n. 185 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2013 -

LA CORTE DI APPELLO Nella persona del Consigliere dott. Emilio Iannello, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento camerale iscritto al n. 58/2013 V.G., avente ad oggetto: equa riparazione ex l. n. 89/2001, ad istanza di Grosso Epifanio, nato a Messina il 28.05.1952 ed ivi residente in Viale Giostra, cpl. Poker, cod. fisc. GRS PFN 52E28 F158D, rappresentato e difeso dall'Avv. Maria Pollicita del Foro di Patti per procura in calce al ricorso, ricorrente;

Contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, resistente;

Visto il ricorso presentato in data 20 marzo 2013 da Grosso Epifanio, con il quale viene richiesto l'indennizzo per l'irragionevole durata di una controversia di lavoro da lui promossa, con ricorso depositato in data 8 giugno 2002, avanti la sezione lavoro del Tribunale di Messina, contro Banco di Sicilia S.p.a., per impugnazione di licenziamento (controversia conclusa con il rigetto della domanda all'esito di giudizio articolatosi in tre gradi);

Vista la documentazione allegata, Osserva 1. - La fattispecie. Il giudizio presupposto e' stato, definito con sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 15875/12 del 20 giugno - 20 settembre 2012 che ha rigettato il ricorso avverso sentenza della Corte d'Appello di Messina, sezione lavoro, in data 8 luglio 2009, che a sua volta aveva rigettato l'appello avverso la sentenza di primo grado con la quale il Giudice del lavoro di Messina aveva interamente rigettato la domanda condannando il ricorrente alle spese. L'odierno ricorrente all'esito del giudizio presupposto e' dunque risultato interamente soccombente. 2. - La disciplina applicabile alla fattispecie. La norma censurata. Reputa questo decidente che la nuova disciplina dettata in tema di equa riparazione per effetto delle modifiche introdotte alla legge 24 marzo 2001, n. 89, dall'art. 55 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (recante Misure urgenti per la crescita del Paese: c.d. decreto Sviluppo), convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, e in particolare la norma, decisamente innovativa, contenuta nel nuovo art. 2-bis, comma 3, l. n. 89/2001 (a mente della quale, «la misura dell'indennizzo, anche in deroga al comma i, non puo' in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice»), debba necessariamente portare a non riconoscere, in tal caso, in alcuna misura, il preteso diritto all'indennizzo. 2.1. - Prima di concentrare l'attenzione su tale disposizione, giova prendere le mosse da altra previsione che vale a delineare un piu' ampio e coerente quadro di riferimento, anche se di per se' non ancora decisivo ne' univoco nel senso sopra indicato: ci si riferisce alla previsione di cui all'art. 2-bis, comma 2, lett. a), 1. cit., secondo la quale «... l'indennizzo e' determinato ... tenendo conto: a) dell'esito del processo nel quale si e' verificata la violazione di cui al comma 1, dell'art. 2 ...». Onde apprezzarne la portata innovativa, e' bene rammentare che, con riferimento alla previgente normativa, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (conformemente alla giurisprudenza della Corte E.D.U.), posta la regola del riconoscimento del diritto all'equa riparazione a tutte le parti del processo «indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio» e precisata altresi' l'irrilevanza della «asserita consapevolezza da parte dell'istante della scarsa probabilita' di successo dell'iniziativa giudiziaria» (v. ex aliis Cass. 12 aprile 2010, n. 8632;

9 aprile 2010, n. 8541), si ammette bensi' che dell'esito del processo presupposto possa comunque tenersi conto ma solo qualora abbia un indiretto riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio morale sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come accade «quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2», precisandosi inoltre che di dette situazioni, «costituenti abuso del processo» anche ai fini della commisurazione dell'indennizzo, «deve dare prova puntuale l'Amministrazione» non essendo «sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata» (v. ex multis, da ultimo, Cass. 9 gennaio 2012, n. 35). A fronte di un indirizzo cosi' strutturato, la portata innovativa della previsione di cui all'art. 2-bis comma 2, lett. a) si apprezza sotto un duplice profilo. Anzitutto perche' la considerazione dell'esito del giudizio assume, nella nuova disciplina, bensi' ai soli fini della quantificazione dell'indennizzo, un ruolo non piu' eccezionale ma normale, fisiologico e soprattutto sganciato dalla condizione che esso si accompagni anche alla consapevolezza della parte e, correlativamente, ad un uso strumentale del processo. In secondo luogo, perche' non puo' considerarsi piu' necessario, affinche' l'esito del giudizio possa assumere un ruolo riduttivo dell'indennizzo, che lo stesso (e soprattutto l'abuso del processo alla base di esso richiesto) sia oggetto di un onere di allegazione e prova da parte dell'amministrazione, potendo e dovendo il giudice ex se - tanto piu' nel nuovo modello procedimentale a contraddittorio eventuale - sindacare e ponderare l'esito del giudizio quale risultante dagli atti prodotti. Nella stessa direzione si inserisce, ma con portata ancor piu' dirompente, la previsione qui censurata contenuta nel comma 3 del nuovo art. 2-bis, a tenore della quale «la misura dell'indennizzo, anche in deroga al comma 1, non puo' in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice». 2.2.1. - La previsione pone, anzitutto, un ancor piu' stretto legame tra valore della causa ed equa riparazione, stabilendo che il primo rappresenta un limite per il secondo. In tale parte essa da' espressione ad una convinzione di comune buon senso particolarmente avvertita per le cause bagattellari: e', infatti, inimmaginabile che per l'eccessiva durata di un processo nel quale tuttavia si verta di beni o somme per un valore di poche centinaia o addirittura poche decine di euro, possa mai presumersi una sofferenza morale o paterna d'animo tale da meritare indennizzi di euro 750 anche solo 50o per ogni anno di ritardo. 2.2.2. - La norma, pero', va al di la' di tale equazione, giungendo nella seconda parte - a stabilire che l'indennizzo non possa essere superiore nemmeno al...

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