N. 3 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 luglio 2011

IL TRIBUNALE Visti gli atti del procedimento di esecuzione penale in atto nei confronti di D. M., nato in Mali, il 30 aprile 1985 (CUI 041 VIDC) attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Torino vista l'istanza formulata dal pubblico ministero con richiesta di provvedere in qualita' di Giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art.

673 c.p.p., alla revoca parziale della sentenza emessa in data 9 luglio 2010 dal Tribunale di Torino, irrevocabile il 9 marzo 2011 (con conseguente rideterminazione della pena inflitta) relativamente al solo capo B (avente ad oggetto la condanna dell'imputato per la violazione dell'art. 6, comma 3, d.lgs. n. 286/1998).

Ritenuto che la competenza spetti a questo giudice, quale giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 665 cpp, in quanto il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo;

Sentite le parti all'udienza del 27 giugno 2011, che hanno concordemente richiesto l'accoglimento del ricorso presentato dal pubblico ministero.

Osserva Il Giudice dell'esecuzione dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 673 c.p.p. e, pertanto, si rende necessaria la sospensione del procedimento, onde investire della questione la Corte costituzionale.

  1. - Il procedimento di cognizione.

    Come si evince da quanto riportato in epigrafe, il sig. D.M. ha concordato ex art. 444 c.p.p. con il pubblico ministero l'applicazione della pena di mesi dieci di reclusione ed euro 2.200 di multa in relazione a due ipotesi di reato: capo A): violazione dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 (commesso in Torino, in data 11 giugno 2010); capo B) violazione dell'art. 6, comma 3, d.lgs.

    n. 286/1998 (commesso in Torino, in data 11 giugno 2010).

    Per completezza di informazione, va detto che l'accordo sulla pena e' determinato come segue:

    pena base per il capo A): anni l di reclusione ed euro 3.000 di multa;

    aumentata per la continuazione interna al capo A) ad anni 1 e mesi 2 di reclusione ed euro 3.200 di multa;

    aumentata per la continuazione con il capo B) ad anni 1 e mesi 3 di' reclusione ed euro 3.300 di multa;

    ridotta per la scelta del rito: a mesi 10 di reclusione ed euro 2.200 di multa.

    Il Giudice della cognizione ha quindi ratificato tale accordo sulla pena (riconoscendo il vincolo della continuazione tra le diverse ipotesi di reato in contestazione) emettendo la sentenza del 9 luglio 2010.

    All'udienza del 9 marzo 2011, la Settima Sezione della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso 'perche' non sono stati indicati i motivi a sostegno dell'impugnazione, se non la generica lamentela della violazione dell'art. 606 lett. c) c.p.p.' (C. Cass., Sez. settima, ord. 9 marzo 2011, n. 27296/2011, depositata in data 12 luglio 2011).

  2. - Il quadro normativo e giurisprudenziale.

    Come noto, l'art. 6, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 e' stato novellato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94. Il testo originario prevedeva che 'Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno e' punito con l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a euro 413'.

    A seguito della modifica la norma incriminatrice ora prevede che:

    'Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato e' punito con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda fino ad euro 2.000'.

    Dopo l'entrata in vigore della novella, e' sorta questione in merito all'applicabilita' di tale fattispecie incriminatrice ai cittadini di Paesi terzi non provvisti di permesso di soggiorno.

    Alcune opinioni, in dottrina, ritenevano che la novella avesse comportato una parziale abolitio criminis della fattispecie contestata al sig. D. che - secondo detta prospettiva interpretativa - doveva ritenersi indirizzata esclusivamente ai cittadini di Paesi terzi regolarmente dimoranti sul territorio nazionale (essendo previsto per gli stranieri irregolarmente dimoranti un diverso regime di incriminazione).

    Nelle sue prime decisioni, la Corte di cassazione ha pero' escluso che fosse intervenuta una abolitio criminis parziale (con richiami alla precedente sentenza delle Sezioni Unite n. 45801 del 29 ottobre 2003, ric. Mesky, CED Rv. 226102). Si menzionano, a mero titolo di esempio:

    Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 1857 del 3 dicembre 2010, ric.

    Ben Ali, Ced Rv. 249310. La fattispecie criminosa di ingresso e soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, introdotta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, non ha abrogato, ne' esplicitamente ne' implicitamente, il reato di omessa esibizione, senza giustificato motivo, dei documenti identificativi, previsto dall'art. 6, comma terzo, d.lgs. n. 286 del 1998. (In motivazione la Corte ha ulteriormente precisato che le due fattispecie penali possono concorrere tra loro).

    Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 44157 del 23 settembre 2009, ric. PG in proc. Calmus, Ced Rv. 245555. E' esigibile nei confronti dello straniero, che pure abbia fatto ingresso irregolare nel territorio dello Stato, salvo che ricorra un giustificato motivo, l'obbligo di esibizione dei documenti di identificazione o dei documenti di soggiorno e cio' pur dopo la novella della disposizione incriminatrice ad opera dell'art. 1, comma 22 lett. b), legge n. 94 del 2009.

    Sennonche' - a seguito di un dubbio sollevato dalla Prima sezione Penale della S.C. - le Sezioni Unite hanno affermato il principio esattamente opposto, determinando un significativo revirement giurisprudenziale.

    Cass. Pen. Sez. U, Sentenza n. 16453 del 24 febbraio 2011, ric. PM in proc. Alacev, Ced Rv. 249546. Il reato di inottemperanza all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o dell'attestazione della regolare presenza nel territorio dello Stato e' configurabile soltanto nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, e non anche degli stranieri in posizione irregolare, a seguito della modifica dell'art. 6, comma terzo, d.lgs.

    25 luglio 1998, n. 286, recata dall'art. l, comma ventiduesimo, lett.

    h), legge 15 luglio 2009, n. 94, che ha comportato una 'abolitio criminis', ai sensi dell'art. 2, comma secondo, cod. pen., della preesistente fattispecie per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare.

    Da segnalare che le Sezioni Unite -nel rendere note le ragioni del revirement - hanno sviluppato un complesso apparato argomentativo. La motivazione, da un lato, prende in esame le ragioni dell'orientamento sostenuto dalle due decisioni di segno contrario sopra menzionate; dall'altro lato, affronta una puntuale esegesi della norma, diffondendosi anzitutto sulle ragioni 'grammaticali' (prima ancora che giuridiche) che giustificavano il principio di diritto appena riportato; ragioni grammaticali - quali il valore della congiunzione 'e', in funzione disgiuntiva ovvero copulativa che sono state interpretate anche alla luce 'dell'analisi testuale del dettato normativo nel suo sviluppo diacronico (rispetto al precedente testo) e sincronico (rispetto alle coppie alternative poste all'interno delle due categorie di documenti' menzionate nella norma incriminatrice.

    Per rafforzare il proprio argomentare, le Sezioni Unite hanno quindi richiamato un precedente (e per certi versi analogo) conflitto interpretativo insorto sulla corretta interpretazione da dare all'art. 357 c.p. a seguito della novella del 1990 (conflitto risolto - anche in quel caso - dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 7958 del 27 marzo 1992, ric. Delogu).

    Per completare il ragionamento sviluppato per ricostruire l'esatta interpretazione della norma, le Sezioni unite, nella sentenza Alacev, hanno infine fatto ricorso alla ricostruzione dell'intenzione del legislatore (richiamando gli Atti parlamentari -Senato della Repubblica - n. 733-A, pag. 7).

  3. - L'incidente di esecuzione relativo al sig. D.

    Il provvedimento con cui - in data 9 marzo 2011 - e' stato dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione del sig. D. non ha potuto tenere conto della decisione delle Sezioni Unite, non essendo ancora state pubblicate le motivazioni della stessa.

    Si badi: la Settima sezione - nel trattare l'impugnazione del sig. D. - ben avrebbe potuto assolvere l'imputato, anche in caso di ricorso inammissibile; il principio - gia' affermato piu' volte dalla giurisprudenza - e' stato recentemente ribadito dalla S.C. nella sentenza Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2011 (dep. 1° giugno 2011), n.

    22105, pres. Di Tomassi, rel. Caprioglio, ric. p.m. in proc. Tourghi, in cui si afferma che - pur in presenza di cause di inammissibilita' del ricorso - 'fin tanto che il giudicato formale non si sia formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penale'; la ratio che sorregge tale assunto si fonda sul fatto che -diversamente opinandosi avrebbe il caso di una decisione il cui effetto consisterebbe nel rendere 'definitiva' una sentenza di condanna destinata, immediatamente dopo, ad essere revocata.

    Se, dunque, la Settima Sezione della Corte di cassazione avesse percorso la strada indicata dalle Sezioni Unite, la sentenza di applicazione pena emessa nei confronti del sig. D. sarebbe stata annullata, limitatamente alla decisione intervenuta per il capo B), ossia per il capo della sentenza di cui il PM chiede la revoca nel precedente incidente di esecuzione.

    Va - a questo punto - posto nella giusta evidenza che questo Giudice dell'esecuzione si trova a condividere pienamente la decisione resa dalle Sezioni Unite nel caso Alacev ed intende quindi adeguarsi all'indicazione che la S.C. ha offerto alla giurisprudenza nel massimo esercizio della sua...

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