N. 150 SENTENZA 18 - 21 aprile 2011
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Ugo DE SIERVO;
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 34, commi 2 e 3, della legge della Regione Abruzzo 12 maggio 2010, n.
17 (Modifiche alla L.R. 16 luglio 2008, n. 11 Nuove norme in materia di Commercio e disposizioni per favorire il superamento della crisi nel settore del commercio), e dell'art. 2 della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 38 (Interventi normativi e finanziari per l'anno 2010), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 19-23 luglio ed il 12-18 ottobre 2010, depositati in cancelleria il 27 luglio ed il 21 ottobre 2010 ed iscritti ai nn. 86 e 114 del registro ricorsi 2010.
Visto l'atto di costituzione della Regione Abruzzo;
Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
Udito l'avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 19 luglio 2010 e depositato il successivo 27 luglio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato - in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere e) ed
l), della Costituzione - questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 34, commi 2 e 3, della legge della Regione Abruzzo 12 maggio 2010, n. 17 (Modifiche alla L.R. 16 luglio 2008, n.
11 Nuove norme in materia di Commercio e disposizioni per favorire il superamento della crisi nel settore del commercio).
Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata si propone di ridisciplinare il settore del commercio, modificando in parte la precedente legge regionale 16 luglio 2008, n. 11 (Nuove norme in materia di commercio), con l'intento di prevedere misure atte a favorire il superamento della crisi economica.
A tal fine il legislatore regionale ha dettato una disciplina tesa a rivedere tutto l'ambito del commercio, dalla fase del rilascio delle necessarie autorizzazioni all'esercizio commerciale sino alla disciplina della vendita dei diversi beni. In questa ristrutturazione del settore si inseriscono le norme denunciate, le quali presenterebbero, tuttavia, elementi tali da palesare l'invasione del legislatore regionale in materie attribuite, ex art. 117, secondo comma, Cost., alla competenza esclusiva statale.
In particolare osserva l'Avvocatura dello Stato che l'art. 5, comma 1, della legge regionale n. 17 del 2010 ha sostituito interamente il comma 44 dell'art. 1 della legge regionale n. 11 del 2008 col seguente testo: '(Vendita di farmaci). Gli esercizi commerciali di cui al comma 3, lettere d), e), f), g) e m), possono effettuare attivita' di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione come previsto all'articolo 5 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito con modificazioni in legge 4 agosto 2006, n. 248. La superficie minima destinata alle attivita' di cui al comma 2 dell'art. 5 della legge 4 agosto 2006, n. 248 deve essere: a) non inferiore a mq 40 per gli esercizi di cui al comma 3, lettera d);
b) non inferiore a mq 80 per gli esercizi di cui al comma 3, lettera
e); c) non inferiore a mq 120 per gli esercizi di cui al comma 3, lettere f) e g). Sono fatte salve tutte le attivita' avviate in data antecedente all'entrata in vigore della presente legge'.
In sintesi, la norma impugnata dispone che gli esercizi commerciali che possono effettuare attivita' di vendita al pubblico dei farmaci da banco, di automedicazione o comunque non soggetti a prescrizione medica, come previsto all'articolo 5 del decreto-legge n. 223 del 2006, devono avere delle superfici minime prestabilite dalla norma stessa.
Il ricorrente evidenzia che la normativa statale di riferimento in materia e' costituita dal citato art. 5 del d.l. n. 223 del 2006, che ha derogato al principio della esclusivita' della vendita dei farmaci presso le farmacie, e dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio), che, secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 430 del 2007, ha 'espressamente posto quali finalita' della disciplina in materia di commercio, tra le altre, quella di realizzare la trasparenza del mercato, la concorrenza, la liberta' d'impresa e la libera circolazione delle merci, [...] in un processo di modernizzazione, all'evidente scopo di rimuovere i residui profili di contrasto della disciplina di settore con il principio della libera concorrenza'.
La ratio sottesa alla disciplina statale sarebbe, dunque, quella di incentivare e tutelare la libera concorrenza, nonche', come sottolineato nella citata sentenza n. 430 del 2007, di perseguire obiettivi di tutela della salute, mirando a garantire una maggiore facilita' nel reperimento dei medicinali.
