La responsabilità oggettiva

AutoreMaria Grazia Maglio e Fernando Giannelli
Pagine363-374

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@Parte prima

@@1. Il problema della responsabilità oggettiva: la funzione della responsabilità oggettiva e la sua struttura

- L'art. 27, primo comma, della nostra Costituzione proclama: «La responsabilità penale è personale».

Bella la lettera, grande il principio, ma dov'è... la fine? Qual è la sua portata?

Un minimo di accordo esiste, nel senso che non si discute sul divieto di responsabilità per fatto altrui: non è ammessa la responsabilità collettiva, ed, in genere, per il fatto penalmente rilevante attribuibile ad altra persona (MORTATI, PATERNITI, DOLCINI, DONINI, BRICOLA).

Ma s'ha da stare bene attenti: l'art. 60, primo comma, del codice Zanardelli non prevedeva una forma di responsabilità per fatto altrui, di responsabilità penale «indiretta», come sostiene, invece, l'ANTOLISEI. Ed è bene evidente: la responsabilità delle persone colà indicate sorgeva in caso di difetto di diligenza, ed, allora, era assimilabile alla responsabilità particolare di cui all'odierno art. 40, secondo comma, c.p., responsabilità per fatto proprio (omesso impedimento dell'evento).

Agli artt. 196 e 197 c.p. non è prevista una forma di responsabilità penale indiretta, o sussidiaria (CARNELUTTI, FOSCHINI, VINCIGUERRA): quando non si debba rispondere penalmente, e, quindi, ancorché ex art. 40, secondo comma, c.p., si è di fronte ad una mera responsabilità civile (LEONE, MANZINI, ANTOLISEI, PANNAIN).

Parte della dottrina (BRICOLA, DOLCINI, DONINI) fa rientrare nel divieto di cui all'art. 27, primo comma, della Carta anche la commisurazione «inquinata» della pena, cioè l'individualizzazone della sanzione penale che sia mossa, anche, se non soprattutto (!), da esigenze di prevenzione generale; altri autori (PAGLIARO) non ritengono che la lettera del disposto costituzionale voglia spingersi a tanto. Meglio, per questo aspetto, fermarsi al dato più «brutalmente» letterale, ché lo «spirito» potrebbe nuocere in chiave esegetica.

Ora, bisogna osservare come parte della dottrina abbia assegnato al testo dell'art. 27, primo comma, la dignità, non solo, di vietare, jure poenali, la responsabilità per un fatto «materialmente» altrui, ma, benanche, quella di proibire la responsabilità per un fatto psicologicamente non ricollegabile ad una persona, in spreto, cioè al canone nullum crimen, nulla poena, sine culpa (BETTIOL, MANTOVANI, FIANDACA, MUSCO); ed, ancora, la dignità di vietare l'affermazione di penale responsabilità nei casi in cui fosse scusabile l'errore su legge penale (oltre i suddetti autori: MAZZACUVA, FORNASARI, BRICOLA, SINISCALCO) (contra, sul punto: PULITANÒ, MOCCIA).

A causa di queste estensioni del divieto, si è giunto alla sentenza 364/1988 della Corte costituzionale, che ha mitigato il rigore dell'art. 5 c.p., con l'introdurre la rilevanza dell'«ignoranza inevitabile» (nel generale plauso, vedasi le critiche dello STORTONI, abbastanza gravi e preoccupanti per gli «entusiasti»).

Il dibattito sulla portata dell'art. 27 Ct. ha portato all'attacco, sotto il profilo della legittimità costituzionale, con riferimento all'or detto articolo, dell'istituto della responsabilità oggettiva, che sarebbe non «personale», e, quindi, non per fatto «proprio».

Sotto un profilo d'insieme, è, comunque, il caso di notare che non esiste alcun divieto costituzionale di responsabilità per fatto altrui in sede civile, della quale si possono addurre numerosi esempi: la successione mortis causa, vuoi anche dello Stato, nel debito; l'adempimento del fideiussore o dell'avallante; i casi di cui agli artt. 2049 e 2054, terzo comma, c.c.; né, tanto meno, si fa questione di legittimità costituzionale quanto ai casi di responsabilità oggettiva sicuramente allignanti in diritto civile (per la responsabilità contrattuale - secondo l'impostazione del MICCIO - l'art. 1218 c.c.; art. 1787 c.c., ove il debitore è liberato solo se prova il fortuito oggettivo (MESSINEO); in ambito extracontrattuale: artt. 2051, 2052, 2053 c.c.).

In materia di responsabilità amministrativa, l'art. 7 L. 24 novembre 1981, n. 689, ne sancisce l'intrasmissibilità agli eredi; così pure l'art. 199 del codice della strada.

Invece - riferisce GIULIO GIANNELLI - l'ammenda di cinquanta talenti, inflitta a Milziade, sospettato di intelligenze con il nemico persiano (che, secondo l'accusa di Santippo, lo avrebbe corrotto), morto di cancrena Milziade, «passò» al figlio di lui, Cimone.

Disposizione più volte denunciata innanzi alla Corte costituzionale, per contrasto con l'art. 27, primo comma, è l'art. 42, terzo comma, c.p.: «la legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione».

Mentre l'avverbio, parimenti usato nell'art. 45, primo comma, del codice Zanardelli, era riferibile all'elemento psicologico costituito dalla preterintenzione e dalla colpa, generica o specifica che fosse, esso, ora, deve esser letto di conserva con la rubrica dell'art. 42 c.p., che, fra l'altro, recita «Responsabilità obiettiva».

