N. 68 SENTENZA 19 - 23 marzo 2012

ha pronunciato la seguente Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 630 del codice penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, nel procedimento penale a carico di C.P. ed altri, con ordinanza del 3 maggio 2011, iscritta al n. 186 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di C.P. ed altro e di H.J., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi gli avvocati Riccardo Benvegnu' per H.J., Emanuele Fragasso Jr. per C.P. ed altro e l'avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 3 maggio 2011, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 630 del codice penale, nella parte in cui non prevede, in relazione al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, una circostanza attenuante speciale per i fatti di 'lieve entita'', analoga, 'nella struttura e negli effetti', a quella applicabile, in forza dell'art. 311 cod. pen., al delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, previsto dall'art. 289-bis del medesimo codice.

Il giudice a quo premette di essere chiamato a trattare un processo penale - nelle forme del giudizio abbreviato richiesto a seguito dell'emissione di decreto di giudizio immediato - nei confronti di tre persone imputate del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, per avere privato della liberta' personale l'offeso, trattenendolo con la forza presso l'abitazione di una di esse - ove era stato indotto a recarsi con un pretesto - dalle ore 15,30 del 17 giugno 2010 alle ore 19,50 del medesimo giorno, allorche' il sequestrato era stato liberato grazie all'intervento delle forze dell'ordine. L'iniziativa sarebbe stata presa al fine di ottenere la restituzione della somma di denaro corrisposta a uno spacciatore di sostanze stupefacenti, dileguatosi senza aver consegnato la partita di hashish convenuta, nell'ambito di una transazione illecita che aveva visto la persona offesa svolgere il ruolo di mediatore per l'acquisto. In particolare, costui, dopo essere stato percosso, era stato costretto a contattare - mediante una linea telefonica che risultava, peraltro, sottoposta a intercettazione - alcuni suoi parenti, chiedendo loro di reperire la somma pretesa dagli imputati, con la minaccia di essere ulteriormente segregato e percosso ove la pretesa creditoria non fosse stata soddisfatta.

Osserva il rimettente che il fatto configurerebbe il contestato delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione. In base all'interpretazione accolta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 17 dicembre 2003-20 gennaio 2004, n. 962) qualificabile come 'diritto vivente', in quanto unanimemente recepita dalla giurisprudenza di legittimita' successiva - l'ipotesi criminosa descritta dall'art. 630 cod. pen. e' integrata anche dalla privazione della liberta' di una persona volta a conseguire, quale prezzo per la liberazione - come nel caso di specie - il pagamento di un debito derivante da un pregresso rapporto illecito. Il requisito di fattispecie costituito dalla 'ingiustizia' del profitto - oggetto di dolo specifico - andrebbe, infatti, apprezzato sulla base di canoni legali e non gia' nella particolare prospettiva dell'agente. Di conseguenza, esso sarebbe ravvisabile anche nella situazione considerata, nella quale la pretesa dell'agente risulta sfornita di tutela legale, avendo titolo in un negozio con causa illecita.

Alla luce di tale interpretazione, la norma censurata si presterebbe, peraltro, a colpire anche fenomeni criminosi radicalmente dissimili da quelli avuti di mira dal legislatore, all'epoca in cui ha drasticamente innalzato - fino a portarla a venticinque anni di reclusione - la pena edittale minima del delitto in questione (originariamente pari a otto anni). Tale eccezionale inasprimento della risposta punitiva - attuato con una serie di novelle legislative e, da ultimo, con la legge 30 dicembre 1980, n.

894 (Modifiche all'articolo 630 del codice penale) - costituiva, infatti, la risposta, in termini di prevenzione generale, allo straordinario incremento, registratosi negli anni 1970-1980, dei sequestri estorsivi perpetrati da pericolose organizzazioni criminali, caratterizzati da privazioni della liberta' protratte talora per anni, con episodi di efferata crudelta' ai danni delle vittime e richieste di ingenti riscatti.

La vicenda oggetto nel giudizio a quo sarebbe ben lontana da tale paradigma. Si sarebbe, infatti, al cospetto di una iniziativa 'estemporanea', attuata senza una particolare predisposizione di mezzi e senza uso di armi, quale reazione a una patita 'frode [...] in re illicita', che ha determinato la privazione della liberta' personale dell'offeso per un tempo limitatissimo (poco piu' di quattro ore).

Su tali premesse, il rimettente dubita, quindi, della legittimita' costituzionale dell'art. 630 cod. pen., rilevando come la norma censurata punisca con una pena di inusitata severita' 'tutta compressa verso l'alto', essendo il minimo edittale di venticinque anni di reclusione prossimo al massimo di trenta ('quasi una pena 'fissa'') - condotte delittuose che possono risultare assai meno gravi di altre per durata, modalita' dell'azione e entita' dell'offesa recata alla vittima, e rispetto alle quali detto minimo edittale si rivelerebbe manifestamente sproporzionato per eccesso.

Risulterebbero conseguentemente violati i principi di ragionevolezza, di personalita' della responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena (artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost.), i quali esigono che venga assicurata, nella concreta applicazione giudiziale, la possibilita' di adeguare il trattamento sanzionatorio al reale grado di colpevolezza dell'agente e al suo personale bisogno di rieducazione.

Consapevole che alla Corte costituzionale e' inibito un sindacato di merito sulle scelte sanzionatorie del legislatore, il rimettente non chiede, tuttavia, un intervento 'diretto' sul (sopra ricordato) minimo edittale. Censura, invece, la norma denunciata nella parte in cui non prevede una circostanza attenuante speciale analoga, per struttura ed effetti, a quella applicabile, in forza dell'art. 311 cod. pen., ai delitti contro la personalita' dello Stato e, dunque, anche al delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, di cui all'art. 289-bis cod. pen.: attenuante che viene in rilievo segnatamente 'quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita''.

Per questo verso, sarebbe riscontrabile una irragionevole disparita' di trattamento di situazioni analoghe, essendo la figura criminosa ora indicata pienamente assimilabile al sequestro estorsivo per struttura, requisiti di fattispecie, risposta sanzionatoria e rango degli interessi tutelati. La condotta costitutiva del delitto previsto dall'art. 289-bis cod. pen. e', infatti, identica a quella descritta dall'art. 630 cod. pen., essendo diverso solo il fine che la sorregge (di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, nel primo caso, di estorsione, nel secondo). Identico e' anche il trattamento sanzionatorio stabilito tanto per l'ipotesi semplice che per le ipotesi aggravate dalla morte dell'ostaggio; mentre analoghe, per ratio e struttura, risultano le attenuanti relative ai casi di dissociazione.

La censurata difformita' di disciplina, riguardo ai fatti di 'lieve entita'', non potrebbe essere, d'altra parte, giustificata neppure sulla base di valutazioni concernenti la diversa pregnanza del bene giuridico protetto. L'art. 630 cod. pen. mirerebbe, infatti, a evitare 'forme di iniqua mercificazione della persona', unitamente al 'pericolo di trasferimento di risorse verso plessi criminali';

l'art. 289-bis cod. pen. avrebbe, a sua volta, riguardo 'a forme di prevaricazione della persona altrettanto inique e alla rottura delle condizioni di sicurezza indispensabili alla primaria esplicitazione della convivenza civile e dell'ordine democratico'.

L'auspicato intervento di questa Corte, nel garantire una migliore capacita' di adeguamento della risposta sanzionatoria all'intera gamma dei comportamenti conformi al tipo, sarebbe, altresi', pienamente ammissibile, non scontrandosi con la riserva di legge in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), la quale...

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