n. 91 SENTENZA 21 febbraio - 27 aprile 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 464-quater, 464-quater, commi 1 e 4, e 464-quinquies, del codice di procedura penale, e dell'art. 168-bis, commi secondo e terzo, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Grosseto, nel procedimento penale a carico di S. A. e altri, con ordinanza del 16 dicembre 2016, iscritta al n. 81 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2018 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 16 dicembre 2016 (r.o. n. 81 del 2017), il Tribunale ordinario di Grosseto, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111, sesto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 464-quater, comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, ai fini della cognizione occorrente ad ogni decisione di merito da assumere nel [procedimento speciale di messa alla prova], proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari restituendoli per l'ulteriore corso in caso di pronuncia negativa sulla concessione o sull'esito della messa alla prova». Con la medesima ordinanza, il giudice a quo ha sollevato, in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 168-bis, secondo e terzo comma, del codice penale, «in quanto prevede la applicazione di sanzioni penali non legalmente determinabili», nonche', in riferimento agli artt. 97, 101 e 111, secondo comma, Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 464-quater, comma 4, cod. proc. pen., «nella parte in cui prevede il consenso dell'imputato quale condizione meramente potestativa di efficacia del provvedimento giurisdizionale recante modificazione o integrazione del programma di trattamento». Il Tribunale rimettente ha infine sollevato, in riferimento all'art. 27, secondo comma, Cost., questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 464-quater e 464-quinquies cod. proc. pen., «in quanto prevedono la irrogazione ed espiazione di sanzioni penali senza che risulti pronunciata ne' di regola pronunciabile alcuna condanna definitiva o non definitiva». Il giudice a quo premette di aver gia' sollevato le medesime questioni di legittimita' costituzionale con tre ordinanze del 10 marzo 2015 di identico contenuto (r.o. n. 157, n. 158 e n. 159 del 2015), questioni che sono state pero' dichiarate manifestamente inammissibili con l'ordinanza n. 237 del 2016 di questa Corte, per insufficiente descrizione della fattispecie e, conseguentemente, per difetto di motivazione sulla loro rilevanza nei giudizi a quibus. «In ossequio ai dettami della Corte» e al fine di sopperire ai precedenti profili di inammissibilita', il Tribunale rimettente chiarisce di essere investito, «in funzione di giudice della cognizione in primo grado», di sette procedimenti penali riuniti, indicando specificamente i reati per cui procede a carico di ciascun imputato e le condotte contestate. Il giudice a quo poi specifica di essere pervenuto «allo stadio della pronuncia sul merito di ciascuna istanza di messa alla prova ritualmente presentata» dagli imputati, per ognuno dei quali sussistono i requisiti soggettivi previsti dall'art. 168-bis cod. pen., essendo tutti incensurati, tranne uno «che, tuttavia, ha riportato un mero e irrilevante precedente di cui all'art. 614 c.p. risalente a quattordici anni addietro». Inoltre le istanze di sospensione del procedimento con messa alla prova sarebbero state presentate nel «termine legalmente imposto», a mezzo di difensore munito di procura speciale e con tempestiva allegazione del programma di trattamento elaborato d'intesa con il competente ufficio di esecuzione penale esterna. Dall'ordinanza di rimessione emerge pure che «ciascuno dei fascicoli per il dibattimento concernenti le fattispecie sostanziali dedotte nei procedimenti penali presupposti, in ragione dello stadio processuale in cui la procedura di messa alla prova e' stata attivata [...] e della composizione del fascicolo legalmente prescritta in tale stadio [...], non contiene la rappresentazione del benche' minimo elemento di prova occorrente all'accertamento ed alla valutazione, neppure in forma di delibazione sommaria, della fondatezza dell'accusa sotto alcun profilo oggettivo e soggettivo». Da qui l'impossibilita', per il giudice, di stabilire «se [il] fatto [contestato] sussista, con quante e quali modalita' di cui all'art. 133 c.p. sia stato commesso, da chi sia stato commesso, se costituisca reato, se sia previsto dalla legge come reato ed infine se, a quali condizioni ed a quale titolo dia luogo ad un reato punibile». Cio' renderebbe le prime questioni sollevate rilevanti nei giudizi a quibus. Qualora si accogliessero le istanze di messa alla prova formulate dagli imputati, il relativo