n. 95 SENTENZA 14 - 28 maggio 2015 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 12, comma 2-bis, e 13, comma 2-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunti dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettere h), ed m), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promosso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di La Spezia nel procedimento penale a carico di F.R. ed altri, con ordinanza del 3 dicembre 2013, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2014. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 marzo 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 3 dicembre 2013 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di La Spezia ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 12, comma 2-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera h), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione;

  1. dell'art. 13, comma 2-bis, del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dell'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera m), del d.l. n. 138 del 2011, per asserita violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di cinque persone, imputate del reato di associazione per delinquere costituita allo scopo di commettere reati tributari e fallimentari, nonche', in concorso tra loro e con altri soggetti, dei delitti tributari di cui agli artt. 2, 4, 8 e 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 e del delitto di bancarotta fraudolenta impropria. Il rimettente riferisce, altresi', che nel corso dell'udienza preliminare i difensori degli imputati avevano chiesto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, subordinando la richiesta alla concessione della sospensione condizionale. Il pubblico ministero aveva negato, peraltro, il proprio consenso: quanto a tre degli imputati, perche' aveva ritenuto non congrua la pena richiesta in considerazione della gravita' e pluralita' delle contestazioni e, comunque, per le preclusioni stabilite dagli artt. 12, comma 2-bis, e 13, comma 2-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000;

quanto agli altri due imputati, perche', pur apparendo la pena congrua, la richiesta trovava ostacolo nelle predette preclusioni. Recependo l'eccezione formulata dai difensori, il giudice a quo dubita della legittimita' costituzionale delle citate disposizioni. Ad avviso del rimettente, le questioni sarebbero rilevanti, dovendo egli fare applicazione delle norme censurate al fine di decidere sulle richieste di "patteggiamento". Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva che il comma 2-bis dell'art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000 vieta di concedere la sospensione condizionale della pena per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del medesimo decreto legislativo, quando l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore - congiuntamente - al trenta per cento del volume d'affari e a tre milioni di euro. In questo modo, il legislatore avrebbe stabilito una rigida preclusione alla fruizione di un istituto che «assume un ruolo centrale nelle scelte repressive». La sospensione condizionale avrebbe, infatti, da tempo perduto le sue originarie connotazioni "clemenziali", per trasformarsi in uno strumento che permette di valutare la necessita' o meno di applicare, nel caso concreto, la pena inflitta, nella prospettiva di garantire le migliori condizioni per il recupero sociale del condannato. Al tempo stesso, la perpetuazione della minaccia di detta pena (attraverso la previsione della possibile revoca della sospensione) e i contenuti positivi della misura (costituiti dalle condizioni cui la sospensione puo' essere assoggettata) conferirebbero alla sospensione condizionale i tratti di una vera e propria «pena alternativa». Con la norma censurata, il legislatore avrebbe inteso sostituire le proprie valutazioni alla discrezionalita' giudiziale, nella prospettiva di far apparire certa l'esecuzione della pena nei confronti degli autori di delitti tributari che implichino un'evasione di imposta di ammontare superiore ai due limiti stabiliti (proporzionale e fisso). Per tal verso, la disposizione censurata violerebbe anzitutto l'art. 3 Cost., giacche' la scelta di sottoporre i reati tributari ad un trattamento piu' rigoroso di quello riservato alla generalita' degli altri reati si paleserebbe irragionevole. Se pure e' vero che la «diffusa pratica dell'evasione fiscale» genera un notevole allarme sociale, l'illecito penale tributario non presenterebbe comunque caratteristiche tali da giustificare un regime differenziato, quanto alle condizioni ostative della sospensione condizionale. Si tratterebbe, infatti, di un reato contro il patrimonio, qualificato dell'ulteriore disvalore connesso alla violazione di un dovere che rappresenta un aspetto di rilievo dell'«appartenenza sociale», quale quello di osservanza degli obblighi tributari. Non per questo solo, tuttavia, i reati tributari risulterebbero meritevoli di un trattamento piu' severo di quello che la legge riserva ad altri reati contro il patrimonio pubblico, parimenti caratterizzati da un tratto di infedelta', semmai ancora piu' pregnante: quali, ad esempio, i delitti di peculato o di malversazione, per i quali non sono previste analoghe disposizioni. La disposizione censurata violerebbe, altresi', l'art. 25, secondo comma, Cost., imponendo l'adozione di un trattamento punitivo suscettibile di infrangere il rapporto di proporzione tra la pena e il fatto commesso. Il legislatore avrebbe, infatti, attribuito «una rilevanza preponderante e vincolante», ai fini dell'accesso alla sospensione condizionale, ad alcuni soltanto tra i criteri di adeguamento della pena al caso concreto enunciati dall'art. 133 del codice penale e richiamati dall'art. 164, primo comma, del medesimo codice (il rapporto tra evasione e volume d'affari rientrerebbe tra le «modalita' della condotta», mentre l'entita' dell'evasione atterrebbe alla misura del danno). Al contrario, solo tenendo conto di tutti gli elementi di cui al citato art. 133 cod. pen. sarebbe possibile apprezzare il disvalore del singolo episodio criminoso. Potrebbe accadere, di conseguenza - come nel caso di specie - che soggetti i quali hanno agito in circostanze di tempo o di luogo del tutto peculiari, o ai quali si puo' comunque muovere un «rimprovero [...] minimo» sul piano della colpevolezza, si vedano preclusa la concessione...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT