n. 214 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 giugno 2013 -

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 21376-2011 proposto da: B. A. (c.f.), T.A. (c.f.), elettivamente domiciliate in Roma, viale Mazzini 114/B, presso l'avvocato Roberto Di Mattei (Studio associato Coletta), che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati Francesco Bilotta, Anna Maria Tonioni, giusta procura in calce al ricorso;

ricorrenti;

Contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via Dei Portoghesi, 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

controricorrente;

Contro Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Bologna, Comune di Finale Emilia, Procuratore generale della Repubblica presso la Suprema Corte di Cassazione;

intimati;

Avverso il decreto della Corte d'appello di Bologna depositato il 18 maggio 2011, n. 859/10 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 febbraio 2013 dal Consigliere dott. Maria Acierno;

udito, per i ricorrenti, gli Avvocati Anna Maria Tonioni e Francesco Bilotta che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Costantino Fucci che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione. Ritenuto in fatto A. B., unito in matrimonio con A.T., ha proposto domanda di rettificazione di sesso ed attribuzione del sesso femminile al Tribunale di Bologna. Il coniuge e' stato regolarmente citato in giudizio. Il P.M. vi ha partecipato ai sensi dell'art. 70 cod. proc. civ. Con sentenza n. 23 del 2009, passata in giudicato, il Tribunale ha disposto la rettificazione di sesso con attribuzione di sesso femminile e modifica del prenome della parte ricorrente in A. Nella pronuncia si e' ordinato all'ufficiale di stato civile del Comune di Mirandola di provvedere alla rettifica dell'atto di nascita relativo ad A.B. in conformita' alla sentenza pronunciata, ex art. 2 legge n. 164 del 1982. In data 16 ottobre 2009 la sentenza del Tribunale di Bologna e' stata annotata a margine dell'atto di matrimonio, trascritta nel Registro degli atti dello stato civile di Finale Emilia e nel Registro degli atti di matrimonio del Comune di Bologna. L'annotazione eseguita e' la seguente: «con sentenza n. 23/2009 del Tribunale di Bologna l'atto di nascita di B. A. in data 14 ottobre 2009 e' stato rettificato in modo che la' dove e' scritto "maschile" ad indicare il sesso del nato debba leggersi ed intendersi "femminile" e la' dove e' scritto "A." ad indicare il nome debba leggersi "A.", pertanto B.A. coniuge di T.A. ha assunto il nuovo prenome B.A., come da annotazione apposta all'atto di nascita n. 280, Parte I, Serie A, Anno 1971 del Comune di Mirandola». Oltre a tale annotazione in data 18 novembre 2010 e' stata aggiunta la seguente formula: «la sentenza sopra menzionata ha prodotto ai sensi dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 la cessazione degli effetti civili del matrimonio di cui all'atto controscritto a far data dal 29 giugno 2009, cosi' come previsto al paragrafo 11.5. del nuovo massimario dello stato civile». In precedenza, in data 19 marzo 2010 il Comune di Finale Emilia aveva comunicato la variazione anagrafica per cessazione degli effetti civili di matrimonio agli uffici dell'Anagrafe del Comune di Mirandola e di Bologna ai fini delle annotazioni e variazioni anagrafiche di competenza. A seguito di tale comunicazione il Comune di Bologna ha apposto l'annotazione da ultimo descritta a margine dell'atto di nascita di A.T. e degli atti di matrimonio. Hanno proposto ricorso presso il Tribunale di Modena A.B. e A.T. ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000 chiedendo la rettificazione delle predette annotazioni e la loro cancellazione, in quanto apposte in assenza dei requisiti di legge. Il Ministero dell'Interno si e' costituito chiedendo il rigetto del ricorso ed il Tribunale di Modena, in accoglimento della domanda, ha dichiarato illegittima l'annotazione in oggetto e ne ha disposto la cancellazione, perche' eseguita in assenza delle condizioni previste dall'art. 02 del citato d.P.R. n. 396 del 2000, affermando in particolare che l'annotazione di scioglimento del matrimonio per l'avvenuta rettificazione di attribuzione di sesso puo' eseguirsi solo in ragione di una sentenza dell'autorita' giudiziaria che dichiari la cessazione del vincolo coniugale. Avverso tale provvedimento ha proposto reclamo il Ministero dell'Interno;

si sono costituite le ricorrenti in primo grado. Il P.M. ha aderito al reclamo. La Corte d'Appello di Bologna lo ha accolto sulla base delle seguenti argomentazioni: l'annotazione non e' stata disposta fuori dei casi consentiti, trattandosi di un doveroso aggiornamento cui e' tenuto l'ufficiale dello stato civile, dal momento che nel sistema unico integrato non possono darsi atti relativi alla stessa persona che non si corrispondano. Peraltro, in mancanza dell'annotazione contestata sarebbe A. (declinato al maschile) e non A. a essere ancora coniugato;

