N. 54 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 2012

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 255 del 2011, proposto da: Agostino Chiappiniello, rappresentato e difeso dagli avv. Sandro Campilongo e Stefano Tarullo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar Umbria, via Baglioni n. 3 (Perugia);

Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici e' pure legalmente domiciliata in Perugia, via degli Offici, 14; Corte dei conti, in persona del Presidente pro-tempore, non costituita in giudizio;

Per l'accertamento del diritto di parte ricorrente alla percezione del trattamento retributivo nella sua interezza, e con esclusione dell'applicazione delle norme del d.l. 31 maggio 2010, n.

78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.

122, con conseguente condanna delle amministrazioni intimate, in solido, o secondo le rispettive responsabilita' e competenze, alla corresponsione delle somme dovute, oltre agli accessori di legge;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2011 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

F a t t o Il ricorrente, magistrato contabile in servizio dal 4 marzo 1985, assegnato alla sede di Perugia con la qualifica di consigliere e stipendio di presidente di sezione, chiede l'accertamento del proprio diritto al trattamento retributivo nella sua interezza, con esclusione dunque delle decurtazioni prodotte dalle norme di cui all'art. 9 del d.l. 31 marzo 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, con conseguente condanna dell'aministrazione di appartenenza e della Presidenza del Consiglio dei ministri, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale.

Espone che, a fare tempo dall'anno 2011, gli e' stata applicata la decurtazione stipendiale di euro 8.671,64 per effetto della riduzione di spesa coattivamente operata dall'art. 9, comma 2, del predetto d.l. n. 78 del 2010; nel corso del triennio 2011/2013 subira' il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo previsto dall'art. 9, comma 21 dello testo legislativo; inoltre subisce la trattenuta della percentuale della indennita' giudiziaria di cui alla legge n. 27 del 1981, che e' pari ad euro 2.013,07 per l'anno 2011, di euro 3.355,11 per l'anno 2012, e di euro 4.294,55 per l'anno 2013, in applicazione dell'art. 9, comma 22; infine, al momento della cessazione del rapporto, subira' l'applicazione dell'art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, che prevede la rateizzazione della corrispondente indennita', mentre fin da subito subisce gli effetti dannosi dell'applicazione del comma 10, che dispone la sostituzione dell'indennita' di buonuscita con il meno favorevole trattamento di fine rapporto, pur perdurando sui dipendenti pubblici la trattenuta aggiuntiva del 2,50% sull'80% della retribuzione, in aggiunta all'aliquota, a tutti i lavoratori dipendenti applicabile, del 6,91% prevista dall'art. 2120 del c.c.

Nel censurare le suddette disposizioni di legge, deduce a sostegno delle pretese azionate la violazione degli artt. 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100, 101, 108, 111 e 113 della Costituzione, nonche' l'eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, e segnatamente l'assoluta illogicita' ed irrazionalita', l'ingiustizia manifesta, l'errata valutazione dei presupposti, la carenza di istruttoria, il difetto di motivazione, l'omessa ponderazione di interessi rilevanti, lo sviamento, la contraddittorieta' intrinseca ed estrinseca dell'atto, la violazione del principio del 'giusto procedimento'.

  1. - Con riferimento al comma 2 dell'art. 9, si solleva la questione di legittimita' costituzionale della disposizione, nella parte in cui prevede specifiche misure di riduzione delle remunerazioni piu' elevate, ed in particolare la decurtazione, nella percentuale del 5% e del 10%, delle quote di trattamento economico superiori, rispettivamente, ad euro 90.000 ed euro 150.000 annui lordi.

    Anzitutto viene dedotto il contrasto della norma con l'art. 53 della Costituzione e la lesione dei principi di proporzionalita' e progressivita' dell'imposizione, anche con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

    L'art. 9, comma 2, oggetto di censura, presenta un'indubbia natura tributaria, atteggiandosi alla stregua di prelievo fiscale coattivo ed occulto realizzato nelle forme di una dichiarata decurtazione stipendiale; anziche' prevedere, in un contesto economico-finanziario eccezionale, interventi straordinari e/o temporanei di prelievo forzoso, sono state adottate misure continuative e stabili, per di piu' limitate ad una ben delimitata 'classe di persone', senza assumere a parametro dell'esazione uno o piu' indici di capacita' contributiva potenzialmente posseduti da 'tutti', secondo la previsione dell'art. 53 della Costituzione. Il risultato dell'operazione e' che una singola categoria di lavoratori (quelli pubblici) viene isolata dalla platea dei contribuenti e colpita da una previsione ad hoc, la quale prescinde palesemente dal fatto che, a parita' o superiorita' di reddito, altri contribuenti godano di eguale o maggiore capacita' contributiva. La norma ha deciso di 'tassare' una certa categoria di soggetti per la maggiore facilita' del prelievo, mentre ceti ben piu' abbienti sono stati lasciati incredibilmente al di fuori delle previsioni di stabilizzazione finanziaria qui contestate.

