La novella in tema di contrasto alla violenza sessuale e atti persecutori: primi rilievi processuali

AutoreEnrico Di Dedda
Pagine425-433

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@1. Morfologia e chiaroscuri della novella

– Il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38 (pubblicata in G.U. 24 aprile 2009, n. 95)1 si compone sostanzialmente di due parti.

Il primo capo della Novella reca disposizioni in materia di violenza sessuale, volte ad un generale inasprimento del regime cautelare, repressivo e penitenziario di coloro che commettono crimini contro la persona e la dignità sessuale2. Si tratta, in massima parte, di prescrizioni estrapolate dal disegno di legge governativo in materia di sicurezza pubblica (A.S. 733 - A.C. 2180), all’epoca in discussione alle Camere, e la cui gestazione era divenuta assai prolungata per le dimensioni dell’impianto prescrittivo e l’estrema controvertibilità di alcuni suoi passaggi.

Il secondo capo è la quasi integrale trasposizione del disegno di legge del governo in materia di stalking (C. 1440 - S. 1348) e delinea un microsistema normativo intorno al neonato delitto di atti persecutori, per il quale si è scelto l’innesto direttamente nel Codice penale, all’interno dei reati contro la libertà morale. Sono invece cadute, in sede di conversione del decreto-legge, le norme relative alle c.d. “ronde” e quelle in tema di espulsione degli immigrati dal territorio nazionale.

Per quel che concerne il rito penale, la sezione relativa agli atti persecutori, pur presentando difficoltà di qualche rilievo, soprattutto in tema di procedibilità a querela e nell’intersezione tra il processo e la nuova misura di prevenzione dell’ammonimento, condensa un intervento tutto sommato desiderabile, in tema di tutela delle vittime di fenomeni sociali sinora non adeguatamente stigmatizzati, e non presenta manifeste incompatibilità con i principi costituzionali.

Differente discorso tocca invece alle norme del primo capo, ove si assiste a due tendenze affatto tranquillanti: da un lato, una nuova estensione endoprocessuale del perimetro carcerario, con vincoli e cadenze meccanicistici – chiaro indice di sfiducia del legislatore verso la discrezionalità giudiziaria quando amministra il potere cautelare –. dall’altro, una selezione delle priorità assiologiche abbastanza opinabile e tale da consolidare un sistema di doppio binario processuale3.

Trend quest’ultimo che provoca continue tensioni sistematiche e applicative per la sua difficile conciliabilità con i valori espressi dalla Carta costituzionale e dalla Convenzione europea sui diritti umani, e finisce con l’equiparare, nella risposta istituzionale, alla criminalità organizzata e al terrorismo fenomeni certo assai riprovevoli, ma non tali da porre in discussione il c.d. ordine pubblico costituzionale4.

@2. La custodia carceraria obbligatoria

– L’art. 2 comma 1 lett. a) a bis) della L. 38/09 modifica l’art. 275 comma 3 c.p.p. che disciplina l’individuazione della misura restrittiva più adeguata a soddisfare le esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p.5.

Se in precedenza la custodia cautelare carceraria era prevista come obbligatoria solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti ex art. 416 bis c.p.p., o commessi avvalendosi del metodo mafioso, o al fine di agevolare questo tipo di sodalizio criminale, ora l’automatismo custodiale viene esteso:

i) a tutti i delitti previsti dall’art. 51 comma 3 bis e 3 quater c.p.p., ossia quelli di competenza della D.D.A., nonché i delitti con finalità di terrorismo (di spettanza del P.M. distrettuale);

ii) ad una serie di delitti ritenuti di particolare disvalore sociale (omicidio, induzione e sfruttamento della prostituzione minorile, realizzazione e commercio di pornografia minorile, organizzazione di viaggi finalizzati al turismo sessuale minorile);

iii) ai delitti di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale di gruppo, a meno che non ricorrano le circostanze attenuanti previste, rispettivamente, negli artt. 609 bis, 609 quater, 609 octies c.p.

Questa modifica normativa, originata da controverse applicazioni giurisprudenziali di merito in gravi casi di delitti sessuali, evoca un’antica e tormentata questione su cui è utile brevemente tornare.

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@@2.1. L’automatismo detentivo: una microstoria

– L’art. 275 comma 3 c.p.p. è sempre stato un testo, diremmo, inevitabilmente tormentato, perché costituisce il punto di equilibrio, nelle scelte del quantum di repressione cautelare da adottare, tra la discrezionalità giudiziale e le (mutevoli) esigenze del legislatore di non lasciare impuniti, o meno severamente puniti – da subito e in modo emblematicamente incisivo – delitti di particolare allarme o disvalore sociale.

In astratto, i canoni di adeguatezza e gradualità nella scelta della misura cautelare trovavano formale espressione fin dalla direttiva n. 59 della legge-delega n. 81/87, laddove si prevedeva una pluralità di misure coercitive diverse “fino alla custodia in carcere”, nonché “il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere se, con l’applicazione di altre misure di coercizione personale, possono essere adeguatamente soddisfatte le esigenze cautelari”.

