Sull'oltraggio arrecato dal difensore al p.m. In udienza: nuovi aspetti giuridici conseguenti alla sentenza 380/99 della corte costituzionale

AutoreFranco Tandura/Daniela Tonion
Pagine1082-1085

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Con la sentenza 380 del 1999 la Corte costituzionale si è finalmente pronunciata sull'annosa questione dell'ambito applicativo dell'art. 598 c.p., portando a maturazione un dibattito dottrinale molto più ampio che, partendo dalla questione della costituzionalità dell'art. 343 c.p., attraverso il problema dell'immunità giudiziale, aveva investito l'intera questione della garanzia della libertà di difesa e di discussione nel processo penale.

Già da molto tempo erano state evidenziate in dottrina le enormi difficoltà ad ammettere, nell'ambito di un modello processuale di tipo accusatorio e quindi basato sul principio di parità tra accusa e difesa, una qualificazione giuridica e un trattamento punitivo differenti per identiche condotte criminose tenute in udienza dalle diverse parti processuali: oltraggio, e quindi una pena più pesante, per le offese del difensore al P.M. e mera ingiuria, con un trattamento punitivo più blando, per lo stesso comportamento offensivo del P.M. verso il difensore.

Era stato così insinuato un pesante dubbio sulla costituzionalità dell'art. 343 c.p., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., per l'ingiustificata diversità di trattamento sanzionatorio tra P.M. e difensore che, invece, nella loro qualità di parti, dovevano partecipare all'udienza penale su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento.

La dottrina, poi, aveva anche constatato che la rilevata violazione dei diritti di difesa e di pari trattamento veniva addirittura aggravata e ampliata considerando l'ambito di applicazione dell'art. 598 c.p.: tale norma, essendo configurata come esimente speciale dei soli delitti di ingiuria e diffamazione, non poteva essere applicata alle ipotesi di oltraggio a magistrato in udienza, con la conseguenza che, mentre venivano scriminate le ingiurie del P.M. al difensore, altrettanto non avveniva per le analoghe offese del difensore nei confronti del P.M. 1.

È ovvio che tale previsione normativa si traduceva in un ingiustificato vantaggio per il P.M., con un'inevitabile limitazione della libertà di critica della parte privata e un durissimo colpo al principio di parità tra le parti e al diritto di difesa.

Nonostante la rilevanza delle questioni prospettate, le pronunce della Corte costituzionale sulle norme indicate - tutte rivolte ad ammetterne la piena costituzionalità - non furono molte anche a causa della tendenza degli stessi giudici di merito ad impedire una diretta pronuncia attraverso la dichiarazione di infondatezza e di manifesta irrilevanza (recentemente, sull'eccezione di incostituzionalità dell'art. 343 c.p. si veda: Trib. Trieste, 16 maggio 1996) 2.

Con l'ultima significativa sentenza, invece, la Corte espone un'innovativa interpretazione dell'art. 598 c.p., in relazione all'art. 343 c.p., basata sull'esigenza di garantire la parità di trattamento delle parti processuali e il fondamenPage 1083 tale diritto di difesa che implicitamente essa dimostra di considerare compromessi dall'attuale assetto normativo.

Alla luce della sentenza n. 380, però, il pregiudizio di questi fondamentali interessi deve essere fatto dipendere dalla non corretta interpretazione dell'art. 598 c.p., e non tanto dal contenuto dell'art. 343 c.p.

È, infatti, soprattutto l'esclusione dell'immunità giudiziaria per i delitti di oltraggio, unitamente alla previsione della sua applicazione all'ingiuria compiuta in udienza nei confronti del difensore, che si traduce in un indebito vantaggio per il P.M. il quale, molto più liberamente della parte pubblica, è così messo in grado di svolgere le proprie funzioni giurisdizionali d'accusa.

Ovviamente, anche la maggior tutela penale garantita dall'art. 343 c.p. finisce per collocare il P.M. in una posizione privilegiata, ma in questo caso, si deve ritenere, senza compromettere il principio della pari partecipazione delle parti al processo penale.

Se si muove dal presupposto che il P.M. è fondamentalmente una parte, appare quantomeno discriminatoria la previsione dell'art. 343 c.p. che qualifica come oltraggio e punisce più gravemente l'offesa da lui subita in udienza, senza che, peraltro, vi sia altra norma che disponga la stessa protezione nei confronti del difensore. Ma il P.M. non è soltanto parte: dalle norme processuali e dal fondamentale art. 4 ord. giud. risulta incontestabile la sua appartenenza alla magistratura e la conseguente applicazione ad esso di tutte le norme, anche penali, che si riferiscono ai giudici in senso lato.

L'offesa al P.M. in udienza non può, quindi, non configurare oltraggio: la norma va riferita alle offese a qualsiasi magistrato che svolga le funzioni del suo ufficio nell'ambito dell'udienza, sia esso giudicante o requirente, e ciò in nome dell'esigenza di garantire una protezione del prestigio degli organi di giustizia, in conformità ad una remota tradizione dei paesi di antica e tradizionale democrazia.

Ciò premesso, è evidente che sulla...

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