N. 270 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 settembre 2012
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da U.
V., nato a S. Maria Capua Vetere il 26 gennaio 1969 avverso l'ordinanza del 16 febbraio 2012 del Tribunale di Napoli;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vincenzo Romis;
udito il Pubblico ministero, in persona dell'Avvocato Generale Massimo Fedeli, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Marco Muscariello in sostituzione dell'avv. Antonio Abet, che ha concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
Ritenuto di fatto 1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 16 febbraio 2012 depositata il successivo 23 febbraio - in funzione di giudice dell'appello cautelare, ha accolto l'impugnazione del Pubblico ministero nei confronti del provvedimento del 6 maggio 2010 con il quale il giudice del medesimo Tribunale, all'esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, aveva sostituito con la misura degli arresti domiciliari quella della custodia cautelare in carcere, disposta nei confronti di V. U., per vari reati di illecita detenzione e porto in luogo pubblico di arma comune da sparo clandestina, di ricettazione e di estorsione, aggravati dall'uso del metodo mafioso e dalla finalita' di agevolazione mafiosa. Il Tribunale del riesame ha rilevato l'impossibilita' di sostituzione della misura cautelare carceraria con altra meno gravosa, ritenendo a cio' ostativo il combinato disposto degli artt. 275, comma 3, e 299, comma 2, cod. proc. pen. , e cio' in conseguenza della contestazione all'Ucciero della circostanza aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del difensore avv.to Antonio Abet, V. U., deducendo violazione di legge processuale e difetto di motivazione, con argomentazioni che possono cosi' riassumersi: la disposizione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., conterrebbe una presunzione soltanto relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, tale da poter essere superata dall'apprezzamento discrezionale del giudice, e cio' alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale in materia influenzata dalle plurime decisioni della Corte costituzionale che hanno di recente dichiarato la parziale illegittimita', per categorie di reato, della disposizione sopra indicata.
2. Con ordinanza del 10 maggio 2012, dep. il 4 giugno successivo, la Sesta Sezione Penale di questa Corte, alla quale il ricorso era stato assegnato in base ai criteri tabellari, ha rimesso il ricorso dell'Ucciero alle Sezioni Unite, per la risoluzione della questione, su cui v'e' contrasto in giurisprudenza, se la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere consenta di sostituire detta misura, successivamente alla sua adozione, con altre meno afflittive, oppure permetta soltanto di revocarla qualora le esigenze cautelari siano del tutte venute meno; con l'ordinanza di rimessione sono state indicate le piu' significative decisioni di questa Corte a sostegno dell'uno e dell'altro indirizzo, e sinteticamente ricordate le considerazioni addotte a sostegno dei due contrapposti orientamenti: a) nelle decisioni favorevoli all'orientamento della presunzione assoluta di inadeguatezza di ogni altra misura diversa da quella della custodia in carcere, anche successivamente all'adozione della misura, vengono valorizzate la lettera della norma ed un argomento sistematico ritenuto desumibile dall'art. 299, comma 2, cod. proc. pen., laddove e' consentita la sostituzione della misura con altra meno grave, quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero quando la misura applicata non appare piu' proporzionata all'entita' del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata risulta inadeguata, ma con espressa eccezione proprio delle ipotesi contemplate dall'art. 275, comma 3, del codice di rito: con conseguente irrilevanza, quindi, dell'eventuale affievolimento delle esigenze cautelari, perche' solo il venir meno delle stesse potrebbe comportare la revoca della misura; b) per l'orientamento contrario, l'obbligatorieta' dell'applicazione della misura della custodia in carcere opererebbe solo in occasione dell'adozione del provvedimento genetico della misura cautelare dovendo essere valutati il decorso del tempo e la concreta sussistenza della prosecuzione della pericolosita' sociale del soggetto e, qualora questa risulti attenuata, la possibilita', da ritenersi dunque legittima, di applicare la misura meno afflittiva.
Con decreto del 6 giugno 2012, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso in esame alla Sezioni Unite, fissando l'odierna udienza per la trattazione in camera di consiglio partecipata.
Considerato in diritto 1. Il tema di indagine e di decisione sul quale le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi consiste nello stabilire: 'se la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. operi solo in occasione dell'adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva o riguardi anche le vicende successive che attengono alla permanenza o meno delle esigenze cautelari' (nella concreta fattispecie nel caso di reato aggravato ai sensi dell'art. 7 della legge 12 dicembre 1991, n. 203).
