n. 86 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 2014 -

IL TRIBUNALE DI ROMA Il giudice Visto il ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile, iscritto al RG 43571/2013, proposto dai coniugi M.V. e C.F., nei confronti della Azienda USL Roma A e del Centro per la tutela della salute della dorma e del bambino S. Anna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore;

Rilevato che si e' costituita l'azienda resistente chiedendo il rigetto della domanda;

Visto l'atto di intervento ad adiuvandum della associazione «Luca Coscioni, per la liberta' di ricerca scientifica»;

dell'associazione «Amica Cicogna Onlus», dell'associazione «Cerco un Bimbo», dell'associazione «L'altra Cicogna»;

Sentite le parti e lette le note autorizzate depositate;

A scioglimento della riserva assunta alla udienza del 15 ottobre 2013 con termine per note fino a giorni venti ed un ulteriore termine per eventuali repliche fino a giorni cinque, osserva quanto segue;

Premesso in fatto I ricorrenti, premesso di aver contratto matrimonio in data 8 luglio 2012 in Roma e di essere tuttora coniugati e conviventi, hanno esposto quanto segue. La moglie, M.V. e' portatrice sana eterozigote di una «traslocazione reciproca bilanciata tra il braccio corto di un cromosoma 3 ed il braccio lungo di un cromosoma 5 con punti di rottura rispettivamente in 3p25 5q33, di derivazione materna», malattia genetica diagnosticata all'odierna ricorrente in data 24 novembre 2006 con analisi del cariotipo eseguita dal Laboratorio di genetica medica del Policlinico di Tor Vergata. Come evidenziato in data 25 ottobre 2010, sulla base di una successiva consulenza genetica resa dal dott. Mario Bengala del Policlinico di Tor Vergata di Roma: «Questa condizione interessa una persona su 500 e non si associa solitamente ad alcun effetto fenotipico nel portatore che pero' ha invece un rischio riproduttivo aumentato rispetto a quello della popolazione generale;

infatti il 50% dei concepimenti esita in un aborto spontaneo nelle prime settimane di gestazione e l'8-12% in un prodotto con cariotipo sbilanciato», con conseguenti alterazioni cromosomiche complesse, quali «dismorfismi facciali, microcefalia, brachidattilia, ritardo di crescita, distrofia, ritardo mentale di grado variabile, ipertelorismo, labbra piccole e sottili, ponte nasale prominente e largo, malformazioni dei padiglioni auricolari, difetti cardiaci di conduzione». Nell'ottobre 2009, infatti, la coppia aveva avuto una prima gravidanza extrauterina esitata in aborto. Successivamente la coppia aveva conseguito per via naturale un'altra gravidanza ma a seguito di accertamenti prenatali, dai quali era emersa la presenza nel feto di un'alterazione cromosomica, la M. doveva ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza al 5° mese di gestazione. La coppia desiderosa di avere un figlio si rivolgeva all'U.O. di fisiopatologia della riproduzione e fecondazione assistita, Centro per la salute della donna S. Anna, per accedere a fecondazione medicalmente assistita e poter effettuare la diagnosi genetica preimpianto in modo da ottenere informazioni sullo stato di salute dell'embrione prima del suo impianto in utero;

sennonche', il responsabile dott. Antonio Colicchia dichiarava che la struttura non eroga la prestazione di diagnostica genetica preimpianto, opponendo un rifiuto fondato sul fatto che la coppia, non risultando affetta da sterilita' o infertilita', ancorche' portatrice di malattie genetiche trasmissibili, non poteva accedere al trattamento ai sensi della legge 19 febbraio 2004, n. 40, avente ad oggetto «norme in materia di procreazione medicalmente assistita», il cui art. 4 circoscrive il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) ai soli casi di infertilita' o sterilita' della coppia. I ricorrenti hanno evidenziato in diritto che: l'interpretazione costituzionalmente orientata della legge 19 febbraio 2004, n. 40, consente anche alla coppia fertile, in quanto portatrice di patologia genetica, di accedere alla «P.M.A.» per poter eseguire indagini cliniche diagnostiche sull'embrione anche alla luce della parallela legge sull'aborto, che consente alla donna di procedere alla interruzione della gravidanza in tutti i casi in cui il parto o la maternita' possano comportare un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica o anche in relazione a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, in tale specifico caso anche dopo il decorso dei primi novanta giorni, cosi' come gli embrioni affetti da gravi patologie genetiche possono determinare una prosecuzione patologica della gravidanza o causare un aborto spontaneo, compromettendo parimenti l'integrita' fisica e psichica della donna;

