Ne bis in idem' e reati tributari

AutoreLuigi Fadalti
Pagine626-628
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giur
7-8/2015 Rivista penale
ORDINANZE DI RINVIO ALLA CORTE COSTITUZIONALE
“ne bIs In IdeM”
e reatI trIbutarI
di Luigi Fadalti
SOMMARIO
1. Premessa. 2. Sanzione penale e sanzione tributaria: le nor-
me convenzionali. 3. La giurisprudenza italiana.
1. Premessa
L’ordinanza in commento, che esamina il tema sempre
più attuale della legittimità costituzionale del doppio regime
sanzionatorio (amministrativo e penale) in materia tributa-
ria, è stata la prima specif‌ica sull’art. 10 ter D.L.vo 74/2000 e
si connota per l’originalità della tesi affermata (1)
In essa, infatti, è criticata, con adeguata motivazione,
la tesi del giudice di legittimità secondo il quale - nell’ana-
loga fattispecie di cui all’art. 10 bis D.L.vo 74/2000 - non si
avrebbe tra la sanzione amministrativa e quella penale un
rapporto di specialità, ma piuttosto di “progressione”, che
giustif‌icherebbe il c.d. “doppio binario”.
2. Sanzione penale e sanzione tributaria: le norme con-
venzionali
Il reato p.e.p. dall’art. 10 ter D. L.vo 74/2000 è punito
con lo reclusione da uno a tre anni.
Lo Stato Italiano con la Legge 848/1955 ha ratif‌icato
lo Convenzione Europea per lo salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, f‌irmata a Roma il 4
novembre 1950. Le norme di detta Convenzione, nel signi-
f‌icato a loro attribuito dalla Corte Europea dei diritti del-
l’uomo, specif‌icatamente istituita per darvi interpretazio-
ne e applicazione (art. 2 paragrafo 1 della Convenzione),
quali “norme interposte”, realizzano il parametro costitu-
zionale espresso dall’art. 117 comma 1, Costituzione, nella
parte in cui impone la conformazione della legislazione
interna ai vincoli derivanti dagli “obblighi internazionali”:
ne consegue, pertanto, che ogni norma di diritto interno
in conf‌litto con le previsioni della Convenzione, siccome
interpretata dalla CEDU, è viziata di incostituzionalità.
L’art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione intitolato “ne
bis in idem” dispone che: “nessuno potrà essere perseguito
o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stes-
so Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o
condannato a seguito di una sentenza def‌initiva conforme
alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.”
La Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia tri-
butaria ha recentissimamente deciso che il doppio binario
sanzionatorio (penale amministrativo) viola il citato art. 4
del Protocollo n. 7 della Convenzione(2).
È giurisprudenza consolidata della Corte che per stabi-
lire, al di là delle etichette formali utilizzate dal legislatore
nazionale, se una sanzione abbia (o meno) natura penale
si debbono riguardare tre criteri (c.d. “criteri Engel”):
a) la qualif‌icazione giuridica della violazione nell’ordi-
namento nazionale;
b) la natura effettiva della violazione;
c) il grado di severità della sanzione.
Tali criteri sono ritenuti alternativi e non cumulativi.
Ciò non preclude la possibilità di adottare un approccio
unitario qualora non sia possibile pervenire all’affermazio-
ne che si è in presenza di una accusa in materia penale,
nonostante la natura formalmente amministrativa di una
delle fattispecie contestate (3).
Si ritiene, poi, costantemente che, per valutare se le
due sanzioni, amministrativa e penale, abbiano ad oggetto
il medesimo fatto, deve abbandonarsi ogni riferimento alla
fattispecie incriminatrice.
Il concetto di fatto in giudicato, infatti, va interpretato
“idem factum” e non come “idem legale”.
Non è, quindi, il tipo legale a guidare il giudizio sul
principio del “ne bis in idem”, bensì la identicità materiale
e naturalistica del fatto. Poco importa, dunque, che se le
fattispecie (penal-amministrativa e penale) si differen-
zino sul piano della tipicità: ciò che conta, per ritenere
violato il divieto, è che si abbia una doppia punizione del
medesimo fatto concreto (4).
Il caso portato all’attenzione della CEDU ha riguardato
la posizione di un cittadino f‌inlandese, imputato di un reato
f‌iscale e per ciò assoggettato, in due distinti procedimenti,
tra loro non interferenti, ad una duplice sanzione, detentiva
e pecuniaria: quest’ultima, peraltro, di assai modesta entità.
In analoga situazione, qual è quella oggi in esame, è
evidente che la sanzione apparentemente amministrativa
prevista dall’art. 13, comma 1, D.L.vo 471/1977 ha in realtà
natura penale: ciò non solo perchè, in termini generali, il
diritto punitivo amministrativo conserva una chiara com-
ponente repressiva, che si propone anche in ambito tribu-
tario quale variante del diritto penale e la cui disciplina
generale (non a caso) riecheggia i cardini forti del diritto
penale, ma anche perchè, se la tenua risposta sanzionato-
ria prevista, in via amministrativa, dall’ordinamento f‌inlan-
dese non è valsa ad escludere la garanzia di cui all’art. 4 del
Protocollo della Convenzione, quest’ultima opererà, a mag-
gior ragione, in relazione ad una ben più grave sanzione
amministrativa pari al 30 % dell’importo non versato.
L’eff‌icacia “erga omes” delle sentenze della corte Euro-
pea dei diritti dell’uomo è stata introdotta dalla Assemblea
Parlamentare del Consiglio di Europa con la risoluzione n.
122 del 28 novembre 2000, la quale ha stabilito che “secon-
do il principio di solidarietà, la giurisprudenza della Corte
fa parte integrante della Convenzione, sì che il carattere
giuridicamente obbligatorio della Convenzione è allargato
“erga omes” (a tutte le altre parti). A tutto ciò segue che
gli Stati contraenti devono non solo eseguire la sentenza

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