Di talche', i riferimenti normativi di carattere procedurale sui quali bisogna focalizzare l'attenzione in questa sede sono gli artt.
275, comma 3, e 299, comma 2, cod. proc. pen., disposizione, quest'ultima, in cui risulta espressamente richiamato lo stesso art.
275, comma 3.
2. L'art. 275 cod. proc. pen. indica i criteri cui il giudice deve attenersi per individuare la misura da ritenersi idonea in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto; nel terzo comma dello stesso articolo e' pero' stabilita una presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere per i delitti ivi elencati, 'salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari': dunque, per tali delitti, e' obbligatoria la piu' afflittiva delle misure cautelari, purche' sussistano esigenze cautelari, nulla rilevando la natura ed il grado delle stesse.
Il comma 2 dell'art. 299 cod. proc, pen. e' cosi' formulato:
'salvo quanto previsto dall'art. 275, comma 3, quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare piu' proporzionata all'entita' del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, il giudice sostituisce la misura con un'altra meno grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalita' meno gravose'.
In relazione alle due norme citate, e' sorto nella giurisprudenza di questa Corte un contrasto interpretativo in ordine alla questione se la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere, per i reati indicati nell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., debba trovare applicazione solo in occasione dell'adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva o riguardi anche le vicende successive al momento genetico della misura stessa, con conseguente irrilevanza dell'eventuale attenuazione delle esigenze cautelari (a meno che, ovviamente, le stesse non siano venute a mancare del tutto).
Il quadro giurisprudenziale che si e' delineato sulla questione giuridica controversa puo' essere sinteticamente illustrato come segue.
3. La tesi secondo cui la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere governa soltanto il momento iniziale della misura e' stata prospettata, nell'epoca piu' recente, da sez. 6, n.
25167 del 18 febbraio 2010, dep. 2 luglio 2010, Gargiulo, Rv. 247595:
con detta decisione e' stato affermato che l'obbilgatorieta' della custodia in carcere non puo' aver riguardo alle vicende successive all'adozione della misura stessa, perche' in tali ipotesi occorre valutare il decorso del tempo e la concreta sussistenza della pericolosita' sociale, con la conseguenza della doverosita' della verifica circa la possibilita' di sostituzione della misura originaria con altra meno afflittiva.
Tale sentenza ha fatto richiamo, per avvalorare la soluzione adottata, a due precedenti datati, e cioe' sez. 6, n. 54 del 13 gennaio 1995, dep. 1° marzo 1995, Corea, Rv. 200564 e sez. 1, n. 3592 del 24 maggio 1996, dep. 6 agosto 1996, Corsanto, Rv. 205490 che enunciarono il seguente principio: 'qualora in grado di appello venga affermata, nei confronti di un soggetto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, la sussistenza, esclusa nel primo giudizio, di uno dei reati per i quali l'art. 275, comma 3, c.p.p. impone la custodia cautelare in carcere, ai fini della decisione sullo status libertatis dell'imputato deve aversi riguardo non gia' al suddetto art. 275, poiche' non si verte in tema di prima applicazione di una misura cautelare di coercizione personale, bensi' all'art. 299, comma 4, c.p.p., che prevede la modifica peggiorativa della precedente misura in corso quando risultino aggravate le esigenze cautelari; ne consegue che la pura e semplice intervenuta condanna per uno dei reati predetti, non accompagnata da alcun elemento sintomatico dell'emergere di qualche evenienza negativamente influente sulle esigenze cautelari, non puo' essere idonea a modificare il quadro giuridico - processuale esistente al momento della concessione degli arresti domiciliari ed a fondare il ripristino della custodia in carcere'. In particolare, la seconda, tra le due decisioni appena richiamate, fondo' il proprio convincimento sulla regolamentazione specifica e autonoma del c.d. ripristino, contemplato dagli artt.
300, comma 5, e 307, comma 2, del codice di rito. Da tale premessa derivo' la conclusione che i parametri valutativi per l'accertamento delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., richiamate dall'art. 300, comma 5, stesso codice, devono essere ricavati dalla regola generale di cui all'art. 299, comma 4, cod. proc. pen., secondo...
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