n. 90 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 gennaio 2014 -

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 14204-2012 proposto da: Sorasio Chiara, Ferrero Chiara Agnese, Parola Teresa, Ballari Margherita, Longo Vaschetti Pietro Placido, Sorasio Ernesto, Giordana Riccardo, Parola Delfina, Pistone Annamaria, Giletta Adriano, Parola Giuseppe, Parola Bartolomeo, Parola Maddalena, Longo Vaschetti Giovanna, Sorasio Roberto, Sorasio Catterina, Ferrero Giovanni, Ferrero Anna Maria, Botto Federica, Sorasio Tommaso, Sorasio Giuseppe, Luino Margherita, Spertino Giovanna, elettivamente domiciliati in Roma, via Ruggero Fauro 43, presso lo studio dell'avvocato Petronio Ugo, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato Scaparone Paolo, per delega in calce al ricorso;

ricorrenti;

Contro Agenzia Interregionale per il Fiume Po;

intimata;

Avverso la sentenza n. 44/2012 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, depositata il 14/03/2012;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/2013 dal Consigliere dott. Salvatore Salvago;

Udito l'Avvocato Ugo Petronio;

Udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Pasquale Paolo Maria Ciccolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo 1. Il Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, con sentenza del 24 febbraio 2006, divenuta definitiva, annullava gli atti della procedura ablativa condotta dall'Agenzia interregionale del fiume Po (AIPO) nei confronti di alcuni terreni di proprieta' di Giovanna Longo Vaschetti, Pietro Placido Longo Vaschetti, Chiara Sorasio, Chiara Agese Ferrero, Teresa Parola, Margherita Ballari, Ernesto Sorasio, Riccardo Giordana, Delfina Parola, Annamaria Pistone, Adriano Giletta, Giuseppe Parola, Bartolomeo Parola, Maddalena Parola, Roberto Sorasio, Catterina Sorasio, Giovanni Ferrero, Anna Maria Ferrero, Federica Botto, Tommaso Sorasio, Giuseppe Sorasio, Margherita Luino, Giovanna Spertino;

e preordinata a realizzare un argine lungo il torrente Varaita onde evitare il ripetersi di esondazioni in danno del territorio comunale. Non avendovi l'AIPO dato esecuzione, i proprietari ottenevano dal TSAP la nomina di un commissario ad acta, con il potere di provvedere alla restituzione degli immobili espropriandi, ovvero di conseguirne l'acquisizione tramite l'istituto di cui all'art. 43 T.U. espr. appr. con d.p.r. 327/2001. Sicche', dichiarata la norma incostituzionale con sentenza 293/2010 della Corte costituzionale, ed introdotto nello stesso T.U. l'art. 42-bis attraverso la legge 111 del 2011, il Commissario, con provvedimento del 5 agosto 2011, disponeva l'acquisizione dei terreni al patrimonio dell'AIPO, liquidando ai proprietari l'indennizzo di cui alla nuova norma. Il ricorso di costoro e' stato quindi respinto dal TSAP con sentenza del 14 marzo 2012 che ha ritenuto l'acquisizione coattiva conforme alla normativa dell'art. 42 Costit., in quanto: a) l'istituto prevede un procedimento espropriativo semplificato, in cui vi e' contestualita' tra la valutazione sulla pubblica utilita' (in comparazione con gli interessi del privato) ed il provvedimento espropriativo in senso proprio;

ed attribuisce al privato un ristoro economico piu' vantaggioso perche' comprendente il pregiudizio non patrimoniale;

  1. risulta altresi' conforme al principio di legalita' predicato dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, posto che non soltanto risponde ad esigenze di interesse pubblico, e tutela il diritto di proprieta' rispetto al potere ablatorio della p.a., ma introduce nella materia un assetto chiaro,preciso e prevedibile: percio' a nulla rilevando l'esclusione, della tutela restitutoria, sempre rimessa al potere discrezionale del legislatore. Nel merito il Tribunale ha considerato il provvedimento congruamente motivato sia sulle ragioni di interesse pubblico e di tutela della pubblica incolumita' che ne consentivano l'adozione, escludendo possibili alternative;

    sia sul criterio di determinazione dell'indennizzo. Per la cassazione della sentenza, i proprietari hanno formulato ricorso per 3 motivi. L'AIPO non ha spiegato difese. Motivi della decisione 2. I ricorrenti hanno preliminarmente riproposto l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni,dubitando della sua conformita' alla normativa degli art. 117 Costit. ed 1 Protocollo 1 all. alla Convenzione Edu, per la sua evidente funzione sanante di un comportamento illecito dell'amministrazione, dato che allo stesso e' attribuita validita' giuridica: con il conferimento alla p.a. del potere di trarne vantaggio e di trasformarlo in una situazione lecita, nonche' di regolarne unilateralmente le conseguenze a proprio favore. Il che corrisponde proprio alla nozione di espropriazione indiretta, dalla Corte europea dichiarata incompatibile con la Convenzione pur nell'ipotesi in cui essa derivi da una disposizione di legge, poiche' persegue egualmente il risultato non consentito, di rendere l'ingerenza illecita nella proprieta' privata una alternativa ad un'espropriazione svolta secondo i canoni di legge. La questione e' anzitutto rilevante nel presente giudizio in quanto, da un lato, e' pacifica l'applicabilita' del menzionato istituto (re)introdotto dall'art. 42-bis T.U.;

