La valutazione di responsabilità del soggetto autore del reato. L'evoluzione delle neuroscienze e l'impatto sul sistema penale delle nuove metodologie scientifiche

AutoreMarco Casellato, Donato La Muscatella, Stefano Lionetti
Pagine248-263
248
dott
3/2014 Rivista penale
DOTTRINA
LA VALUTAZIONE
DI RESPONSABILITÀ
DEL SOGGETTO AUTORE
DEL REATO. L’EVOLUZIONE
DELLE NEUROSCIENZE E
L’IMPATTO SUL SISTEMA
PENALE DELLE NUOVE
METODOLOGIE SCIENTIFICHE (*)
di Marco Casellato, Donato La Muscatella,
Stefano Lionetti
(*) Il presente studio nasce da una ricerca congiunta dei tre autori.
In particolare, Marco Casellato (Dottorando di ricerca in comparazione
giuridica e storico-giuridica – Indirizzo Diritto Penale presso l’Università
degli Studi di Ferrara) ha curato il § 3 a); Donato La Muscatella (Avvo-
cato in Ferrara, Master di II livello in Psicopatologia e Neuropsicologia
Forense presso l’Università degli Studi di Padova) ha redatto il § 3 b);
Stefano Lionetti (Psicologo, Master di II livello in Psicopatologia e Neu-
ropsicologia Forense presso l’Università degli Studi di Padova) ha curato
il § 2. Gli autori hanno poi sviluppato insieme premessa e conclusioni
della disamina (rispettivamente § 1 e 4).
SOMMARIO
1. Scienza e Diritto. 2. Le nuove tecniche d’indagine sullo sta-
to mentale del reo. 3. Il quadro normativo. 4. Una prospettiva
esegetica de jure condendo.
1. Scienza e Diritto
Il rapporto tra le nuove scoperte scientif‌iche e l’ordi-
namento penale è da sempre al centro delle rif‌lessioni
dell’Accademia e delle decisioni della Magistratura.
Più in ispecie, detto rapporto si riverbera, oltre che
sulle problematiche afferenti, ad esempio, l’accertamento
del nesso causale, anche e soprattutto sulle modalità con
le quali può valutarsi correttamente lo stato mentale del
reo e, quindi, la sua qualif‌icazione sul piano della colpevo-
lezza. Una volta compiuto tale accertamento, peraltro, il
dibattito si sposta sui criteri di acquisizione e valutazione
dei risultati nel processo penale.
Da qualche tempo, sulla base di casi (1) che hanno
avuto particolare risalto sui media, generalisti (2) e di set-
tore (3), il dibattito ha acquisito nuovo vigore, giovandosi
di ulteriori prof‌ili di complessità che hanno arricchito il
campo di ricerca.
Le domande più risalenti, i paradossi, le contraddizioni
hanno trovato nuovamente spazio, come accade di fre-
quente d’altronde, nel settore forense (4).
Del resto, tale problematica ha costantemente impe-
gnato le rif‌lessioni dei più raff‌inati giuristi, primo fra tutti
Francesco Carrara (5).
Erano gli albori della concezione classica della respon-
sabilità penale, dell’inscindibile connubio tra responsabi-
lità e libertà del volere. Com’è noto, infatti, caposaldo di
quella che viene comunemente def‌inita Scuola Classica,
in antitesi alla Scuola Positiva del diritto penale (6), era il
c.d. libero arbitrio (o paradigma dello stretto indetermini-
smo), inteso come capacità dell’uomo di autodeterminar-
si. Era la libertà del volere in senso assoluto a fondare la
responsabilità penale e a rendere quindi il reo meritevole
di sanzione in ossequio alla conseguente concezione re-
tributiva della pena (7).
Tralasciando l’inesauribile dicotomia tra deterministi
ed indeterministi, propria di un’epoca passata, la moderna
scienza penale non può comunque rinunciare all’immagine
dell’uomo come essere capace di effettuare scelte consa-
pevoli e libere (8). E proprio il riconoscimento di siffatta
capacità determina la distinzione tra soggetti imputabili e
non imputabili.
Il paradigma del c.d. relativo indeterminismo, infatti, è
oggigiorno quello prevalente (9).
