N. 239 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 marzo 2012

IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza sul reclamo proposto da R.C., nato a Copertino il 22 settembre 1982, detenuto a Lecce, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Stomeo, contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato di Lecce non costituitasi, con l'intervento del Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Lecce dott. Ennio Cillo, avente ad oggetto la richiesta di risoluzione della controversia inerente l'utilizzo di un personal computer di proprieta' del reclamante;

F a t t o Con reclamo proposto in data 24 ottobre 2011 il R. rappresentava di essere stato autorizzato nel 2009 dalla Direzione della Casa circondariale di Prato all'acquisto per motivi di studio di un personale computer portatile sul quale previa consenso del detenuto venivano apposti sigilli sulle porte delle periferiche input-output.

La Direzione della Casa circondariale di Prato non dava ulteriore seguito al provvedimento con il quale autorizzava l'acquisto del personal computer e di fatto non consegnava il bene in questione al detenuto che nel 2010 veniva trasferito presso la Casa circondariale di Lecce. Ivi giunto il detenuto otteneva dalla Direzione della Casa circondariale di Lecce un provvedimento con il quale veniva autorizzato all'uso del proprio personal computer presso la Sala biblioteca dell'istituto. Successivamente, in data 10 febbraio 2011 il Comandante di Reparto chiedeva la revoca dell'autorizzazione all'utilizzo del p.c., proponendo che il detenuto utilizzasse un p.c.

di proprieta' dell'amministrazione sito nella biblioteca. La Direzione, invece, dapprima condizionava tale utilizzo alla rimozione del modem interno, operazione che, a seguito di parere sfavorevole del tecnico della Casa circondariale, veniva compiuta da un tecnico di fiducia del detenuto e posto a disposizione della Direzione per i controlli necessari. Compiute le verifiche del caso veniva autorizzato l'uso del suddetto p.c. a far data dal 1° settembre 2011.

In seguito, invece, in data 19 ottobre 2011 l'amministrazione penitenziaria comunicava al detenuto che il provvedimento di autorizzazione doveva intendersi revocato potendo il detenuto utilizzare un p.c. dell'amministrazione penitenziaria collocato nella sala biblioteca. Manifestazione di volonta' quest'ultima esternata ufficialmente nella nota della Direzione del 14 gennaio 2012.

Il detenuto lamenta violazione di legge per la mancata osservanza dell'art. 40 d.P.R. n. 230/2000.

La Direzione della Casa circondariale di Lecce motiva la revoca dell'autorizzazione all'uso del p.c. con la circostanza che l'esecuzione del provvedimento autorizzativo avrebbe rappresentato un precedente, aprendo la strada a numerose richieste che in omaggio al principio di parita' di trattamento avrebbero portato a plurime autorizzazioni di fatto non gestibili. A causa del sovraffollamento penitenziario non si sarebbe potuto consentire l'utilizzo del p.c.

nelle camere di pernottamento, ma solo all'interno della sala biblioteca logisticamente non attrezzata per l'uso di numerosi p.c.

Inoltre, la revoca della precedente autorizzazione poggerebbe su ragioni di sicurezza di un eventuale uso improprio del p.c. contenute nella richiesta avanzata dal comandante di reparto e sulla non corretta osservanza delle procedure di controllo del p.c. da parte di tecnici esterni all'amministrazione penitenziaria dettate con la circolare DAP n. 35567006 del 15 giugno 2011.

Pertanto all'odierna udienza le parti hanno cosi' concluso:

l'avv. Stomeo difensore del reclamante per l'accoglimento del reclamo;

il Procuratore aggiunto della Repubblica di Lecce, dott.

Cillo per il rigetto del reclamo.