    e dall'altro e' proprio il sopravvenire di detta normativa ad aver mutato quella precedente piu' favorevole, invocata dai ricorrenti,ed in particolare ad impedire la restituzione dei terreni di fatto occupati dall'AIPO: del resto posta come alternativa dallo stesso provvedimento 107/2010 del TSAP ove il Commissario non avesse ritenuto di procedere all'acquisizione sanante ai sensi dell'allora vigente art. 43 del T.U. S'intende significare che l'esame dei motivi di ricorso potrebbe indurrebbe astrattamente al rigetto dello stesso, nella vigenza della norma della cui legittimita' costituzionale si dubita, conseguendone che, ove invece l'art. 42-bis, per i consistenti dubbi di compatibilita' con la Carta costituzionale, venisse espunto dall'ordinamento, i ricorrenti fruirebbero del trattamento, risultante dalla disciplina previgente all'emanazione delle disposizioni impugnate, per loro piu' favorevole e consistente nella restituzione dell'immobile soggetto ad occupazione in radice illegittima, ed al risarcimento del danno informato ai principi generali dell'art. 2043 cod. civ., con accoglimento dei restanti motivi di ricorso. Alla completa tutela reintegratoria essi avevano, infatti, diritto in base al regime comune previgente: in quanto contestualmente alle note decisioni 161/1971 e 138/1981 della Corte costituzionale sui limiti di intangibilita' dell'atto amministrativo, questa Corte fin dalle sentenze 4423/1977 e 118/1978 delle Sezioni Unite aveva enunciato la regola che nell'ipotesi di compressione di fatto del diritto di proprieta' privata da parte della P.A., di funzione amministrativa ablatoria meritevole della particolare tutela apprestata dall'art. 42 Costit. nonche' dall'art. 4 della legge 2248 del 1865 All. E puo' parlarsi soltanto nel caso di provvedimenti espropriativi assistiti dalla dichiarazione di p.u. e non anche nel caso di mero impiego,sia pure per fini pubblici, dell'immobile altrui materialmente appreso o dell'utilita' da esso materialmente ritratta con continuata o reiterata compressione di fatto dell'altrui diritto dominicale. Sicche' ove la prevalenza dell'interesse pubblico sull'interesse privato non sia esternata nell'atto tipico del procedimento amministrativo, costituito appunto dalla dichiarazione suddetta, la semplice intromissione nell'immobile privato e la sua materiale utilizzazione non puo' valere a trasformare in esercizio di potesta' amministrativa ne' l'iniziale apprensione del bene, ne' la sua successiva detenzione,in quanto lo status soggettivo dell'occupante non riveste alcuna rilevanza;e non ne presenta del pari nessuna la successiva e non consentita trasformazione del fondo da parte dell'ente pubblico (c.d occupazione usurpativa) che, restando fine a se' stessa, non pone alcun problema di bilanciamento di interessi, ma produce soltanto le conseguenze proprie dell'illecito comune di carattere permanente ed e' inquadrabile, sotto ogni profilo, nello schema degli art. 2043 e 2058 cod. civ. Il quale, dunque, non solo non consente l'acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, costituente funzione propria della vicenda espropriativa, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell'ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell'immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione ecc.);

    oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell'art. 2043 cod. civ. (Cass. sez. un. 3081 e 3380/1982, piu' di recente: sez. un. 14886/2009;

    1907/1997, nonche' sez. 1ª 1080/2012;

    9173 e 18239/2005;

    15710/2001). 3. Siffatta disciplina - che trovava deroga nelle fattispecie della c.d. occupazione espropriativa, tuttavia subordinata alla ricorrenza di specifici presupposti, tra cui la sussistenza di una valida dichiarazione di p.u. (Cass. sez. un. 3940/1988;

    3242 e 3243/1979 e succ.), ed ora eliminata dal T.U. espropr. appr. con d.p.r. 327/2001 - e' stata profondamente modificata dall'originario art. 43 dello stesso T.U.;

    e, dichiarata quest'ultima disposizione costituzionalmente illegittima per eccesso di delega dalla sentenza 293/2010 della Corte Costit., dall'art. 34 d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. con mod. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», che ha inserito nel T.U. 42-bis («Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico»), del seguente tenore: «Valutati gli interessi in conflitto, l'autorita' che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilita', puo' disporre che esso sia acquisito, non...

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