n. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 dicembre 2013 -

LA CORTE D'APPELLO Ha emesso il seguente decreto nel procedimento iscritto al n. 335/2013 V.G. Letto il ricorso proposto ai sensi della legge n. 89/2001 in data 26 novembre 2013 (ed assegnato, nonche' trasmesso, a questo magistrato in data 3 dicembre 2013) da: Bartuccio Francesco;

nato in data 28 ottobre 1933 a S. Filippo del Mela (ME) e residente in Pace del Mela (ME), via Pace n. 130;

codice fiscale: BRTFNC33R28H842C;

parte rappresentata e difesa per procura ai margini del predetto atto dagli avvocati Isgro' Maria Chiara ed Amato Francesca del Foro di Barcellona Pozzo di Gotto ed elettivamente domiciliata in Reggio Calabria, presso lo studio dell'avv. Dell'Arena Domenica (via Reggio Campi II Tronco n. 111);

pec: avvmariafrancescaamato@pec.giuffre.it;

pec: mariachiaraisgro@pec.giuffre.it;

Vista la documentazione allegata e rilevato che il presente ricorso e' stato depositato allorche' non era ancora decorso il termine di sei mesi dal momento in cui la decisione che ha concluso il cd. procedimento presupposto e' divenuta definitiva (ossia, dal 13 maggio 2013, considerata anche la sospensione processuale dei relativi termini per il periodo delle ferie estive decorso dal 1° agosto 2013 al 15 settembre 2013), donde la sua piena ammissibilita';

dato atto che il procedimento presupposto: ha avuto una durata: per il giudizio di primo grado, di anni nove, mesi undici e giorni quindici (calcolata dalla data della notificazione della citazione introduttiva, e cioe' dal 5 giugno 1991, a quella del deposito della sentenza di merito, ossia al 21 maggio 2001), da ridursi tuttavia - al netto della durata delle udienze il cui differimento e' imputabile al comportamento tenuto dalle parti, compresa quella odierna ricorrente (per n. 1 occasione, in relazione all'udienza del 9 aprile 1999) - ad anni nove, mesi otto e giorni quindici;

per il giudizio di secondo grado (analogamente determinata) di anni cinque, mesi sei e giorni diciassette;

per il giudizio di legittimita', di anni cinque, mesi dieci e giorni dieci;

e quindi, complessivamente, di anni ventuno, mesi uno e giorni dodici;

esso eccede pertanto di anni quindici, mesi uno e giorni dodici rispetto ai termini di cui all'art. 2-bis e 2-ter della legge n. 89/2001;

Valutati la complessita' del caso, l'oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento nonche' degli altri soggetti chiamati a concorrere o a contribuire alla sua definizione;

Dato atto in fatto che la parte odierna ricorrente all'esito del giudizio suddetto e' risultata soccombente, con condanna altresi' alla rifusione delle spese processuali relative ai due gradi di merito del giudizio;

considerato in diritto che: la soccombenza nel giudizio presupposto di colui che promuova un ricorso per equo indennizzo (ai sensi della legge n. 89 del 2001 e modif. succ.) e' stata espressamente prevista quale causa di rigetto della domanda - a termini dell'articolo 2 comma 2-quinquies della legge citata, nel testo in atto vigente - soltanto nel caso in cui concorrano con essa i requisiti ulteriori: della condanna del soccombente per responsabilita' processuale aggravata ex art. 96 C.P.C.;

della condanna del medesimo ex art. 91 primo comma secondo periodo C.P.C.;

ovvero, ancora: dell'aver detta parte posto in essere un abuso di poteri processuali che abbia determinato un'ingiustificata dilazione dei termini del procedimento;

sicche' puo' darsi atto che persiste (pur dopo la novella di cui alla legge n. 134 del 2012) il riconoscimento normativo d'una piena legittimazione in capo alla parte, anche se gia' soccombente nel giudizio presupposto, a far valutare l'eventuale sussistenza d'una lesione del suo diritto a conseguire in un tempo ragionevole una pronuncia risolutiva della questione controversa;