Il diritto penale odierno, in altri termini, se non può
più accettare l’idea di una volontà libera, nel senso di una
libertà assoluta del volere, scevra da qualunque condizio-
namento, non può allo stesso modo prescindere dall’accet-
tazione di una libertà secondo un’accezione più realistica:
una libertà del volere, appunto, relativa. Il libero arbitrio è
dunque inteso come capacità di discernere e di esercitare
poteri di controllo e d’inibizione atti ad operare scelte
consapevoli tra motivi antagonistici (10). Il dato antropo-
logico della libertà di scelta, insomma, rimane l’idea cen-
trale sulla quale si fonda il nostro diritto penale; idea che
parrebbe recepita, oltre che dal codice Rocco, anche dalla
clausola della “responsabilità personale” di cui all’art. 27
Cost.
Se questo è senz’altro l’indiscutibile punto di partenza
per un diritto penale evoluto, perenni incertezze sus-
sistono in ordine alla sempreverde categoria dogmatica
dell’imputabilità che proprio nella libertà del volere trova
il suo humus concettuale. Più in particolare, i problemi
nascono nel momento in cui, ai f‌ini processuali, si debba
passare dal postulato teorico al concreto giudizio d’impu-
tabilità o inimputabilità del reo (11).
Si tratta, a questo punto, di prendere il sentiero sconf‌i-
nato ed irto di insidie della mente umana; sentiero che il
giudice, con il fardello dell’agnosticismo che spesso carat-
terizza il diritto, non potrà che percorrere sotto la sapiente
guida delle scienze sociali, in particolare la psichiatria e
la psicopatologia nonché, da ultimo, con il fondamentale
ausilio delle neuroscienze (12). Ed è proprio a questi
nuovi interrogativi che la trattazione, pur senza pretese
di esaustività, tenterà di rispondere, avvalendosi di un ap-
proccio multidisciplinare (13) che prende le mosse dalla
descrizione di queste ultime nuove risorse che la Scienza
offre agli strumenti di analisi.
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Le caratteristiche tecniche innovative degli strumenti
d’indagine del comportamento e, soprattutto, la loro capa-
cità di incidere su prof‌ili sostanziali e processuali dell’at-
tribuzione di responsabilità, rendono necessaria un’ottica
multifocale, utile per analizzare i singoli aspetti ma anche,
dopo tale disamina, per ricavare un quadro organico della
materia, traendo così conclusioni più solide.
Alla luce della recente giurisprudenza di merito e dei
principi di diritto sanciti dalla Suprema Corte, però, la
materia rimanda anche a questioni più generali: se è pos-
sibile individuare correlati biologici, oggettivi ed incon-
trollabili, delle scelte soggettive, è ancora attuale, così
come previsto in letteratura, il principio di colpevolezza?
L’occasione di contenere o annullare il divario esistente
tra realtà ed esito giudiziario, migliorando la qualità del-
l’accertamento, può giustif‌icare la compressione, seppur
consenziente, della libertà morale dell’imputato?
E, se così è, come varia il ruolo del Giudice in relazione
al nuovo contesto di prova?
La stretta connessione tra gli interrogativi appena
proposti e la valutazione della prova penale – ergo della
responsabilità dell’agente – evidenzia la concretezza del
tema.
L’oscillazione teorica fra libero arbitrio e neodetermi-
nismo biologico che, pur senza anticipare le conclusioni,
pare da rigettare come aprioristica generica convinzione,
non è solo dissertazione dogmatica, ma determina scelte
esegetiche in base alle quali si amplia o restringe il f‌iltro
esimente dell’incapacità di intendere e/o di volere (14).
2. Le nuove tecniche d’indagine sullo stato mentale del
reo
Negli ultimi venticinque anni si è assistito ad un im-
ponente sviluppo nel campo delle Neuroscienze, con l’av-
vento di metodologie particolarmente avanzate che con-
sentono l’esplorazione in vivo dell’architettura cerebrale e
l’osservazione del “cervello in azione”. Tali tecniche hanno
consentito importanti progressi nella conoscenza del rap-
porto tra processi cognitivi/emotivi e meccanismi neurali
sottostanti.