i cambiamenti di nome e di sesso vanno annotati anche nel registro degli atti di matrimonio (art. 69 d.P.R. n. 396 del 2000). La successiva annotazione del 18 novembre 2010 costituisce la mera riproduzione della lettera della norma che qualifica la rettificazione di sesso una causa di scioglimento automatico del matrimonio;

l'art. 4 della legge n. 164 del 1982 non e' stato abrogato dalla modificazione dell'art. 3 della legge n. 898 del 1970, intervenuta ex legge n. 74 del 1987, essendo gia' contenuto nel citato art. 4 il rinvio alla legge n. 898 del 1970 per la disciplina dello scioglimento del matrimonio, ragione per cui le modifiche successive ne costituiscono una precisazione non incompatibile con il sistema preesistente;

del tutto incompatibile e' invece l'interpretazione proposta dalle resistenti, perche' consentire il permanere del vincolo matrimoniale, rettificato che sia il sesso di uno dei coniugi, significa mantenere in vita un rapporto privo del suo indispensabile presupposto di legittimita', la diversita' sessuale dei coniugi, dovendosi ritenere tutta la disciplina normativa dell'istituto rivolta ad affermare tale requisito. L'interpretazione prospettata dalle resistenti della modifica introdotta con la legge n. 74 del 1987 all'art. 3 della legge n. 898 del 1970 sarebbe del tutto contrastante con i principi di ordine pubblico che regolano la materia, dal momento che non possono darsi rapporti in contrasto con la disciplina positiva che li regola, trattandosi di un settore, come quello che concerne lo stato delle persone, di pubblico interesse. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione A. B. ed A. T. Ha resistito con controricorso il Ministero dell'interno. Nelle articolate censure proposte dalle ricorrenti si deduce, tra l'altro ed in particolare, che la affermazione implicita, contenuta nel provvedimento impugnato, che non sarebbe necessaria una dichiarazione giudiziale di scioglimento del vincolo quando sia stata pronunciata la rettificazione di sesso viola il principio secondo il quale tale scioglimento deve necessariamente formare oggetto di una pronuncia del giudice. Si osserva al riguardo che siffatto principio non solo e' chiaramente recepito nella legge n. 898 del 1970, che non contempla ipotesi di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio che non siano pronunciate dalle autorita' giudiziaria, analogamente a quanto e' disposto per le cause di invalidita' del matrimonio di qualsiasi natura, ma deve essere ritenuto un principio inderogabile di ordine pubblico interno. Si rileva altresi' che l'annotazione dell'ufficiale dello stato civile di cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito della sentenza di rettifica di sesso non puo' ritenersi legittimata solo perche' recepisce una astratta previsione normativa, trovando applicazione il principio di tassativita' degli atti amministrativi desumibile dagli artt. 453 c.c., 11, comma terzo, 12, comma primo, 69 e 102 del d.P.R. n. 396 del 2000. Sotto altro profilo si censura il decreto impugnato per aver ritenuto che lo scioglimento del vincolo derivante dalla rettifica di sesso non deve essere dichiarato mediante il procedimento giudiziale di cui alla legge n. 898 del 1970. Si osserva al riguardo che la modifica dell'art. 3 di detta legge introdotta dalla novella di cui alla legge n. 74 del 1987 non ha determinato alcun mutamento nel regime giuridico preesistente, avendo indicato soltanto l'iter processuale per il conseguimento degli effetti dello scioglimento medesimo, e che d'altro canto, ancor prima dell'innesto della lettera g) nel citato art. 3, l'art. 4 della legge n. 164 del 1982 rinviava alla legge n. 898 del 1970. Sotto ulteriore profilo si rileva che l'affermazione della decisione impugnata secondo cui il permanere del vincolo tra coniugi divenuti dello stesso sesso sino a che non intervenga una pronuncia giudiziale di cessazione degli effetti civili del matrimonio sarebbe contrario ai principi di ordine pubblico che regolano l'istituto, ed in particolare a quello che fonda il matrimonio sulla diversita' di sesso, finisce con l'equiparare ingiustificatamente la situazione di due persone dello stesso sesso che intendono contrarre matrimonio a quella di due soggetti regolarmente coniugati, uno dei quali decida di mutare sesso. Si evidenzia al riguardo che la diversita' tra orientamento sessuale ed identita' di genere e' stata riconosciuta di recente anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010, come gia' in passato in quella n. 161 del 1985, identificandosi il transessuale in un soggetto che, pur presentando i caratteri genetici e fenotipici di un determinato genere, sente di appartenere ad un altro genere del quale ha assunto l'aspetto esteriore ed adottato i comportamenti. Si osserva...

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