D i r i t t o 1. - Preliminare alla definizione nel merito del presente reclamo e' la verifica della qualita' della posizione giuridica azionata dal detenuto. Appare armai consolidata l'opinione nella giurisprudenza della Corte costituzionale come in quella della Corte di Cassazione, secondo la quale il patrimonio giuridico del detenuto puo' articolarsi come quello del cittadino libero secondo il paradigma tipico del diritto soggettivo o dell'interesse legittimo. In questo senso gia' Corte cost. n. 212/1997, paventava la possibilita' che il detenuto potesse essere portatore di diritti soggettivi assoluti, ma anche di interessi legittimi oggetto di potere discrezionale da parte dell'amministrazione penitenziaria. In modo ancora piu' netto l'impostazione seguita da Cass., Sez. Un., 25079/2003, laddove afferma che: 'Le precisazioni sopra esposte fanno ritenere che alla giurisdizione della magistratura di sorveglianza vada riferita la tutela pure degli interessi legittimi scaturenti da un atto dell'autorita' amministrativa (sempre che tali posizioni soggettive possano trovare accesso nel regime del trattamento); secondo una cognizione che non puo' ridursi agli usuali canoni di demarcazione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, attesa la riserva di giurisdizione connaturata alla necessita' del rispetto dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Secondo quanto, del resto, risulta comprovato dall'intero assetto dei rimedi previsti dall'ordinamento penitenziario, pure a prescindere dalla tipologia di posizioni soggettive oggetto di tutela'. La questione, quindi, non e' tanto quella di interrogarsi sull'ampiezza della giurisdizione del Magistrato di Sorveglianza, che pare avere latitudine tale da abbracciare ogni posizione giuridica del detenuto connessa con il trattamento penitenziario (in questo senso esemplare e' la gia' citata sentenza n. 212/1997, della Corte costituzionale seconda la quale l'ordinamento penitenziario, nel configurare l'organizzazione dei 'giudici di sorveglianza' (magistrati e tribunale di sorveglianza) 'ha dato vita ad un assetto chiaramente ispirato al criterio per cui la funzione di tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti e' posta in capo a tali uffici della magistratura ordinaria', come anche la sentenza n. 26/1999 della stessa Corte), quanto accertare in concreto se sia ipotizzabile che dinanzi all'amministrazione penitenziaria il detenuto risulti titolare di una posizione qualificabile in termini di interesse legittimo. Se, infatti, la Corte costituzionale sin dalla pronuncia n. 114 del 1979, ha affermato che secondo un irrinunciabile principio di civilta' deve ritenersi che a colui che subisce una condanna a pena detentiva 'sia riconosciuta la titolarita' di situazioni soggettive attive e garantita quella parte di personalita' umana che la pena non intacca', nella successiva giurisprudenza non vi e' stata un'espressa chiarificazione di quali tipologie di 'situazioni soggettive attive' possano essere riconosciute in capo al detenuto. Cosi', la gia' citata sentenza n. 26/1999 della Consulta nell'indicare le posizioni giuridiche del detenuto la cui tutela giurisdizionale deve essere tutelata in omaggio agli artt. 24 e 113 Cost., esclude che le stesse possano essere limitate ai soli diritti di rango costituzionale, specificando che 'si tratta della tutela dei diritti suscettibili di essere lesi per effetto (a) del potere dell'amministrazione di disporre, in presenza di particolari presupposti indicati dalla legge, misure speciali che modificano le modalita' concrete del 'trattamento'' di ciascun detenuto; ovvero per effetto (b) di determinazioni amministrative prese nell'ambito della gestione ordinaria della vita del carcere'. L'affermazione operata dal giudice delle leggi segue di poco l'apertura operata oltralpe dal Conseil d'Etat 17 febbraio 1995, Marie req. n. 97754, che superando un approccio negazionista in termini di tutelabilita' giurisdizionale delle posizioni dei detenuti, sfocia in un orientamento pronto ad accordare tutela caducatoria e risarcitoria a fronte delle istanze dei detenuti. E' evidente, pero', che se in Italia appare oramai radicata l'impostazione secondo la quale il Magistrato di Sorveglianza e' il giudice naturale delle posizioni giuridiche del detenuto, occorre interrogarsi sulla presenza di limiti strutturali, che investono la normativa processuale quanto al rispetto del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale erogata in sede di reclamo cd. atipico a seconda della tipologia di posizione giuridica che di volta in volta venga portata all'attenzione del Magistrato di Sorveglianza. Non si e', infatti, ancora sviluppato un orientamento giurisprudenziale chiaro su quali siano le azioni esperibili dinanzi al Magistrato di Sorveglianza e conseguentemente su quali tipologie di ordinanze siano dallo stesso adottabili per accordare tutela giurisdizionale alle posizioni giuridiche dei detenuti.

1.1. - Le vie percorribili nel circoscrivere il patrimonio giuridico del detenuto in relazione al trattamento penitenziario sono sostanzialmente tre: a) si puo' ritenere che il diritto al trattamento quale espressione del diritto a non subire limitazioni alla liberta' personale non orientate ad una finalita' rieducativa si strutturi nelle forme del diritto soggettivo di rango costituzionale ed esaurisca ogni relazione giuridica intercorrente tra Stato e detenuto; b) si puo' ritenere che il detenuto vanti una serie di diritti soggettivi connessi al trattamento penitenziario, es. il diritto al colloquio, il diritto a godere di un pasto adeguato, e tra questi il diritto ad un trattamento rieducativo; c) si puo' ritenere che il detenuto vanti posizioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo, atteso che in alcune circostanze all'amministrazione penitenziaria e' assegnato un potere discrezionale nel valutare la situazione del detenuto in capo al quale il legislatore riconosce la presenza di un interesse secondario che deve essere ponderato unitamente al necessario soddisfacimento di un interesse pubblico primario. Le prime due soluzioni non appaiono corrette ad una piana lettura della normativa costituzionale, primaria e secondaria. Quanto...

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