    Ove si intendesse escludere la natura tributaria del prelievo, emergerebbe ancora piu' nettamente il carattere arbitrario della disposizione, che non rende intelligibile la ragione per cui il risparmio di spesa dovrebbe operare solo su redditi eccedenti gli scaglioni dei 90.000 e dei 150.000 euro.

    In secondo luogo, l'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 viola gli artt. 2 e 3 della Costituzione, ed in particolare i principi di uguaglianza e di ragionevolezza legislativa, oltre che il principio di solidarieta' sociale, politica ed economica.

    La violazione del principio di eguaglianza appare palese nella discriminazione tra i soggetti che risultano ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 9, comma 2, e quelli che, senza alcuna ragionevole giustificazione, ne risultano esclusi; cio' rileva indipendentemente dal fatto che al prelievo in questione si voglia o meno riconoscere natura tributaria.

    La disposizione discrimina tra soggetti che hanno identica capacita' economica; il cd. 'risparmio di spesa' avrebbe dovuto interessare tutti i redditi prodotti in Italia e/o da cittadini italiani riconosciuti di eguale capacita' contributiva, e non gia' soltanto i fruitori di un trattamento retributivo pubblico, qualitas che di per se' nulla dice circa la maggiore o minore idoneita' del soggetto colpito a contribuire alle esigenze della finanza pubblica.

    E', del resto, ingiusto che lo Stato intenda accollare le misure di riduzione della spesa, che andranno a vantaggio di tutti, solo ad una parte dei cittadini, che peraltro non rappresenta la categoria piu' facoltosa.

    Per tale ragione, la norma collide anche con l'art. 2 della Costituzione e con i principi di solidarieta' sociale, politica ed economica, cui corrispondono ben precisi 'doveri inderogabili', cioe' da ripartire tra tutti.

    Significativo e', al contrario, che a parita' di reddito, e dunque al raggiungimento delle soglie dei 90.000 e dei 150.000 euro, i dipendenti privati od i lavoratori autonomi non subiscono alcuna incisione patrimoniale.

    Peraltro, anche nell'ambito del pubblico impiego, non puo' tacersi che l'art. 9, comma 2, opera una netta distinzione tra i dipendenti, a seconda che abbiano un reddito maggiore o minore dei 90.000 euro; al contrario, il prelievo, se davvero necessario, avrebbe dovuto gravare in minima parte su ciascun dipendente.

    In altri termini: o la logica e' quella della riduzione della spesa, ed allora, per non infrangere il principio di eguaglianza, il taglio deve operare allo stesso modo su tutte le spese (redditi da lavoro dipendente), o la logica e' quella della progressivita' del prelievo (art. 53 della Costituzione) ed allora l'incisione deve operare su tutti i redditi (da lavoro pubblico o privato ed anche da altre fonti) che denotino eguale capacita' contributiva.

    Si aggiunga ancora che la Raccomandazione CM/Rec(2010)12 sui giudici adottata in data 17 novembre 2010 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, al punto 54, non solo richiede che la retribuzione dei giudici sia commisurata al loro ruolo professionale ed alle loro responsabilita', ma esplicitamente esige che essa sia tale da 'renderli immuni da qualsiasi pressione volta ad influenzare le loro decisioni'; in particolare, si chiede agli Stati membri che siano 'adottate specifiche disposizioni di legge per garantire che non possa essere disposta una riduzione delle retribuzioni rivolta specificamente ai giudici'.

    Ove poi non si volesse individuare nell'art. 9 una disposizione tributaria, non puo' negarsi la natura espropriativa della norma, atteso il suo fine ed effetto di ablazione di redditi formanti oggetto di diritti gia' quesiti dal pubblico dipendente.

    Si tratta, in tale prospettiva, di una norma-provvedimento che, in quanto tale, viola il principio di imparzialita' di cui all'art.

    97 della Costituzione; in particolare, e' una legge non imparziale anzitutto perche' sottrae all'amministrazione la fase istruttoria e quella decisoria; inoltre manca ogni indennizzo dovuto a fronte della misura espropriativa (l'indennizzo si sarebbe potuto tradurre in misure di vantaggio per i soggetti colpiti dall'ablazione patrimoniale, quali una ridefinizione in melius dell'orario o delle condizioni di lavoro, specie con riguardo all'aumento dei carichi di lavoro a fronte...

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