Varie sono state le reazioni di fronte all'introduzione di questo nuovo aspetto dell'elemento psicologico.

Ad esempio, il BATTAGLINI, sfruttando le perplessità che si agitavano sulla famigerata «zona grigia» tra colpa e fortuito (PANNAIN), ritenne che l'art. 42, terzo comma, c.p. permettesse di punire la culpa levissima, «altrimenti» nonPage 364 sanzionabile, onde la rubrica dell'art. 42 c.p., nella parte intitolata «Responsabilità obiettiva» si riferisse a casi in cui mancava il requisito della coscienza e volontà della condotta.

Alquanto contraddittoriamente, il PANNAIN, che pur ammetteva l'esistenza del mare nullius tra colpa e caso fortuito, negò validità alla succitata tesi: nulla autorizza, nel sistema dell'art. 42 c.p., a «sganciare» l'istituto della responsabilità oggettiva dall'universale requisito di cui al primo comma dell'art. 42 c.p.

Per colpa lievissima si risponde secondo il combinato disposto degli artt. 42, secondo comma, 43, primo comma, terzo alinea, 133, primo comma, n. 3, c.p., non... «altrimenti» (ANTOLISEI).

Il SABATINI, il NUVOLONE ed il PATERNITI ritengono che le condotte ascrivibili al tema psicologico della responsabilità oggettiva manchino del necessario impianto causale, e, pertanto, non possano neanche esser trattate alla stregua di condotte tipiche; il PAGLIARO, che lo schema della responsabilità oggettiva lasci libera, quanto meno, la possibilità di una mancanza di condotta (FIANDACA, MUSCO).

Tutto ciò premesso, cominciamo ad osservare che il PANNAIN assegna all'istituto della responsabilità oggettiva la seguente fisionomia: coscienza e volontà della condotta, nesso di causalità materiale tra condotta ed evento, assenza di dolo, colpa o preterintenzione. Ed, invero, se si volesse prescindere dal nesso di causalità materiale, in attuazione di una deroga, che non esiste, al disposto dell'art. 40 c.p., si violerebbe, di sicuro, il disposto dell'art. 27, primo comma, della Carta. E neanche, come visto, si può derogare al canone di cui all'art. 42, primo comma, c.p., ché non vi sarebbe, allora, neanche un'«azione» in senso tecnico (PANNAIN, BETTIOL, PETTOELLO MANTOVANI, FIORE).

L'ANTOLISEI, il PANNAIN ed il PADOVANI, negando l'identità tra responsabilità oggettiva e colpa lievissima, e, comunque, l'esigenza della prevedibilità nei casi di responsabilità oggettiva, affermano la piena compatibilità tra la disposizione dell'art. 42, terzo comma, c.p. e l'art. 27, primo comma, della Costituzione: la responsabilità oggettiva, come per il diritto civile, è responsabilità per fatto proprio, e sfugge, pertanto, al noto divieto (BOSCARELLI) (la Corte costituzionale ha mosso contrari rilievi a tali assunti nella sentenza n. 364 del 1988).

È giunto il momento di chiedersi: occorre la prevedibilità per rispondere ex art. 42, terzo comma, c.p. (PAGLIARO, BETTIOL, MANTOVANI, REGINA, PATERNITI, CONTENTO, MARINUCCI, DOLCINI)?

Secondo noi, assolutamente no: la prevedibilità riguarda la colpa in concreto, ed, invece, la responsabilità oggettiva è una filiazione storica della colpa per violazione di leggi penali, imposta dall'esigenza di conferire adeguato assetto dommatico alla vicenda interna dell'evento, costituita dall'approfondimento dell'offesa ab extrinseco; da quella di mitigare - bene spesso - il regime del concorso di reati derivanti dalla brutale applicazione dell'istituto della colpa c.d. presunta; ancora, dall'esigenza di collegare causa sceleris costitutiva (CARNELUTTI, MALINVERNI, LEONE, CONTIERI, PANNAIN, PICOTTI, VANNINI, PAGLIARO, VANCHERI) e raggiungimento del fine nell'ottica dell'Erfolgsunwert (MAZZACUVA, ALEO); a quella di conferire la dovuta dignità, e i dovuti meriti, alla posizione di garanzia nel diritto penale (FIANDACA, SGUBBI, GRASSO, CADOPPI).

A volte, infine, la responsabilità oggettiva attribuisce rilievo penale allo effettivo verificarsi, in mundo, dell'attentato, alla sua riuscita (es.: art. 295 c.p., nel caso di attentato alla vita o alla libertà).

Se, nel vigore del codice cessato, taluno si fosse reso responsabile del delitto di cui all'art. 389, primo e secondo comma (corrispondenti, le due figure criminose, a quelle contemplate nei commi primo e secondo dell'art. 593 del codice vigente) (omissione di soccorso), e fosse seguita la morte della persona offesa, vi sarebbe stato concorso materiale tra il delitto di omissione di soccorso e quello di omicidio colposo. La colpa sarebbe consistita - non v'è dubbio - nella dolosa violazione della legge penale.

Oggi l'art. 591, terzo comma, c.p. permette di sanzionare il caso in modo più adeguato, ed, all'art. 593, terzo comma, c.p., secondo la dottrina (PANNAIN) che intendiamo seguire, si ravvisa un caso di responsabilità oggettiva.

All'art. 591, terzo comma, c.p. (altro caso di responsabilità oggettiva - PANNAIN -) il regime sanzionatorio appare - anche qui - adeguato, dovendosi tener conto della posizione di garanzia certamente connessa al quadro di vita (PAGLIARO) contemplato nei primi due commi.

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