n. 51 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 2012 -

IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE Visto l'appello proposto dal pubblico ministero avverso le ordinanze emesse dal Tribunale di Nocera Inferiore rispettivamente in data 30 marzo 2012 ed in data 11 luglio 2012 con le quali sono stati concessi gli arresti domiciliari a G., A, P., E., G., I, D., P., G., D'A., P., M., S., G., F., A., Q., M., B., G., D'A., P., A. Riuniti i procedimenti, a scioglimento della riserva assunta alla udienza del 3 ottobre 2012 ha pronunciato e pubblicato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen. 1. Il pubblico ministero impugna, con l'appello cautelare, le ordinanze de libertate emesse dal Tribunale di Nocera Inferiore con le quali il giudice del dibattimento ha sostituito, ai sensi dell'art. 299 cod. proc. pen„

la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti degli imputati indicati in epigrafe nonostante gli stessi fossero attinti, in via cautelare, da imputazioni aggravate ai sensi dell'art. 7 d.l. 152 del 1991 conv. nella legge n. 203 del 1991 e dunque dall'uso del metodo mafioso do dalla finalita' di agevolare associazioni di tipo mafioso. 1.1. Il primo giudice, sulla base di un orientamento minoritario espresso dalla giurisprudenza di legittimita', dispose la sostituzione della massima misura coercitiva sul rilievo che la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, prevista dall'art. 275, terzo comma, cod. proc. pen. , fosse sussistente con esclusivo riferimento alla fase genetica del vincolo e non anche con riferimento alla fase funzionale di esso, potendo il giudice, in tale ultimo caso, procedere alla ordinaria verifica del trattamento cautelare adeguandolo al caso concreto attraverso la scelta della misura ritenuta piu' idonea alla salvaguardia dell'esigenza cautelare. Nella specie, argomento' il Tribunale come lo stato di incensuratezza della maggior parte degli imputati, i risalenti precedenti penali a carico degli imputati non incensurati, il decorso non trascurabile di un periodo di detenzione complessivamente sofferto da ognuno di essi con funzione di deterrente, la mancata violazione delle prescrizioni connesse agli arresti domiciliari cui gli imputati furono sottoposti, dopo l'esecuzione dell'ordinanza cautelare, con provvedimento adottato dal tribunale del riesame che, in un primo momento, escluse la sussistenza dell'«aggravante mafiosa» (aggravante successivamente ripristinata all'esito del giudizio di rinvio conseguente all'annullamento pronunciato in parte qua dalla Corte Suprema di cessazione), lo scioglimento del comune di Pagani costituissero, nella loro globalita', elementi che, pur insuscettibili di escludere la sussistenza delle esigenze cautelari, consentissero che le stesse fossero passibili di protezione con la concessione degli arresti domiciliari. 1.2. Avverso la suddetta decisione ha proposto appello il pubblico ministero, affidando la doglianza ad un unico complesso motivo con il quale denuncia il vizio di violazione della legge processuale penale (art. 299 cod. proc. pen. in relazione all'art. 275, 3° comma cod. proc. pen.). Deduce l'appellante come gli argomenti, che primo giudice ha ritenuto di trarre da taluni arresti giurisprudenziali (Cass. 25167 del 2010 e Cass. 4424 del 2011) fossero ampiamente contraddetti da un opposto e prevalente indirizzo di legittimita' secondo il quale sarebbe logicamente insostenibile la tesi per cui la presunzione di inadeguatezza delle misure diverse dalla custodia cautelare in carcere, quanto ai reati di cui all'art. 275, 3° comma, cod. proc. pen., opererebbe limitatamente alla sola fase genetica della cautela giacche', se cosi fosse, la disciplina sarebbe connotata da ampi tratti di irrazionalita' nella misura in cui imporrebbe inizialmente l'adozione del massimo vincolo cautelare salvo ad ammetterne immediatamente dopo la successiva graduazione. Da altro lato, piu' squisitamente giuridico, l'appellante rileva come il prevalente indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimita' fosse diversamente orientato sul rilievo che la chiara lettera della disposizione processuale, di cui art. 275 cpv. cod. proc. pen., non autorizzerebbe l'approdo interpretativo, cui e' giunto il primo giudice, sia perche' l'art. 275, 3° comma, cod. proc. pen. non distingue tra fase genetica e fase esecutiva della misura e sia perche', quanto alla specifica fase esecutiva, l'art. 299, 1° comma, cod. proc. pen., espressamente rinvia all'art. 275, 3° comma, cod. proc. pen. con la conseguenza che il legislatore ha voluto mantenere, per taluni reati, ed anche nel corso di detta fase, la presunzione di inadeguatezza delle misure cautelati diverse dalla custodia in carcere (Cass. 351190 del 2011;

Cass. 11749 del 2011;

Cass. 34003 del 2010;

Cass. 20447 del 2005;