Infatti l’originario testo della disposizione prescriveva l’estrema residualità della custodia carceraria, senza alcun automatismo, in parallelo con l’art. 292 c.p.p. che – tuttora – pone sul giudice l’onere di motivare perché le altre misure custodiali di minore impatto non siano adeguate a soddisfare le esigenze ex art. 274 c.p.p.

Tuttavia già la Commissione incaricata della stesura del codice avvertiva il proprio disagio rispetto a questa sorta di regime libero e lo segnalava, rilevando come: “Anche per i reati più gravi valgono dunque le regole generali, per cui nell’ambito delle fattispecie per le quali è legittimo l’esercizio del potere cautelare e in particolare di quelle per cui è consentita l’adozione della custodia cautelare, resta pur sempre affidato alla discrezionalità del giudice ... il decidere se adottare o non adottare la misura massima tra quelle previste, appunto, per l’esercizio di quel potere”6.

Pur escludendo qualunque ritorno al congegno della cattura obbligatoria, previsto originariamente nella sua assolutezza dall’art. 253 del codice Rocco, sulla base – lo ricordiamo – del solo compendio indiziario e senza considerazione delle prospettive di cautela, la Commissione sottolineava che: “L’esigenza di responsabilizzare particolarmente il giudice quando le imputazioni siano di specialissima gravità, sembra davvero innegabile. È bene tuttavia che, su di una scelta di così alta delicatezza, siano gli organi parlamentari a pronunciarsi, eventualmente chiarendo il significato del silenzio mantenuto sul punto dalla legge-delega o, al limite, integrandone il significato.”

Ben presto il peso delle circostanze storiche e l’esigenza del legislatore di riprendere quello che aveva generosamente elargito alle simmetrie codicistiche e alla discrezionalità giudiziale spingevano ad una prima modifica dell’art. 275 comma 3 c.p.p.

Sotto l’urgenza delle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio, il legislatore ritoccava pesantemente la disposizione, reintroducendo un meccanismo semiautomatico di custodia carceraria obbligatoria. L’art. 5 L. 203/91 imponeva la misura restrittiva più severa in presenza di gravi indizi di colpevolezza per associazione di stampo mafioso nonché per una lunga serie di altri gravi delitti, quali l’omicidio, la rapina e l’estorsione aggravata, il sequestro di persona, i reati a sfondo terroristico, sostanzialmente compendiati nell’elenco menzionato dall’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p.

Unico temperamento rimaneva la possibilità che fossero acquisiti elementi denotanti l’assenza di esigenze cautelari ovvero che le stesse potessero essere soddisfatte con altre misure; inciso quest’ultimo, dopo poco eliminato con l’art. 1 L. 356/91 e mai più reintrodotto.

Scemata la pressione criminale, la disposizione veniva nuovamente rimaneggiata con l’art. 5 L. 332/95: all’interno di una più generale ripresa garantistica, veniva mantenuto il meccanismo della custodia carceraria obbligatoria solo per le associazioni di stampo mafioso e i delitti-satellite.

La novella del 2009 ci riporta ora parzialmente allo stato legislativo del 1991, inserendo tuttavia, oltre ai delitti di criminalità organizzata, i reati di sfruttamento e di violenza sessuale in cui l’esigenza di una marcata (e immediata) riprovazione pubblica sembra far aggio rispetto a quella di effettiva adeguatezza della misura alle esigenze cautelari.

@@2.2. Presunzione di adeguatezza cautelare e questioni di conformità costituzionale

– Il meccanismo così delineato sembra (apparentemente) immune da censure di legittimità costituzionale.

Chiamata a pronunciarsi sull’analogo disposto dell’art. 275 comma 3 c.p.p. all’indomani della L. 203/91, la Consulta aveva respinto il dubbio di costituzionalità, affermando che per certi reati di spiccata gravità una presunzione legale di adeguatezza della sola misura carceraria non era da considerarsi irrazionale. Mentre la sussistenza in concreto dell’an della cautela non poteva, per definizione, prescindere dall’accertamento della loro effettiva ricorrenza di volta in volta, il quomodo della cautela poteva bene essere effettuata in termini generali dal legislatore, nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti7.

Questa linea di pensiero veniva ribadita con le ordinanze n. 40/02 e 103/03 in cui si negava che soluzione costituzionalmente obbligata fosse quella di affidare, sempre e comunque, al giudice l’apprezzamento del tipo di misura cautelare in concreto rilevata come necessaria e, anzi, si reputava come non si potesse disconoscere al legislatore la facoltà di vincolare il giudice nell’adozione di determinate misure, fermo il limite della ragionevolezza8.

Ovviamente però tutte le meccaniche trasposizioni di elenchi – e tale rimane l’operazione compiuta dall’art. 2 L. 38/09 – rischiano di produrrePage 427 gravi...

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