la previsione contenuta nel comma 3 del «nuovo» art. 2-bis, secondo cui «... la misura dell'indennizzo, anche in deroga al comma 1, non puo' in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice ...», che ha introdotto un tetto massimo (o valore «soglia») per la determinazione in concreto del quantum liquidabile prima non previsto, in quanto non coordinata con il superiore principio fa tuttavia sorgere due distinti problemi interpretativi, che esigono coerenti e correlate soluzioni (data la loro reciproca interdipendenza): 1) cosa debba intendersi per «... valore del diritto accertato dal giudice ...»;

2) se l'introduzione d'un tetto massimo all'indennizzo liquidabile cosi' avvenuta valga per tutti i possibili epiloghi del giudizio presupposto e per tutte le parti d'esso (qualora, ovviamente, promuovano un ricorso ex lege Pinto);

rilevato, in proposito: sub 1): che (nella scelta materiale con cui il legislatore ha provveduto a calmierare gli effetti per l'Erario delle decisioni emanande in subiecta materia) il «valore del diritto accertato» e' parametro che (sebbene suppletivo) prevale rispetto a quello del valore della causa, qualora in concreto gli sia inferiore;

che per l'identificazione del parametro primario suddetto (che comunque va determinato, ai fini perequativi citati) unico possibile richiamo si da' con riferimento alla disciplina della determinazione del valore della controversia (rilevante sia in tema d'individuazione del Giudice competente sia per la liquidazione delle spese giudiziali) dettata dagli artt. 7 e ss. fino a 17 del C.P.C.;

che mentre per le cause di valore «determinato» o «determinabile», il «valore soglia» in questione - se ad esso dovesse essere correlato - sarebbe agevolmente individuabile, per le cause cd. di valore indeterminabile e' dubbio se debba applicarsi il criterio per cui la causa avra' valore entro il tetto massimo di competenza del giudice adito (soluzione che potrebbe operare peraltro soltanto per le cause di competenza del giudice di pace) o quello aliunde determinato ai sensi degli artt. 10 e ss., ovvero se la predetta disposizione non trovi applicazione e quindi l'indennizzo liquidabile ex lege n. 89 del 2001 non debba, in tali ipotesi, incontrare alcun tetto massimo (come sembrerebbe potersi arguire, tra l'altro, in materia di accertamento su diritti di personalita', diritti indisponibili o status e posizioni giuridicamente tutelabili analoghe);

che, comunque, l'epilogo del procedimento presupposto, nell'ipotesi di soccombenza in esso di chi promuova ricorso ai sensi della legge n. 89 del 2001, rileva alla luce delle superiori constatazioni anche quale elemento per la determinazione della soglia (o «tetto massimo») della concreta liquidabilita' dell'indennizzo e va pertanto assunto nel novero degli elementi funzionali al merito della decisione emananda;

che in subiecta materia notoriamente e' ammesso che sussiste un pregiudizio in re ipsa, suscettibile dunque di quantificazione equitativa, sicche' non puo' affermarsi: ne' che sia onere del ricorrente dedurre e provare (quale elemento indefettibile per il vaglio della domanda) se sussista e quale sia il valore «soglia» di cui al comma 3 dell'art. 2-bis della legge citata;

ne' che, in difetto d'allegazione o deduzione d'elementi idonei a consentirne l'identificazione e la quantificazione (sempre ai soli fini della legge n. 89 del 2001), tanto ne comporterebbe l'inammissibilita': non si dimentichi, infatti, che si versa in tema di giudizio monitorio cui si applicano i primi due commi dell'art. 640 C.P.C. (secondo cui «... Il giudice, se ritiene insufficientemente giustificata la domanda, dispone che il cancelliere ne dia notizia al ricorrente, invitandolo a provvedere alla prova ...», con l'esito sanzionatorio per cui « ... se il ricorrente...

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