Cass. 23924 del 2004). 2. Nelle more della celebrazione dell'udienza camerale per la decisione dell'appello proposto dal pubblico ministero, la questione circa l'ambito di operativita' della presunzione di cui all'art. 275 cpv. cod. proc. pen. per i reati aggravati dall'art. 7 d.l. n. 152 del 1991 e' stata sottoposta al vaglio delle Sezioni unite della Corte Suprema di cessazione con la conseguenza che all'udienza del 25 maggio 2012 su accordo delle parti, l'incidente cautelare e' stato rinviato all'udienza del 28 settembre 2012 e successivamente differito all'odierna udienza, per la quale era fissato altro analogo incidente, sicche', riunite le procedure, le parti hanno rassegnato le loro conclusioni come da verbale in atti. In particolare le parti private hanno concluso, in via principale, per il rigetto dell'appello ed in via subordinata affinche' il tribunale distrettuale sollevasse la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275 cpv. cod. proc. pen. per contrasto, con gli artt. 3, 13 e 27 Cost. 3. La Corte Suprema di cassazione con le sentenze 19 luglio 2012 n. 34473 e 34474 ha statuito, a sezioni unite, che «la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere ex art. 275 cod. proc. pen., comma 3, opera non solo in occasione dell'adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva ma anche nelle vicende successive che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari». 4. Il Collegio non ha alcun motivo per discostarsi da tale insegnamento in quanto perfettamente aderente al dato normativo espresso dalla legislazione ordinaria ed al quale il tribunale distrettuale si e' attenuto in precedenti decisioni adottate anteriormente al recente arresto delle Sezioni Unite penali, tant'e' che, in sede di giudizio di rinvio, ripristino', riconoscendo la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991 conv. nella legge n. 203 del 1991, la custodia cautelare in carcere nei confronti di tutti gli appellati. 5. Va infatti precisato che, all'esito dei gravami interposti avverso la primitiva ordinanza cautelare e con la quale venne disposta la custodia in carcere nei confronti di tutti gli appellati, il tribunale del riesame, escludendo la sussistenza dell'aggravante privilegiata, sostitui' la custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari (tranne che per la posizione di DA.,P, A., per il quale annullo' l'ordinanza impugnata per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza). Successivamente, a seguito di ricorso per cassazione proposto dagli imputati e dall'ufficio del pubblico ministero, la Corte Suprema, in accoglimento del solo ricorso proposto dalla pubblica accusa, annullo' l'ordinanza del tribunale distrettuale limitatamente alla esclusione dell'aggravante di cui all'art. 7, legge n. 152 del 1991 ed alla inconfigurabilita' del reato di cui all'art. 416 ter c.p. (e per il D A., P., A., per la ritenuta esclusione dei gravi indizi di colpevolezza) cosicche' il giudice del rinvio, in ossequio ai principi dettati dalla sentenza di annullamento, ripristino' la custodia carceraria (v. sub 4) in seguito sostituita, a sua volta, con la misura degli arresti domiciliari con le ordinanze emesse dal Tribunale di Nocera Inferiore e che, con il presente gravame, il pubblico ministero impugna. 6. Chiarito che la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per i reati aggravati dall'art. 7, della legge n. 152 dei 1991 (conv. in legge n. 203 del 1991) opera, a legislazione «vigente», sia nella fase genetica che in quella funzionale della misura, va ora valutata la successiva questione e cioe' se la presunzione assoluta prevista in questi casi dal legislatore ordinario, pro semper in itinere iudicii, sia costituzionalmente compatibile o comunque se lo sia la perdurante vigenza di essa anche nella fase successiva all'adozione della cautela. Va ricordato che il tribunale distrettuale ebbe a dichiarare la questione manifestamente infondata, in sede di giudizio di rinvio, equiparando, senza alcuna distinzione, i reati di mafia e di criminalita' organizzata con quelli comunque commessi con il metodo mafioso o con la finalita' dell'agevolazione mafiosa anche se provvisoriamente attribuiti a soggetti che non avessero (o per i quali fosse insussistente la «prova cautelare» che avessero) collegamenti con le associazioni di cui all'art. 416 bis cod, pen. L'autorevolezza e le ragioni poste a fondamento della questione sollevata dalle Sezioni unite, lo sviluppo della progressione processuale (nel giudizio di rinvio la valutazione del tribunale distrettuale era perimetrata in relazione alla fase genetica della misura laddove, in questa sede, rileva la fase esecutiva di essa) e le valutazioni di merito operate dal giudice che ha emesso il provvedimento impugnato le quali, sebbene non spendibili a legislazione vigente a causa del segnalato sbarramento, sarebbero, rimossa la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria, condivisibili con riferimento alla maggior parte dei rapporti giuridici incidentali (esclusi quelli riguardanti le posizioni di D.A., P., A., D.A., P. M. e G., A.) impongono di sollevare la questione di...

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