Note minime sul delitto politico

AutoreFederico Bellini
Pagine691-693

Page 691

Attraverso una esemplare circonlocuzione tautologica l'art. 8 c.p. ci informa, all'ultimo comma, che «Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino».

Lo Statuto albertino 1, norma costituzionale vigente all'epoca della redazione del codice penale, precisa, al capoverso dell'art. 254, che «Tutti (i regnicoli - N.d.R.) godono egualmente i diritti civili e politici», ritenendo evidentemente superfluo chiarire il concetto di «diritti politici».

Neppure i padri costituenti, che pure hanno dedicato un intero titolo ai rapporti politici 2, si sono curati di darcene una definizione. Né migliori risultati si sarebbero ottenuti applicando i principi della Scuola Positiva. Nel Progetto di codice penale del 1921 (c.d. «Progetto Ferri») si parla di «delinquente politico» 3 senza che venga data la definizione di delitto politico che evidentemente viene postulata.

Si è sempre al punto in cui un testo normativo non desidera essere accomunato ad un corso di istituzioni di diritto, sia pure costituzionale.

Per vero, una parziale specificazione esiste. Nell'incipit del medesimo art. 8 c.p. si individuano implicitamente, come delitti politici, «quelli indicati nel n. 1 dell'articolo precedente», e quindi i «delitti contro la personalità dello Stato», ossia quelli descritti negli artt. 241 ss. del codice penale. La norma ammette peraltro l'esistenza di altri «tipi» di delitti politici non compresi fra quelli richiamati nel rinvio.

È evidente che l'intero primo titolo del secondo libro del codice penale attiene a previsioni di reati oggettivamente qualificabili come delitti politici, in quanto mirati contro le strutture o le estrinsecazioni istituzionali dello Stato, pur se l'aggettivo emerge solo sporadicamente nelle rubriche delle norme 4 ed emblematicamente in quella dello smilzo capo terzo: «Dei delitti contro i diritti politici del cittadino». A simile stregua, comunque, e tenuto conto della riserva di cui al primo comma dell'art. 8 c.p., sembra evidente che il delitto politico sia costituito da qualsiasi comportamento diretto ad offendere il diritto dello Stato-ordinamento alla propria esistenza o il diritto del cittadino ad esprimere la propria volontà in ordine all'assetto strutturale dell'organizzazione dello Stato. La dottrina 5 ha coniato per i due casi le denominazioni di «delitti politici diretti» e «delitti politici indiretti».

Fin qui, nonostante le reticenze descrittive del patrio legislatore, il discorso esegetico si sviluppa entro argini di confortevole tranquillità. Il campo si allarga ad orizzonti meno limpidi quando si venga a trattare di tutta una serie di manifestazioni penalmente illecite che, pur appartenendo a situazioni canonizzate in norme incriminatrici inerenti delitti comuni, riconoscono un denomintore eziogenetico comune: la ragion politica. Sono quelli che la dottrina definisce «delitti soggettivamente politici». Di questa categoria di inquietante anomalia sembra interessante esaminare due aspetti o momenti: l'elemento d'innesco in termini teleologici e talune forme di realizzazione.

Al reato politico viene assimilato il reato comune originato da motivi totalmente o parzialmente politici 6. È il primo grande «distinguo» che ci viene incontro. Il reato è comune: l'omicidio dell'avversario politico, per usare il caso paradigmaticamente più coinvolgente a livello emotivo.

Non deve essere l'uccisione del Capo dello Stato, che da sempre rientra nella previsione normativa dei laesae crimina meiestatis (loro odierna incarnazione nostrana art. 276 c.p.), ma dell'avversario politico, ad esempio. Così i delitti di Jacques Clément e di François Ravaillac sono delitti oggettivamente politici, posto che le vittime erano dei re, mentre le pugnalate delle Idi di Marzo colpivano un Capo di Stato in itinere, recte erano mirate ad impedirne l'avvento: si tratta di un delitto comune realizzato per motivi politici. Agli infimi gradini della medesima scala Dumini e soci linciavano Giacomo Matteotti.

Motivo, fine, scopo: valenze sinonimiche tendono ad impedire di cogliere le differenti facce del prisma delittuoso soggettivamente politico.

Abele è il capo di un movimento politico che persegue il miglioramento etico, sociale, economico dei cittadini.

Leader dell'avversa fazione è Caino che conduce la propria battaglia politica spinto da motivi che nulla hanno a che vedere con la morale, il progresso economico-sociale, i...

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