la Corte EDU, il 28 agosto 2012, nel caso Costa e Pavan c. Italia, con decisione diventata definitiva in data 11 febbraio 2013, ha, invero, accertato che lo Stato italiano nella parte in cui consente l'accesso alla «P.M.A.» unicamente alle coppie sterili o infertili (o in cui l'uomo e' portatore di malattie virali trasmissibili, come da linee guida del Ministero della salute dell'11 aprile 2008, n. 31639) ha violato gli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Tanto premesso i ricorrenti chiedevano di accertare e dichiarare il proprio diritto ad ottenere l'applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita secondo modalita' e tecnologie compatibili con un'elevata tutela del livello di salute della donna e del concepito, adottando ogni provvedimento ritenuto opportuno in relazione al caso in esame, sul presupposto della disapplicazione dell'art. 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per contrasto con gli articoli 8 e 14 della CEDU, in forza dell'art. 6/2 del Trattato di Lisbona e della integrazione del sistema CEDU nell'ordinamento comunitario. Si costituiva in giudizio la Azienda USL RM A, la quale eccepiva che, in assenza di una modifica della legge 19 febbraio 2004, n. 40, che vieta l'accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, la domanda non poteva essere accolta;

che comunque la medesima legge, consentendo esclusivamente interventi sull'embrione aventi finalita' diagnostiche e terapeutiche, non consentiva la diagnosi preimpianto con finalita' selettiva;

che infine il servizio di diagnosi genetica preimpianto non era garantito dal Servizio sanitario nazionale, ne' vi era la possibilita' di assistenza in forma indiretta, abrogata con il decreto legislativo n. 502/1992, per le prestazioni specialistiche, utilizzando le strutture private non accreditate. Le associazioni intervenienti si costituivano in giudizio per sostenere le ragioni dei ricorrenti. Rileva in diritto I ricorrenti chiedono di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in quanto coppia fertile, portatrice di patologia geneticamente trasmissibile, e di potersi avvalere del servizio di diagnosi preimpianto in modo da conoscere l'eventuale trasmissione della patologia all'embrione. Pertanto le questioni sollevate dai ricorrenti riguardano due distinti profili: da un lato, il limite di accesso posto dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, ai soli casi di sterilita' o di infertilita' e, dall'altra, la possibilita' di accedere alla diagnosi preimpianto. In merito al primo profilo, la legge 19 febbraio 2004, n. 40, all'art. 4, circoscrive, come sopra rilevato, il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita «P.M.A.» ai soli casi di sterilita' o di infertilita' della coppia, nonche', secondo le nuove linee guida dettate dal Ministero della salute del 2008 (decreto dell'11 aprile 2008, n. 31639, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 aprile 2008), ai casi in cui l'uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili. In merito al secondo profilo l'art.13 della stessa legge contempla la cd. diagnosi preimpianto «P.D.G.», consistente nella identificazione di una anomalia genetica dell'embrione, grazie alle tecniche di biologia molecolare, volta alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso. 1. La lettura costituzionalmente orientata della possibilita' di accedere alla diagnosi preimpianto. Partendo da questo secondo profilo, l'art. 13 prevede, in linea di principio, «il divieto di sperimentazione su ciascun embrione umano» (1° comma) per poi regolare, quale eccezione alla stessa regola, la possibilita' di effettuare «la ricerca clinica e sperimentale sull'embrione a condizione che si perseguano finalita' esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela della salute ed allo sviluppo dell'embrione stesso» (2° comma) con esplicito divieto della «produzione di embrioni umani a fini di ricerca o sperimentazione» e di «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti» (3° comma, lettere a e b). La giurisprudenza di merito ha gia' ritenuto, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata, che l'art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, consenta la c.d. selezione preimpianto nell'ipotesi di rischio di trasmissione al feto di una grave patologia, di cui siano portatori i genitori. L'interpretazione si fonda su una serie di considerazioni, quali l'assenza, nella legge, di un...

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