n. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 gennaio 2014 -

IL TRIBUNALE DI FIRENZE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. n. 8879/2011 promossa da: Furio Simoncioni (C.F. SMNFRU26S19H935K), con il patrocinio dell'avv. Lau Joachim e dell'avv., elettivamente domiciliato in Casa Ajale Salutio SNC 52010 Talla presso il difensore avv. Lau Joachim attore contro Repubblica Federale Tedesca in persona dell'Ambasciatore Michael Gerdts, con il patrocinio dell'avv. Dossena Augusto, elettivamente domiciliato in via Bolognese, 55 - 50139 Firenze presso il difensore avv. Dossena Augusto, convenuto e nei confronti di Repubblica italiana in persona della Presidenza del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato domiciliata per legge in via degli Arazzieri, 4 - 50129 Firenze, intervenuto. L'oggetto della controversia Il signor Furio Simoncioni con atto di citazione notificato per via diplomatica conveniva in giudizio la Repubblica Federale Tedesca chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui patiti nel corso della seconda guerra mondiale per essere stato questi catturato sul territorio italiano da forze militari tedesche a San Giustino e deportato a Mauthausen in data 8 giugno 1944 dove fu liberato solo il 25 giugno 1945 dopo innumerevoli sofferenze. La Repubblica Federale di Germania si costituiva affermando che «i tremendi crimini di guerra perpetrati ai danni della popolazione civile inerme, costituisc(o)no una realta' storica inoppugnabile, il cui peso morale ricade sul popolo tedesco e per la cui responsabilita' la Germania chiede anche in questa sede il perdono delle vittime, dei loro parenti e del popolo italiano tutto. Perdonare non significa voler dimenticare ed anzi la RFG auspica che possa essere continuato il cammino intrapreso con l'Italia per preservare il ricordo delle deportazioni e degli orrendi crimini commessi dai nazisti anche nel nostro Paese». Per contro la Repubblica Federale di Germania eccepiva il difetto di giurisdizione dell'autorita' giudiziaria italiana, chiedeva al giudice di dare attuazione alla sentenza 3 febbraio 2012 della Corte Internazionale di Giustizia, dichiarava di non accettare il contraddittorio sul merito della vicenda chiedendo in ogni caso: a) di esser autorizzata a chiamare in giudizio la Repubblica italiana per esser da lei rilevata indenne ai sensi dell'accordo italo tedesco del 2 giugno 1961;

  1. di dichiarare l'improcedibilita' e l'inammissibilita' della domanda, c) di dichiarare l'estinzione del diritto per intervenuta prescrizione. La Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana si e' costituita, prima ancora di esser stata chiamata in causa, sostenendo l'obbligo di dare esecuzione alla sentenza 3 febbraio 2012 della Corte Internazionale di Giustizia anche attraverso l'adesione alla richiesta di esclusione della giurisdizione italiana. La causa e' stata trattenuta in decisione il 27 giugno 2013 con termini per conclusionali e repliche. Ragioni della decisione La questione oggetto del presente giudizio, con particolare riferimento ai profili che rilevano nel decidere se negare o riconoscere la potesta' giurisdizionale della Repubblica italiana nei confronti della Repubblica Federale Tedesca, e' stata gia' affrontata dalla Corte di Cassazione in modo ripetuto ed approfondito, proprio con riferimento ai crimini del Terzo Reich. E' stata gia' affrontata e decisa anche dal Tribunale di Firenze con sentenze n. 1080, 1081, 1086 3913 del 2012 e sentenze 47 e 48 del 2013 nelle quali e' stata sempre negata la giurisdizione nazionale. Anche nel presente giudizio, instaurato pochi giorni prima della pronuncia della Corte dell'Aja, si tratta di valutare se l'ordinamento giuridico dentro il quale il giudice italiano e' chiamato a decidere la controversia, nel conformarsi alle norme dell'ordinamento giuridico internazionale generalmente riconosciute, imponga al giudice dello Stato dove il crimine internazionale e' stato commesso, di negare l'accesso al giudizio civile risarcitorio di accertamento e condanna, anche quando sul proprio territorio sia stato leso un diritto fondamentale, mediante un crimine di guerra e contro l'umanita', ancorche' ad opera di uno Stato estero nell'esercizio di poteri sovrani. Non e' in contestazione la natura di crimine internazionale del fatto oggetto di causa e la sua potenzialita' lesiva di diritti fondamentali della persona umana come consacrati nella Costituzione italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (2000/C 364/01). Anche considerato che nell'ordinamento interno, i diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione si saldano necessariamente con le norme di jus cogens poste a tutela dei diritti fondamentali della persona dal diritto internazionale venendo in rilievo i medesimi valori tendenzialmente universali di tutela della dignita' della persona. Si legge in Cassazione Sez. Un. Civili, 29 maggio 2008, n. 14202 (che ha affermato la giurisdizione italiana in caso analogo al nostro) che la deportazione e l'assoggettamento dei deportati al lavoro forzato «e' un crimine contro l'umanita', venendo in particolare, sempre a livello di comunita' internazionale, cosi' considerata come inequivocabilmente, tra l'altro, emerge dallo Statuto delle Nazioni Unite firmato a Londra l'8 agosto 1945, sub art. 6, lett. b);

