Nesso di causalità e concorso di cause

AutoreAlessandra Nucci
CaricaAvvocato, foro di Monza
Pagine985-990

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@1. Introduzione

L’art. 40 c.p., che stabilisce al suo primo comma “Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione” e al suo secondo comma “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, e l’art. 41 c.p., secondo cui il concorso di cause non esclude il rapporto di causalità fra azione od omissione ed evento, a meno che le eventuali cause sopravvenute non siano state da sole sufficienti a determinare l’evento, rappresentano una tappa imprescindibile nell’analisi di un fatto che potenzialmente costituisce reato.

@2. Maieutica delle norme

Punto di partenza1 dell’analisi è l’art. 40 c.p., che pone subito il quesito su quale circostanza possa essere o non essere qualificata come conseguenza di una azione o di una omissione umana, perché con questa prima operazione viene selezionata una gamma di condotte materiali potenzialmente dirette alla commissione di un reato e alla configurazione di una responsabilità penale personale: ne deriva che scriminanti sono quelle condotte attive od omissive inevitabilmente poste quali antecedenti dell’evento dannoso, qualora da esso dipenda l’esistenza del reato e qualora ad esse presiedano regole e leggi in grado di incidere sulla causazione dell’evento.2

Nella logica del giudizio controfattuale, le circostanze soggette ad un processo di eliminazione mentale possono essere escluse dalla categoria delle cause dell’evento lesivo, in quanto antecedenti non necessari, indipendenti dalla condotta ed inutili all’impostazione accusatoria, che può vedere così interrompersi il nesso di causalità.3

Lo studio dell’istituto del nesso di causalità ha permesso nel tempo di fornire alla domanda plurime risposte sui criteri di individuazione delle cause, lasciando, tuttavia, il problema sempre aperto, sia perché legato all’alea del comportamento umano ed alle sue interpretazioni sia perché finora nessuna risposta, per quanto fondata, si è rivelata pienamente esaustiva, per lo meno considerata singolarmente e in assenza di una presa di posizione codicistica: né una selezione secondo un criterio meramente temporale, per cui causa è l’ultima condizione antecedente all’evento,4 né l’adozione del criterio della causa efficiente, ossia il fattore determinante rispetto ad eventuali altri minori,5 né la teoria della causalità adeguata, che si fonda su una prevedibilità ordinaria ex ante del fatto,6 né, da ultimo, la teoria della causalità umana, di marchio antoliseiano,7 che pure è più persuasiva delle altre e si concentra sulla sfera di dominabilità degli eventi in capo a ciascun soggetto quale misura della causalità, paiono aver sciolto completamente il nodo interpretativo e sostanziale.

Un passaggio ulteriore è richiesto dall’art. 40, secondo comma, c.p., che con l’equivalenza tra il “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire e il cagionarlo” introduce nella dinamica causale la figura di reato, che nasce non da un’azione, ma da un’omissione, ed estende così la sfera della punibilità: in questo caso, la prospettiva di analisi viene ribaltata, perché non si è più chiamati a valutare se l’evento dannoso si sarebbe verificato in assenza di una determinata circostanza o condotta materiale, bensì, al contrario, se un certo comportamento, non posto in essere, avrebbe evitato le conseguenze dannose8; nella ricostruzione della catena causale diventa indispensabile stabilire a ritroso se la mancata verificazione di un comportamento avrebbe provocato l’illecito penale oppure quest’ultimo ne sarebbe rimasto immune; in particolare, si rileva che, trattandosi di fatti non accaduti perché omessi, è impossibile, se non cadendo nell’assurdo, concepire che avrebbero potuto verificarsi indipendentemente dalla volontà umana, che, pertanto, diventa una sorta di discrimine anche nella diagnosi del reato omissivo.

Peraltro, ricercare quale comportamento umano avrebbe potuto impedire l’evento significa individuare non un soggetto qualunque, ma il soggetto tenuto a quel comportamento e il motivo o il titolo per cui avrebbe dovuto tenerlo, facendo leva su un criterio di responsabilità, che, nel nostro ordinamento, ha assunto i contorni della legge per il reato omissivo proprio e della cosiddetta posizione di garanzia per il reato omissivo improprio. Proprio su quest’ultimo aspetto la giurisprudenza non è rimasta indifferente, ragionando che “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire […]”,9 con la conseguenza che l’effettivo aggancio per disegnare una responsabilità penale passa inevitabilmente per il filtro della prevedibilità e della valutazione umana.

L’art. 41 c.p. funge da necessario complemento nel dittico sul rapporto di causalità e precisa che esso non è escluso dal concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione dell’interessato: ciò significa, in primo luogo, che non per il solo fatto che si sono verificate plurime circostanze,Page 986 la condotta principale non sarebbe più l’unica fonte di responsabilità, a meno che, come precisa ed integra l’art. 41, comma secondo, c.p., non ci sia una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento; in secondo luogo, la concorrenza di cause gioca un ruolo importante nella configurazione e nella spartizione della responsabilità.

Tale norma porta all’analisi della problematica un contributo sostanziale, perché induce a valutare se e in quale misura sul decorso causale ha inciso una pluralità di circostanze o un solo fattore la cui eccezionalità ha potuto causare autonomamente l’evento dannoso: a tale proposito, si osserva che “la causa da sola sufficiente a determinare l’evento non è soltanto quella che si inserisce in uno schema causale completamente indipendente rispetto a quello seguito dal soggetto agente, ma è anche quella che, pur rientrando nel suo stesso schema causale, agisce per esclusiva forza propria nella determinazione dell’evento, cosicché la condotta dell’agente, pur costituendo un precedente necessario per l’efficacia della causa sopravvenuta, assume rispetto all’evento stesso non il ruolo di un fattore causale, ma di una semplice occasione”.10

Non basta: esiste anche un taglio giurisprudenziale che introduce nella dinamica dell’art. 41 c.p. il fattore dell’imprevedibilità, tanto che “le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala ed imprevedibile della condotta antecedente”.11 Se ne deduce che la capacità delle cause sopravvenute di condizionare la verificazione dell’evento assume negli ultimi sviluppi giurisprudenziali i caratteri di una particolare forza propria e della imprevedibilità, concetti che esulano dalle normali possibilità e qualità logiche individuali, tanto è vero che si definisce imprevedibile proprio ciò che, per intrinseche potenzialità, sfugge al limitato intelletto umano.

@3. Un nuovo orientamento

Una prospettiva realmente innovativa si apre proprio nel momento in cui l’operatore del diritto approccia la condotta come esito di un comportamento umano inteso nella sua globalità, che si impone quale fattore decisivo nella dinamica del nesso di causalità e viene giuridicamente letto come un elemento per la valutazione della prevedibilità od imprevedibilità di una condizione e della incidenza effettiva sul decorso causale nonché delle componenti cognitive dell’animo umano.

È, infatti, vero che il nesso di causalità deve avere un rigoroso...

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