Oltre alle ormai note Positron Emission Tomography
(PET), Magnetic Resonance Imaging (MRI) e functional
Magnetic Resonance Imaging (fMRI), ultimamente godo-
no di particolare successo altri due strumenti, la Diffusion
Tensor Imaging (DTI) che, misurando la velocità di diffu-
sione dell’acqua, evidenzia le f‌ibre di connessione tra aree
cerebrali diverse, e la Voxel Based Morphometry (VBM)
che permette di rilevare la densità dei neuroni e degli as-
soni e, in tal modo, di evidenziare alterazioni anatomiche
anche molto lievi.
L’evoluzione delle tecniche cc.dd. di neuroimaging ha
permesso, negli anni, di sottoporre ad indagine non solo
processi cognitivi quali il linguaggio, la memoria, l’atten-
zione e la percezione, ma anche la coscienza e il libero
arbitrio, temi una volta riservati alla sola speculazione
f‌ilosof‌ica (15).
Parallelamente all’apertura di questa f‌inestra biochi-
mica e funzionale sul cervello si è assistito ad un impor-
tante sviluppo della genetica molecolare. Ad oggi, infatti,
siamo in grado di rilevare negli individui la presenza di
una vulnerabilità allo sviluppo di patologie psichiche in
base alla presenza di determinati geni e delle loro varianti
alleliche.
Le metodiche menzionate hanno l’ambizione di aiutar-
ci a rispondere a domande sul libero arbitrio che i f‌ilosof‌i
si erano posti sin dall’antichità.
In realtà, il primo tentativo di investigare la materia
attraverso il paradigma neuroscientif‌ico ci arriva dagli
studi di Libet, risalenti ai primi anni ‘80 (16). I risultati
dei suoi esperimenti, successivamente confermati, sem-
bravano indicare che il processo volitivo potrebbe aver
inizio prerif‌lessivamente ed il cervello si preparerebbe
all’azione molto prima che il soggetto sia consapevole di
aver deciso di agire.
Secondo parte dell’attuale neuroscienza, questi studi
non solo dimostrerebbero che non esiste un “centro della
coscienza” nel cervello, ma metterebbero in crisi l’idea che
l’uomo possa ancora essere ritenuto responsabile delle
proprie azioni, determinando, come ovvio, preoccupanti
ricadute sul processo penale.
Ma queste ricerche ci aiutano davvero a def‌inire la que-
stione del libero arbitrio? La coscienza e il libero arbitrio
sono un’illusione poiché tutto avviene in automatico senza
la nostra volontà? O piuttosto è stata confusa un’azione vo-
lontaria con una automatica, ritenendo implicitamente ed
erroneamente che automatico signif‌ichi non-volontario?
Il libero arbitrio è ritenuto il fondamento della capacità
d’intendere e di volere: la capacità d’intendere indica l’at-
titudine dell’individuo a comprendere il signif‌icato delle
proprie azioni nel contesto in cui agisce, mentre la capa-
cità di volere def‌inisce quanto la persona sia in grado di
controllare il proprio comportamento e i propri impulsi.
Già da tempo, prima ancora che potessimo avvalerci
di tali tecnologie, era noto che, per varie ragioni, un sin-
tomo o una patologia potesse sostituirsi al libero arbitrio
limitando o eliminando la capacità di controllo sul proprio
comportamento.
Tale consapevolezza, tuttavia, derivava da un’indagine
indiretta di ciò che veniva meno a seguito, ad esempio, di
una lesione cerebrale.
Oggi sappiamo che lesioni della corteccia prefrontale,
più precisamente nella sua porzione ventrale, possono de-
terminare comportamento disinibito con scarso controllo
degli impulsi, facile irritabilità e aggressività, diminuito
insight sociale f‌ino a determinare un quadro clinico noto
come sociopatia acquisita (17). Altri studi hanno dimo-
strato come specif‌iche regioni del cervello, in particolare
quelle che hanno sede nella corteccia prefrontale, se dan-
neggiate, possono determinare l’insorgenza di comporta-
mento impulsivo e aggressivo (18) e sono quindi coinvolte
nell’espressione di varie forme di violenza (19).
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