dalla Risoluzione 95 dell'11 dicembre 1946 della Assemblea Generale delle N.U., dai Principi di diritto internazionale adottati nel giugno 1950 dalla Commissione delle N.U., sub 6^, dalle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza n. 827/93 e n. 955/94, con le quali sono stati adottati, rispettivamente, lo statuto del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia (artt. 2 e 5) e lo Statuto del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (art. 3);

sia, infine, dalla Convenzione con la quale e' stata istituita la Corte penale internazionale, sottoscritta a Roma il 17 luglio 1998 da ben 139 Stati (dei quali 120 ratificanti) ed entrata in vigore il 1° luglio 2002 (art. 7-8). E' noto poi che secondo un primo orientamento, inaugurato dalla sentenza n. 5044/2004 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (caso Ferrini), nel nostro ordinamento si e' affermato il principio secondo cui l'immunita' dalla giurisdizione (civile) degli Stati (esteri) riconosciuta dal diritto internazionale consuetudinario non ha carattere assoluto ma puo' trovare un limite anche quando lo Stato operi nell'esercizio della sua sovranita', ove le condotte integrino canini contro l'umanita', tali quindi da configurare un crimine internazionale. Orientamento secondo il quale la tutela dei diritti fondamentali e' affidata a norme, inderogabili, al vertice dell'ordinamento internazionale, che prevalgono su ogni altra disposizione anche di carattere consuetudinario;

per tale ragione ne sarebbe sancita l'imprescrittibilita' e ne conseguirebbe l'universalita' della giurisdizione, che non potrebbe non valere anche per i processi civili che traggono origine da tali gravissimi reati. Sarebbe dunque «irrilevante l'assenza di una espressa deroga al principio dell'immunita': il valore, ormai riconosciuto, di principio fondamentale dell'ordinamento internazionale al rispetto dei diritti inviolabili della persona umana ha degli inevitabili riflessi sugli altri principi ivi operanti, tra cui quello del riconoscimento della immunita' statale dalla giurisdizione civile straniera, secondo i principi generali dell'interpretazione delle norme, che non vanno considerate separatamente ma in quanto facenti parti del medesimo sistema, completandosi ed integrandosi a vicenda». Secondo tale orientamento la Corte Suprema ha in passato ripetutamente affermato che nell'ordinamento internazionale dovesse ritenersi vigente il principio, sovraordinato agli altri, di preminenza dei valori fondamentali della liberta' e della dignita' della persona, la cui lesione non e' consentita neppure agli Stati nell'esercizio della loro sovranita'. Principio che dopo la citata sentenza del 2004 ha poi trovato un assestamento anche argomentativo in 13 analoghe decisioni del 2008 che, anche in replica alle critiche di altre Corti supreme, hanno affermato che la Corte non intendesse negare che i due principi convivono nell'ordinamento internazionale: da un lato il principio dell'immunita' degli Stati (esteri) dalla giurisdizione (civile) per gli atti posti in essere nell'esercizio della sovranita';

dall'altro, quello, di pari portata generale, del primato assoluto dei valori fondamentali della liberta' e dignita' della persona umana. Ma che nel rispetto della gerarchia dei valori il secondo dei principi finisse per conformare necessariamente il primo, dovendosi assegnare «prevalenza alla norma di rango piu' elevato, ossia quella che ha assunto, anche nell'ordinamento internazionale, il ruolo di principio fondamentale, per il suo contenuto assiologico di meta-valore» (Sez. Un. Civili, sentenza 29 maggio 2008, n. 14202, si veda anche Cass. Sent. I sez penale n. 1072 del 21 ottobre 2008). Piu' di recente si e' invece...

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