L'informatica giuridica nell'ordinamento universitario italiano

AutoreNicola Palazzolo
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Il compito che mi è stato assegnato è quello di descrivere l'evoluzione delle norme ordinamentali che regolano l'insegnamento della nostra disciplina. Ovviamente non solo le norme legislative, ma anche i concreti comportamenti delle Facoltà, che si traducono negli ordinamenti didattici oggi vigenti e che danno la misura di quello che effettivamente viene insegnato nelle Università.

La mia non sarà solo una relazione descrittiva, ma anche propositiva: non tanto nel senso di un ius condendum che non siamo in grado né di prevedere né tanto meno di determinare, quanto piuttosto nel senso di cercare di capire quanto si può fare in base alle norme vigenti per migliorare l'immagine, il ruolo e i contenuti di una o più discipline che gravitano nell'universo informatico-giuridico.

Da questo punto di vista non sarà una relazione «obiettiva»; vuole invece essere solo un punto di vista, a tratti forse una provocazione, che aspetta di confrontarsi con altri punti di vista anche molto diversi, convinto come sono che dalla ricchezza delle idee nascono i contenuti più vitali.

Partirò dalla legge 509 del 1999 che ha trasformato profondamente gli ordinamenti universitari, ma prima occorre fare qualche breve cenno sulla situazione precedente, anche perché alcune delle situazioni di fatto che ci trasciniamo ancora derivano più dal quadro normativo precedente che non dai nuovi ordinamenti.

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@1. La situazione prima della riforma

Io credo di essere l'unico tra i presenti ad avere vissuto personalmente una vicenda che Vittorio Frosini ha ricordato in uno dei suoi ultimi saggi prima della morte. Frosini, come tutti sanno, è autore di quella celebre prolusione a Catania nel dicembre '65 dedicata ai rapporti tra umanesimo e tecnologia nella giurisprudenza, che molti ritengono essere l'atto di nascita dell'Informatica giuridica in Italia. Quello che viene comunemente ricordato è la lungimiranza della prolusione, che trattava un tema certamente di grandi prospettive, e apriva un filone di studi, ma ovviamente non poteva avere la percezione delle applicazioni che ne sarebbero seguite. E però la cosa che oggi, guardandola retrospettivamente, mi sembra più importante non è tanto il tema della prolusione quanto il fatto ben più significativo per il tema che trattiamo oggi, che poco dopo quella prolusione, quando ancora in Italia non si parlava neppure di Informatica giuridica, Frosini propose e ottenne dalla Facoltà catanese l'inserimento a statuto dell'insegnamento opzionale (allora si diceva complementare) di «Automazione della ricerca giuridica», un insegnamento che per molti anni fu a statuto solo a Catania: lui, filosofo del diritto, non proponeva alla sua Facoltà un insegnamento filosofico-giuridico, o che dovesse restare legato alla Filosofia del diritto o comunque agli studi teorici che in America avevano caratterizzato i rapporti tra diritto e tecnologie. No: proponeva invece come insegnamento utile agli studenti di giurisprudenza qualcosa che anche nel nome si collegava a un filone molto diverso: quello delle applicazioni documentarie, che invece proprio in Italia stavano muovendo i primi passi col Centro Elettronico di Documentazione della Corte di Cassazione, un insegnamento cioè di portata generale, che tagliasse trasversalmente tutti i settori disciplinari e che mettesse al centro dell'attenzione non la teoria ma le applicazioni, delle quali, ovviamente, quella che appariva in quegli anni una cosa concreta e non una mera utopia era l'applicazione documentaria.

Il corso delle cose, però, non andò in quella direzione. L'informatica giuridica, come poi la si chiamò (ricordo perfettamente la modifica statutaria che io stesso proposi alla Facoltà catanese agli inizi degli anni '80), nonostante abbia più volte cambiato pelle dal punto di vista dei contenuti (se alla fine degli anni '60 poteva ancora identificarsi con il solo filo-Page 67ne documentario, da allora in poi le applicazioni si sono moltiplicate, e in tutti i settori dell'attività giuridica, dall'attività legislativa e parlamentare, a quella giudiziaria, a quella amministrativa nelle sue svariate componenti, a quella delle professioni forensi, a quella della didattica del diritto), è rimasta però per molti anni legata alla sua matrice storica, quella filosofico-giuridica, quasi a un cordone ombelicale da cui non osava distaccarsi. E ciò persino quando c'è stata anche la contaminazione con altre discipline, cresciute anch'esse nell'humus degli studi giuridici, ma con oggetto e metodi del tutto diversi: parlo del diritto, privato e pubblico, dell'informatica, con il quale spesso l'informatica giuridica ha finito per confondersi.

