n. 125 SENTENZA 7 - 15 maggio 2014 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9, 43 e 44 della legge della Regione Umbria 6 maggio 2013, n. 10 (Disposizioni in materia di commercio per l'attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Ulteriori modifiche ed integrazioni della legge regionale 3 agosto 1999, n. 24, della legge regionale 20 gennaio 2000, n. 6 e della legge regionale 23 luglio 2003, n. 13), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l'8-11 luglio 2013, depositato in cancelleria l'11 luglio 2013 ed iscritto al n. 74 del registro ricorsi 2013. Udito nell'udienza pubblica del 25 marzo 2014 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

udito l'avvocato dello Stato Diego Giordano per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso notificato l'8-11 luglio 2013 e depositato il successivo 11 luglio il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento agli artt. 41 e 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione, gli artt. 9, 43 e 44 della legge della Regione Umbria 6 maggio 2013, n. 10 (Disposizioni in materia di commercio per l'attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Ulteriori modifiche ed integrazioni della legge regionale 3 agosto 1999, n. 24, della legge regionale 20 gennaio 2000, n. 6 e della legge regionale 23 luglio 2003, n. 13). 1.1.- L'art. 9 della legge reg. n. 10 del 2013 integra le previsioni dell'art. 10-bis della legge della Regione Umbria 3 agosto 1999, n. 24 (Disposizioni in materia di commercio in attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114), rubricato «poli commerciali». Preliminarmente, l'Avvocatura dello Stato precisa che la definizione di «polo commerciale» e' frutto dell'elaborazione legislativa regionale in materia, non rinvenendosi, nella legislazione nazionale, una simile definizione ne', tantomeno, una specifica disciplina. Cio' premesso, il ricorrente osserva che il comma 3-quater aggiunto all'art. 10-bis dalla norma impugnata classifica come polo commerciale «gli esercizi commerciali inseriti in un medesimo piano attuativo con progetto di carattere unitario e oggetto di richiesta di approvazione unica oltre che di autorizzazione per ciascuna attivita' commerciale prevista dal medesimo progetto», e precisa che «Sono classificati polo commerciale, inoltre, gli esercizi commerciali inseriti in: a) edifici contigui i cui perimetri si tocchino;

  1. edifici nei quali sono inseriti piu' esercizi commerciali in piani sovrastanti;

  2. edifici adiacenti i cui perimetri si trovino ad una distanza lineare inferiore a 40 metri;

  3. edifici adiacenti i cui perimetri si trovino ad una distanza lineare superiore a 40 metri, qualora vi siano collegamenti strutturali di qualsiasi tipo tra detti edifici;

  4. un unico edificio dotato di piu' ingressi autonomi e indipendenti e servizi non gestiti unitariamente». Il comma 3-quinquies aggiunto al medesimo art. 10-bis della legge reg. n. 24 del 1999 prescrive, ai fini del precedente comma, che «Il perimetro dell'edificio e le distanze tra gli edifici sono calcolate con le modalita' stabilite dal Reg. reg. 3 novembre 2008, n. 9 (Disciplina di attuazione dell'art. 12, comma 1, lettere a e d-bis della legge regionale 18 febbraio 2004, n. 1 «Norme per l'attivita' edilizia» - Criteri per regolamentare l'attivita' edilizia e per il calcolo delle superfici, delle volumetrie, delle altezze e delle distanze relative alla edificazione). Ai fini della classificazione di polo commerciale, sono considerati anche gli edifici separati da strade delle tipologie F-Strade locali e F-bis-Itinerari ciclopedonali di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada)». Orbene, secondo il ricorrente, con le norme regionali sopra citate viene, di fatto, introdotta l'eventualita' che un esercizio di vicinato debba essere sottoposto ad autorizzazione preventiva, in quanto facente parte di un «polo commerciale» come definito dalla norma, potendosi pertanto verificare la possibilita' che, a priori, l'esercente non sia in condizioni di conoscere i requisiti di accesso all'attivita' stessa. Infatti, l'avvio dell'attivita' verrebbe sottoposto a disposizioni specifiche, in relazione alla superficie di vendita complessiva eventualmente derivante dall'appartenenza, appunto, ad un polo commerciale che, in alcuni casi, non e' all'evidenza chiaramente individuabile in tale fase;

    e cio' anche alla luce dei complessi criteri previsti al comma 3-quinquies. Tale interpretazione sarebbe ulteriormente confermata dal comma 3-ter dell'art. 10-bis, sempre introdotto dalla norma impugnata, secondo il quale: «La diversa articolazione interna della superficie di vendita degli esercizi commerciali presenti in un polo commerciale sono soggette (recte: e' soggetta) a SCIA da presentare secondo le modalita' di cui all'articolo 4-bis, salvo superamento degli standard urbanistici e di viabilita' originariamente previsti. In tal caso trova applicazione la procedura di autorizzazione di cui al comma 3». Le citate norme regionali, quindi, introdurrebbero regole restrittive e discriminatorie, in contrasto con i principi di liberalizzazione contenuti nell'art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale stabilisce che «Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali [...]». Sarebbe violato quindi l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nonche' il principio di liberta' dell'iniziativa economica, di cui all'art. 41 Cost. 2.- La seconda delle norme impugnate con il presente ricorso e' l'art. 43 della legge reg. n. 10 del 2013 che - nel sostituire l'art. 7 della legge della Regione...

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