N. 269 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 settembre 2012

P.Q.M.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen. all'art. 7 del decreto-legge n. 152/1991 (convertito dalla legge n. 203/1991), in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost.

Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Cosi' deciso il 19 luglio 2012

Il Presidente: Lupo Il Componente estensore: Romis

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da L.

M., nato ad Alcamo il 24/10/1977 avverso l'ordinanza del 14/10/2011 del Tribunale di Palermo.

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal consigliere Vincenzo Romis;

Udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Massimo Fedeli, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Uditi i difensori, avv. Giuliano Dominici e avv. Fabio Calderone, i quali hanno concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell'appello cautelare, accoglieva, con provvedimento del 14 ottobre 2011 - dep.

il 2 novembre successivo - l'impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del 26 settembre 2011, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari, in luogo di quella della custodia carceraria inizialmente disposta, nei confronti di L. M., condannato in esito a giudizio abbreviato per il reato di favoreggiamento personale aggravato dalla circostanza di cui all'art.

7 del d.l. n. 152 del 1991, cosi' riqualificata l'originaria imputazione di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso.

Il Tribunale, dopo aver rilevato che anche per i reati aggravati secondo la previsione di cui all'art. 7 del citato decreto opera la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere, ai sensi dell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., concludeva nel senso che detta misura non poteva essere sostituita, in corso di esecuzione, con altra meno afflittiva.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione, per mezzo del difensore, il L., deducendo violazione di legge e difetto di motivazione con argomentazioni che possono cosi' sintetizzarsi: a) la sentenza di condanna ha riqualificato il fatto, evidenziando l'assenza di significativi contatti del L. con la consorteria mafiosa; b) la recente giurisprudenza costituzionale ha individuato, nelle presunzioni di adeguatezza, aspetti della disciplina processuale contrastanti con il principio di uguaglianza, ove non rispondano a 'dati di esperienza generalizzati'; c) la presunzione di adeguatezza, nel caso di specie, sarebbe irragionevole, stante l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata di tipo mafioso; d) l'ordinanza impugnata non avrebbe valutato le deduzioni difensive circa la prospettata insussistenza dei presupposti per l'adozione di misure cautelari.

Con atto successivo, il ricorrente, per mezzo di altro difensore, ha depositato motivi nuovi con i quali, richiamato il contrasto giurisprudenziale in materia e dedotta la necessita' di una rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, ha sottolineato il carattere eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e, dunque, l'impossibilita' di farne oggetto di interpretazione estensiva e di applicazione analogica per regolare anche le ipotesi diverse da quella della primigenia applicazione della misura e quindi le vicende successive del regime cautelare.

3. La Seconda Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato in relazione ai criteri tabellari, con ordinanza n. 7586 del 14 febbraio 2012, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, rilevando un contrasto circa l'esistenza o meno di un automatismo legale in riferimento anche al perdurare della presunzione legale di pericolosita' in ordine ai delitti di matrice mafiosa,

Con decreto del 29 febbraio 2012, il Primo Presidente ha disposto la restituzione del procedimento alla Seconda Sezione Penale per una nuova valutazione circa la sussistenza e attualita' del denunciato contrasto, alla luce del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, n. 27919 del 31/03/2011, Ambrogio, secondo cui 'anche nel momento della sostituzione della misura cautelare giocano le presunzioni' di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; 'una diversa soluzione, evidentemente, renderebbe del tutto irrazionale il sistema'.

In merito a detto decreto presidenziale la difesa del ricorrente ha depositato note, osservando, tra l'altro, che, a suo avviso, la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere potrebbe trovare giustificazione soltanto nei casi di condotte di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso e non anche nei casi di addebiti qualificati dalla circostanza aggravante di cui al citato art. 7: ha chiesto quindi la rimessione della questione alla Corte Costituzionale.