Il risultato di tutte queste contaminazioni è che se oggi volesse farsi un sondaggio sui contenuti dell'Informatica giuridica non dico tra gli studenti di giurisprudenza, ma fra i docenti, gli avvocati o i magistrati, ne uscirebbero le risposte più svariate. E d'altra parte basta dare uno sguardo ai tanti manuali che ogni anno vengono pubblicati sotto il nome di «Informatica giuridica» o espressioni equivalenti: si passa da nozioni di informatica di base, che si ritiene possano essere utili anche ai futuri giuristi, a studi di logica giuridica, di epistemologia giuridica, di teoria della conoscenza giuridica, che certamente troverebbero adeguata collocazione in un corso di Filosofia del diritto, a nozioni e strategie di Documentazione giuridica (essenzialmente i grandi sistemi informativi e le basi dati giuridiche) che certamente fanno parte a pieno titolo dell'Informatica giuridica, ma non esauriscono certo tutti gli ambiti dell'Informatica giuridica, anzi oggi probabilmente non ne sono neppure la parte prevalente.

Ma specialmente ha finito per diventare prevalente un'accezione più ampia (e a mio parere impropria) dell'informatica giuridica, che in pratica finisce per dare la gran parte dello spazio a contenuti che niente hanno a che fare con le applicazioni informatiche per il diritto: i contratti di utilizzazione del software, la tutela dei dati personali trattati informaticamente, i reati informatici, un settore di studi che certo può apparire più attraente per i futuri professionisti, ma che logicamente fa parte di discipline del tutto diverse: di volta in volta il diritto privato, il diritto industriale, il diritto penale; o che al massimo, ammesso che si voglia individuarne un oggetto autonomo, può costituire oggetto del diritto dell'informatica, e non certo dell'informatica giuridica in senso stretto.

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C'è dunque molta approssimazione nel definire i contenuti dell'insegnamento di Informatica giuridica. Approssimazione che si riproduce poi anche a livello della specifica formazione professionale: è vero che l'Informatica giuridica è stata prevista quale materia d'esame nel concorso per Uditore giudiziario (d.lgs. 17 novembre 1997 n. 398, art. 3) e quale insegnamento qualificante nel Regolamento interministeriale Istituzione e organizzazione delle scuole di specializzazione Per le professioni legali, del 26 gennaio 1999, Ma basta guardarsi attorno per vedere come sono andate queste cose. Si continua a ripetere nozioni che niente hanno a che fare con una seria e approfondita riflessione non solo su cosa può essere fatto con l'aiuto del computer, ma specialmente su come cambia l'attività del giudice, dell'avvocato, del notaio per effetto delle nuove tecnologie.

Ecco quindi che siamo al punto centrale: se vogliamo dei professionisti del diritto in grado di affrontare con gli strumenti adeguati le sfide del XXI secolo dobbiamo attrezzarli fornendo loro una formazione, di base e poi specificamente professionale, nell'Informatica giuridica, sia da un punto di vista teorico (cioè i concetti, metodi e strumenti che stanno alla base di ogni applicazione), che da quello pratico (una conoscenza ad ampio spettro di tutte le applicazioni che vi sono o che potrebbero esservi in ciascun settore dell'attività giuridica).

E per questo che urge una riflessione comune sugli specifici contenuti culturali e didattici di quell'area interdisciplinare che è costituita dalle applicazioni informatiche nella pratica del diritto, anche al fine di definire i contenuti specifici di una formazione che non può essere interamente affidata agli studi universitari, né per converso può essere delegata ai tanti corsi privati di alfabetizzazione informatica, ma neppure - questo occorre dirlo - ai corsi che un tempo venivano programmati dal CED della Corte di Cassazione. Si tratta di iniziative parziali e settoriali, che non riescono a dar conto della pluralità delle forme in cui si esprime per il giurista l'uso delle tecnologie informatiche.

Al contrario occorre programmare una formazione che, partendo dagli studi universitari di base, e proseguendo con la formazione specialistica delle scuole di specializzazione, abbia il suo sbocco naturale in una formazione permanente dei professionisti (magistrati, avvocati, notai, dirigenti della Pubbliche amministrazioni), che segua da un lato le esigenze evolutive della professione, e le domande nuove che i nuovi istitutiPage 69 pongono, e dall'altro l'evolversi delle tecnologie nei settori specifici. È un triplice livello formativo che va curato in profondità, individuando contenuti e metodi specifici per ciascun livello, evitando di sprecare tempo e denari per cose che non serviranno a nessuno, di ripetere banalità superate da tempo, e specialmente non finalizzate alla professione.

Vista in questa prospettiva, la formazione informatico-giuridica spetta a soggetti istituzionali diversi:

  1. le Università devono curare la formazione di base, che dovrà dirigersi anzitutto verso la ricerca e il trattamento dell'informazione giuridica, questa intesa nella sua accezione più ampia, comprensiva cioè anche dell'informazione «sul fatto», che, com'è noto, è ancora del tutto carente;

  2. le Scuole di specializzazione, con l'apporto quindi degli ordini professionali, dovranno curare la specifica formazione...

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