N. 134 SENTENZA 21 - 31 maggio 2012

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente:Alfonso QUARANTA;

Giudici: Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevate - in riferimento agli articoli 3, 4, 27, terzo comma, e 41 della Costituzione - dalla Corte d'appello di Trieste e - in riferimento agli articoli 3, 27 e 111 della Costituzione - dalla Corte di cassazione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,

Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012.

Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promossi dalla Corte d'appello di Trieste con ordinanza del 20 gennaio 2011 e dalla Corte di cassazione con ordinanza del 21 aprile 2011, rispettivamente iscritte ai nn. 77 e 251 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 51, prima serie speciale, dell'anno 2011.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 20 gennaio 2011 la Corte d'appello di Trieste ha sollevato - in riferimento agli articoli 3, 4, 27, terzo comma, e 41 della Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni.

La Corte rimettente premette che oggetto del giudizio e' l'appello avverso la sentenza con la quale gli appellanti sono stati condannati dal Tribunale di Udine in ordine al 'delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale p. e p. dagli artt. 110 e 40, comma 2, c.p.

e dagli artt. 216, comma 1 n. 1, 223, comma 1, e 219 R.D. 16.3.1942, n. 267 (l. Fall.), per avere (recte: perche'), in concorso tra loro, quali componenti del consiglio di amministrazione, e quindi amministratori della societa' (omissis) con sede in Trivignano Udinese (UD) [...] dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Udine n. 30/2006 del 26 giugno 2006, distraevano, dissipavano, ovvero non impedivano la distrazione e la dissipazione, di attivita' della societa' fallita'.

La Corte rimettente evidenzia che il Tribunale di Udine, con la sentenza appellata, ha condannato tutti gli imputati, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti contestate, alla pena principale di anni due di reclusione e alla pena accessoria, di cui all'art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale per la durata di anni dieci e dell'incapacita', per la stessa durata, ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. A tutti gli imputati e' stato concesso, inoltre, il beneficio della sospensione condizionale della pena.

All'udienza dibattimentale del giudizio di appello il difensore degli imputati ha rinunciato ai motivi d'appello diversi da quello afferente l'entita' della pena principale e delle conseguenti pene accessorie, di cui all'art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 e ha concluso chiedendo la riduzione di entrambe le pene, quella principale e quella accessoria.

Il Procuratore Generale della Repubblica ha chiesto la riduzione della pena inflitta agli imputati, tenuto conto 'dell'intervenuto, seppur tardivo, risarcimento del danno nei confronti del fallimento gia' costituitosi parte civile, costituzione revocata in apertura d'udienza, a quella di anni uno e mesi sei di reclusione e la conferma delle ulteriori statuizioni dell'impugnata sentenza, fra cui, l'irrogazione delle pene accessorie anzidette per la durata di anni dieci'.

La Corte d'appello di Trieste, cosi' delineata la vicenda processuale, precisa di aver esaminato i profili di responsabilita' degli imputati, particolarmente per quanto attiene all'elemento soggettivo del reato e di ritenere che la pena inflitta agli imputati possa essere effettivamente ridotta come richiesto dalla pubblica accusa.

In particolare, la rimettente valorizza, ai fini della riduzione della pena, i seguenti fatti: che la contestata bancarotta fraudolenta non sarebbe stata consumata con artifizi particolari - le condotte materiali risultano in termini trasparenti dalle stesse scritture contabili tanto che, non a caso, non e' contestata la bancarotta documentale -, che la 'distrazione' ha connotati del tutto peculiari, e che gli imputati si sono adoperati, seppure tardivamente, per risarcire il danno, in modo da meritare l'applicazione dell'attenuante comune di cui all'art. 62, numero 6), del codice...

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