Con ordinanza del 18 aprile 2012, dep. l'11 maggio successivo, la Seconda Sezione Penale, pur dopo il decreto del Primo Presidente di restituzione del procedimento - di cui sopra si e' detto - ha nuovamente rimesso il ricorso del Lipari alle Sezioni Unite, rilevando che, alla luce della recente giurisprudenza costituzionale sull'art. 275, terzo comma, cod. proc. pen., il momento genetico di applicazione della misura cautelare e le vicende successive del titolo dovrebbero essere autonomamente considerati in riferimento alla ragione che giustifica la deroga alla disciplina ordinaria prevista per i procedimenti di mafia. La massima di esperienza, secondo cui il vincolo di appartenenza a un sodalizio criminoso puo' essere interrotto soltanto dalla misura cautelare della custodia in carcere, sarebbe altamente persuasiva in riferimento al momento applicativo, non cosi' relativamente al periodo successivo, proprio perche' il vincolo associativo sarebbe stato nel frattempo contrastato dall'applicazione della misura. La parificazione dei due momenti ai fini della presunzione legale di adeguatezza non risulterebbe allora giustificata secondo il criterio della ragionevolezza. Peraltro, non sembrerebbe ragionevole l'estensione di questo trattamento derogatorio, dagli addebiti cautelari di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, agli addebiti per qualsivoglia delitto che sia soltanto aggravato dall'uso del metodo mafioso o dalla finalita' di agevolazione di un'associazione mafiosa, secondo la previsione di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991, perche' in tali ultime ipotesi non sarebbe ravvisabile la necessita' di recidere un vincolo nemmeno contestato.

4. Con decreto del 14 maggio 2012, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando l'odierna udienza per la trattazione in camera di consiglio.

5. In data 3 luglio 2012 sono state depositate ulteriori note difensive da uno dei difensori, con le quali sono state richiamate tutte le precedenti argomentazioni svolte con il ricorso e con i motivi nuovi, ed e' stato inoltre evidenziato quanto segue: a) con la recente sentenza n. 110 del 2012, la Corte Costituzionale ha sottolineato che le precedenti declaratorie di incostituzionalita' concernenti l'art. 275, comma 3, del codice di rito, non possono estendersi alle altre fattispecie criminose ivi disciplinate e che la lettera della norma impugnata - il cui significato non puo' essere valicato neppure per mezzo dell'interpretazione costituzionalmente conforme - non consente in via interpretativa di conseguire l'effetto che solo una pronuncia di illegittimita' costituzionale puo' produrre: in proposito, il difensore ha pertanto richiamato la questione di legittimita' costituzionale della normativa di riferimento quale gia' prospettata con le precedenti note; b) la imputazione originariamente elevata a carico del L. e' stata poi derubricata in favoreggiamento personale aggravato dall'art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, con conseguente riconosciuta estraneita' del L.

stesso alla compagine associativa mafiosa: vengono quindi riprese le argomentazioni della Corte Costituzionale circa le presunzioni assolute e si osserva che, quanto al L., la presunzione di adeguatezza della piu' grave misura cautelare rimarrebbe collegata all'aggravante ritenuta in sentenza; c) nel ritenere giustificato il regime derogatorio in rapporto ai delitti di mafia, la Corte Costituzionale ha in particolare valorizzato l'appartenenza del soggetto ad associazioni mafiose, situazione non riscontrabile nel caso del L. in conseguenza della derubricazione del reato; d) nel corso della vicenda cautelare andrebbe sempre verificata ed assicurata la conformita' della misura ai principi di adeguatezza e proporzionalita', potendo il giudice disporre, nel prosieguo, di elementi di valutazione delle esigenze cautelari diversi da quelli presenti al momento dell'applicazione della misura restrittiva: ed in proposito si sostiene che, diversamente opinando, ci si porrebbe in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale nelle numerose sentenze in materia nonche' con l'indirizzo di fondo della stessa sentenza Ambrogio delle Sezioni Unite. A conclusione delle note quali appena illustrate, il difensore ha ribadito la richiesta principale di accoglimento del ricorso e, in subordine, ha chiesto che venga sollevata questione di legittimita' costituzionale della normativa di riferimento - artt. 275, comma 3, e 299, comma 2, cod.

proc. pen. - sotto i seguenti profili: 1) nella parte in cui e' prevista l'obbligatorieta' della custodia in carcere per ogni delitto aggravato dal citato art. 7 ovvero, in piu' stretta relazione al caso di specie, 'commesso al fine di agevolare l'attivita' delle...

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