
il giudice disponga una integrazione probatoria, dovendo questa essere
necessariamente seguita da una riapertura della discussione finale, nel corso
della quale le parti hanno ancora la possibilità di avanzare la suddetta richiesta.
Più in particolare si osserva in motivazione che, alla luce del tenore letterale
della disposizione contenuta nell'art. 438, comma 2, cod. proc. pen., ed
«in
coerenza con il
favor
che il legislatore manifesta per ogni forma di definizione
anticipata del processo»,
la richiesta di giudizio abbreviato può essere proposta
prima che il giudice dichiari, a norma dell'art. 421, comma 4, cod. proc. pen.,
chiusa la discussione,
«ed il giudice non dichiara mai chiusa la discussione in
tutti i casi in cui dispone attività di integrazione probatoria, quindi tanto nel caso
di cui all'art. 422 c.p.p., quanto in quello di cui all'art. 421 bis c.p.p. (di ciò si ha
letterale conferma nell'incipit di entrambe le disposizioni)».
A tale ultimo riguardo viene considerato irrilevante (e frutto piuttosto di
dimenticanza del legislatore della riforma di cui alla legge 16 dicembre 1999, n.
479), l'omesso richiamo, da parte dell'art. 438, comma 2, cod. proc. pen., oltre
che alle conclusioni previste dagli artt. 421 e 422 cod. proc. pen., anche all'art.
421-bis c.p.p.,
«atteso che, nella nuova udienza fissata dal giudice con
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l'ordinanza per l'integrazione delle indagini prevista da tale disposizione, deve,
come la dottrina ha unanimemente affermato, svolgersi una nuova discussione»,
discendendone comunque
«la possibilità per l'imputato di richiedere il giudizio
abbreviato nell'udienza successiva allo svolgimento, da parte del pubblico
ministero, delle ulteriori indagini previste dall'art. 421 bis c.p.p.».
In conclusione si afferma pertanto nella citata pronuncia che
«la richiesta di
giudizio abbreviato può essere presentata per la prima volta (cioè anche se essa
non sia stata presentata nella precedente discussione) nelle udienze successive
all'attività di integrazione probatoria; l'imputato ha, in altre parole, la possibilità
di temporeggiare, nella previsione che il giudice non dichiari chiusa la
discussione ma disponga l'integrazione probatoria, il più delle volte, nella prassi,
sollecitata dall'imputato stesso (ma si tratta, a tutta evidenza, di un "rischio" che
l'imputato si assume; se il giudice, infatti, non aderisce alla sollecitazione e
dichiara chiusa la discussione, l'imputato si vede definitivamente preclusa la
strada del giudizio abbreviato)».
5.
Giova peraltro ricordare che nello stesso senso della pronuncia da ultimo
esaminata si era già espressa, sia pure incidentalmente, la sentenza della Sez. 5,
n. 6777 del 09/02/2006, Paolone, Rv. 233829, che, nel giudicare erronea la
sentenza della corte d'appello nella parte in cui aveva ritenuto inutilizzabili la
consulenza di parte e i documenti prodotti dall'imputato nel corso dell'udienza
preliminare anteriormente alla richiesta di ammissione al giudizio abbreviato,
rammenta incidentalmente che tale richiesta
«può essere presentata anche dopo
l'eventuale integrazione istruttoria disposta dal giudice dell'udienza preliminare ai
sensi degli art. 421 bis o 422 c.p.p.».
6.
In senso diametralmente e consapevolmente opposto al suddescritto
orientamento (citato però solo nei primi due degli arresti sopra passati in
rassegna) si è invece da ultimo espressa la terza sezione di questa Suprema
Corte con sentenza n. 18820 del 31/03/2011, T. e altri, Rv. 250009, che, in un
caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato era stata avanzata
«dopo che la
discussione era già stata avviata e dopo che il P.M. ed alcuni difensori avevano
già formulato richieste conclusive»
ha ritenuto corretta la decisione della corte
territoriale che aveva ritenuto tardiva la richiesta, affermando il principio
secondo cui quest'ultima
«nell'udienza preliminare può essere proposta sino al
momento in cui il giudice conferisca la parola al P.M. per la formulazione delle
conclusioni».
A fondamento di tale opposta ricostruzione del significato normativo del
riferimento contenuto nell'art. 438, comma 2, cod. proc. pen. al
momento
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precedente quello in cui
«siano formulate le conclusioni a norma degli articoli
421 e 422»
la citata pronuncia postula anzitutto l'intenzione del legislatore di
individuare diversi
"momenti"
anche all'interno dell'udienza preliminare, pur nella
sua apparente informalità (se raffrontata all'udienza dibattimentale).