provvedimento, secondo il rimettente, dovrebbe stabilire «in forma precettiva la qualita' e soprattutto la quantita' di ciascuna delle due sanzioni criminali previste dall'art. 168 [recte: 168-bis] commi 2 e 3 c.p.» in violazione del principio di legalita' della pena. Ne conseguirebbe la pregiudizialita' della seconda questione di legittimita' costituzionale sollevata. Inoltre, poiche' «nessuno dei programmi di trattamento presentati [dagli imputati] contiene la determinazione quantitativa delle sanzioni ivi prefigurate», essendo stati redatti in modo incompleto, mediante la compilazione di un modulo, nel caso di accoglimento delle istanze di messa alla prova, il giudice dovrebbe procedere ad integrarli, cosi' sottoponendo il relativo provvedimento alla «condizione sospensiva di efficacia identificata nel "consenso dell'imputato"». Egli infine si troverebbe a dover «sancire l'espiazione di una pena criminale in difetto di alcuna condanna sia definitiva, sia non definitiva». Da qui la rilevanza della terza e della quarta questione di legittimita' costituzionale sollevate dall'ordinanza di rimessione. Ricostruita la disciplina dell'istituto della messa alla prova, introdotto dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), il Tribunale rimettente osserva che nel caso, come quello in esame, in cui l'iniziativa dell'imputato interviene nella fase degli atti preliminari al dibattimento «[i]l provvedimento giurisdizionale di cognizione sul merito della istanza di messa alla prova e' pronunciato allo stato degli atti del fascicolo per il dibattimento [quale] esso si trova nello stadio introduttivo del giudizio (antecedente la dichiarazione di apertura del dibattimento) in cui la procedura deve essere attivata a pena di decadenza». Il procedimento speciale introdotto nel 2014 - prosegue il giudice a quo - si articola in una prima fase amministrativa, condotta dall'ufficio di esecuzione penale esterna in funzione istruttoria e preparatoria, in una fase giurisdizionale di cognizione culminante nella formazione di un titolo esecutivo provvisorio emesso, allo stato degli atti del fascicolo per il dibattimento, in forma di ordinanza e in una fase di esecuzione penale culminante nell'adozione di un provvedimento, emesso in forma di sentenza, «di accertamento costitutivo della fattispecie giudiziale estintiva del reato conseguentemente formatasi». Peraltro l'istanza di messa alla prova comporta, da parte dell'imputato, la sua «volontaria soggezione [...] alla esecuzione di una pena criminale, quantunque morfologicamente strutturata in forma alternativa e sostitutiva rispetto alle ordinarie sanzioni [pecuniarie e/o detentive] previste dal codice penale». Si tratterebbe, insomma, di «un trattamento giuridico sanzionatorio penale (necessariamente) irrogato in funzione retributiva, specialpreventiva, rieducativa e risocializzante nonche' (eventualmente) irrogabile anche in funzione ripristinatoria e riparatoria». Ad avviso del rimettente la fattispecie della messa alla prova, consistendo nell'offerta di una prestazione il cui adempimento integra una causa di estinzione del reato, richiama quella dell'oblazione, con la differenza, da un lato, che «la prestazione offerta consiste (non nel mero versamento di una somma di denaro predeterminata e/o obiettivamente determinabile, bensi') nella soggezione dell'imputato a vincoli ablatori e conformativi della sua sfera personale e patrimoniale la cui quantita' e qualita', lungi dal recare alcuna predeterminazione normativa, deve essere determinata dal giudice sulla base delle complesse valutazioni discrezionali di merito finalizzate al cosiddetto trattamento»;

dall'altro, che la declaratoria dell'esito positivo della messa alla prova implica «valutazioni di merito che trascendono di gran lunga la mera ricognizione vincolata del dato obiettivo precostituito concernente l'esatto adempimento di una mera dazione pecuniaria», si' da rivestire efficacia costitutiva e non meramente dichiarativa dell'estinzione del reato. Ritenuto che la messa alla prova consiste in un «trattamento sanzionatorio criminale il cui positivo esito applicativo darebbe luogo alla causa di estinzione del reato», il giudice a quo osserva come, secondo il vigente ordinamento processuale e costituzionale, l'irrogazione di qualsiasi sanzione penale «postula l'indefettibile presupposto del convincimento del giudice in ordine alla responsabilita' dell'imputato in relazione» al reato per cui si procede. Cio' si desumerebbe dal tenore «dell'art. 168-bis, comma 2, c.p., che menziona le conseguenze "derivanti" dal reato: del quale, percio' stesso, letteralmente si assume...

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