E' questa la prospettiva, a parere del Presidente del Consiglio dei ministri, in cui dovrebbe inquadrarsi la norma denunciata, la quale, pur inserita nell'ambito di un testo legislativo diretto alla disciplina del commercio e, nello specifico, diretta a disciplinare la vendita dei farmaci e le modalita' con la quale questa deve avvenire, involgerebbe in realta' profili di esclusivo rilievo statale, nella parte in cui dispone che gli esercizi abilitati alla vendita di farmaci debbano avere le limitazioni di superficie ivi determinate.
La previsione regionale quindi, ponendo limiti e vincoli alla distribuzione commerciale concernente la vendita dei farmaci da banco, risulterebbe eccedere dalle competenze regionali, incidendo sull'assetto concorrenziale del mercato, in particolare della distribuzione commerciale, cosi' da invadere la competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Ne' potrebbe argomentarsi, in senso contrario, che, essendo la 'tutela della concorrenza' una materia 'trasversale', la disposizione regionale censurata e' legittima in quanto espressione della competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni.
Osterebbe, infatti, a tale conclusione il rilievo per cui interventi legislativi regionali di tal genere presuppongono una necessaria sintonia con la realta' produttiva regionale, che nella specie sarebbe assente.
Per tali motivi non si dovrebbe dubitare del fatto che la norma censurata contrasti con il principio di libera concorrenza, intesa quale pari opportunita' e corretto ed uniforme funzionamento del mercato, tanto piu' qualora la si esamini alla luce dei principi fissati dalla giurisprudenza costituzionale in materia, per cui 'l'espressione tutela della concorrenza comprende, tra l'altro, le misure legislative di promozione che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo od eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacita' imprenditoriale e della competizione tra imprese, e, in generale, vincoli alle modalita' di esercizio delle attivita' economiche, ampliando l'area di libera scelta sia dei cittadini che delle imprese' (Corte cost. sentenza n. 430 del 2007).
Sarebbe, dunque, sufficiente esaminare la disposizione regionale alla luce di tale consolidato orientamento per verificare come essa si ponga in contrasto con il concetto di tutela della concorrenza sopra delineato, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. poiche' tende a creare limiti e barriere all'accesso al mercato ed alla libera esplicazione dell'attivita' imprenditoriale in maniera del tutto discriminatoria, ad esclusivo detrimento dei cittadini e degli operatori regionali e senza alcuna valida ragione ad essa sottesa, giustificata da particolari esigenze regionali.
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- La seconda questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri riguarda l'art.
34, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2010 nella parte in cui dispone, previa sospensione dell'efficacia della previgente norma regionale in materia di apertura domenicale e festiva, ovvero dell'art. 1, comma 129, della 1egge regionale n. 11 del 2008, 'che gli esercenti il commercio, con propria libera scelta, possano derogare dall'obbligo di chiusura domenicale e festiva, [...] per un numero di 40 giornate nell'arco dell'anno, stabilito con Ordinanza Sindacale, previa concertazione, con i Sindacati e con le Organizzazioni di categoria, delle giornate di chiusura infrasettimanale'.
Secondo il ricorrente la possibilita' di apertura straordinaria per un numero di 40 giornate nell'arco dell'anno da concertare in via autonoma ed esclusiva, prescindendo dal parametro normativo statale costituito dall'art. 11 del d.lgs. n. 114 del 1998, determinerebbe una non giustificabile disparita' di trattamento con i soggetti esercenti la medesima attivita' nelle altre zone del territorio nazionale.
L'art. 11 del citato d.lgs. n. 114 del 1998, infatti, dispone al comma 5 che la 'deroga all'obbligo di chiusura deve comunque comprendere il mese di dicembre nonche' ulteriori otto domeniche o festivita' nel corso degli altri mesi dell'anno'. Diversamente, la disposizione regionale in esame prevede la possibilita' di deroga per un numero di giorni, pari a 40, di molto superiore rispetto a quello stabilito dalla norma statale (mese di dicembre piu' 8 giorni).
Per questo motivo la norma si porrebbe in contrasto con l'art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto verrebbe ad eliminare, solo in ambito regionale, i vincoli e i limiti posti dalla disciplina statale in punto di apertura straordinaria degli esercizi...
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