Ciò, secondo il collegio, rende possibile individuare
«un momento iniziale di
"costituzione delle parti", un momento di "discussione" (nel corso del quale il
P.M. illustra le ragioni a sostegno della propria richiesta di rinvio a giudizio ed i
difensori quelle opposte) ed un momento di "conclusioni" (in cui il pubblico
ministero, prima, ed i difensori, poi, rassegnano) le rispettive richieste finali»,
la
cui distinzione risponde all'esigenza, avvertita dal legislatore,
«di dare ordine ad
un rito (l'udienza preliminare) che non può, e non deve, risolversi in una
generica ed informale discussione produttrice di confusione e di probabili
iniquità»
Una tale esigenza verrebbe - secondo la Corte - tradita dall'opposto
orientamento, tanto più se esteso tanto da far coincidere il momento preclusivo
con quello in cui (avendo tutte le parti concluso) il giudice dichiara chiusa la
discussione.
Si osserva a tal riguardo che
«se tale fosse stato l'intento del legislatore,
non ci sarebbe stato alcun motivo di usare questa espressione composita ed
apparentemente ambigua ma si sarebbe, piuttosto, detto - come fatto
chiaramente nell'art. 421, comma 4 - che la facoltà di richiedere il rito
abbreviato avrebbe potuto, e dovuto, essere esercitata "prima che il giudice
dichiari chiusa la discussione"»
e che, se ciò non è avvenuto
«è perché,
evidentemente, si è inteso ... individuare un termine diverso ed un po'
"anticipato" rispetto a quello della "fine della discussione"».
Si tratta dunque, secondo la pronuncia in esame,
«di una disposizione
decisamente chiara che, a ben vedere, risponde anche a precise esigenze di
trasparenza sulle modalità di svolgimento del rito ed anche di
par condicio
(quando, ad esempio, si tratti di procedimento con più imputati)».
«In tale ultima situazione, infatti, considerata la possibilità, tutt'altro che
remota, che vi siano imputati in posizioni differenti (sì che le scelte difensive
dell'uno possono riverberare sull'altro) deve essere necessario che tutti siano
posti nelle medesime condizioni e che quindi, per tutti, il termine-sbarramento,
entro cui rappresentare le proprie strategie processuali, sia il medesimo.
«Ciò può avvenire solo se - come si ritiene - la lettura dell'art. 421, comma
2 sia quella che lo stesso tenore della norma suggerisce (tanto più se raffrontato
ai diverso linguaggio normativo nell'art. 421, comma 4) e cioè, che la linea di
confine è data dal momento in cui il G.u.p. concede la parola al P.M. per
"formulare le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422".
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
«Diversamente opinando, si potrebbero ingenerare ulteriori motivi di
confusione e di disparità di trattamento a seconda che l'espressione
"formulazione delle conclusioni di tutte le parti" venga intesa separatamente
(vale a dire per ciascun imputato) ovvero, per tutti gli imputati».
«Potrebbe, infatti, darsi il caso (soprattutto per procedimenti con più
imputati) in cui, ad un'udienza preliminare completa, dove tutti abbiano
concluso, in limine della camera di consiglio, uno o più imputati improvvisamente
cambino opinione e riaprano interamente il discorso formulando una richiesta di
rito abbreviato, cui potrebbe accodarsi anche qualche altro imputato.
«... Ma potrebbe anche verificarsi l'ipotesi in cui, invece, si voglia ritenere
ancora aperta la possibilità di chiedere il rito abbreviato solo a "quell'imputato
peri il quale il difensore non abbia ancora concluso", in tal caso, però, si
scivolerebbe su un piano di palese disparità di trattamento tra imputati essendo
evidente che, poiché le discussioni difensive non possono essere simultanee, la
scansione dei tempi di discussione (talvolta, necessariamente ripartita in giorni
diversi) non avrebbe più - come è sempre stato - un obiettivo meramente
pratico di pianificare gli interventi ma potrebbe diventare esso stesso strumento
per nuove strategie difensive alla luce delle conclusioni che vengano, via via,
rassegnate da altri.
«Il tutto, all'evidenza, finirebbe per delineare uno scenario sempre più
confuso in cui il termine per accedere al rito abbreviato (scelta processuale di
non poca rilevanza) non sarebbe più lo stesso per tutti i coimputati ma
risulterebbe legato a profili arbitrari, casuali ed (eventualmente) ad astuzie
difensive».
7. Tale ultima pronuncia esprime all'evidenza un radicale contrasto
interpretativo che, tanto più in quanto ampiamente argomentato nella
consapevolezza dell'opposto orientamento, a sua volta però espresso da più
numerose ma meno recenti pronunce, altrettanto argomentate, giustifica la
rimessione del ricorso alle Sezioni Unite penali ai fini della relativa decisione, a
norma dell'art. 618 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle sezioni unite.
Così deciso il 16/01/2014
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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