n. 79 SENTENZA 9 marzo - 7 aprile 2016 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 29, comma 5, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), in relazione al successivo comma 6, promosso dal Tribunale ordinario di Catania, nel procedimento penale a carico di N.G. ed altri, con ordinanza del 1° dicembre 2014, iscritta al n. 42 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2016 il Giudice relatore Nicolo' Zanon. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 1° dicembre 2014 il Tribunale ordinario di Catania, in composizione monocratica, ha sollevato - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29, comma 5, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), in relazione al successivo comma 6 della medesima disposizione. Il rimettente e' chiamato alla celebrazione di un giudizio per fatti asseritamente riconducibili al divieto di propaganda elettorale da parte delle pubbliche amministrazioni nell'ambito di elezioni amministrative. In particolare, e' contestato a N.G., nella sua qualita' di direttore generale di Azienda sanitaria, di essersi fatto promotore e organizzatore, in data 5 giugno 2008 - dunque nell'imminenza delle elezioni del Sindaco del Comune di Catania, del Presidente della Provincia e del Consiglio comunale, indette per i giorni 15 e 16 giugno 2008 - di due incontri nei locali del predetto plesso ospedaliero, finalizzati a consentire a tre candidati della medesima area politica di esporre ai partecipanti il proprio programma elettorale. N.G., nella veste di ufficiale rappresentante dell'ente, avrebbe messo a disposizione due sale e avrebbe poi convocato, in orario di lavoro, il personale dipendente della struttura sanitaria, affinche' prendesse parte all'incontro. Ai tre candidati - N.F. (figlio di N.G.), S.R. e C.G. - e' contestato il concorso nella condotta addebitata a N.G. In relazione a tali fatti si procede nel giudizio a quo per il delitto di cui all'art. 29, commi 5 e 6, della legge n. 81 del 1993: il comma 6 vieta a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attivita' di propaganda di qualsiasi genere, ancorche' inerente alla loro attivita' istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l'inizio della campagna elettorale e per tutta la durata della stessa;

il comma 5 stabilisce che chi contravviene al divieto di cui al citato comma 6 e' punito con la multa da lire un milione a lire cinquanta milioni. In punto di rilevanza, il rimettente afferma che i fatti per i quali si procede sono sussumibili, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, nella fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 29, comma 6, della legge n. 81 del 1993, e che un accoglimento della questione prospettata determinerebbe l'assoluzione degli imputati per non essere piu' il fatto previsto dalla legge come reato. Nel merito, il Tribunale ordinario di Catania rileva che l'art. 29, comma 5, della legge n. 81 del 1993, nella parte in cui si applica alla fattispecie di cui al comma 6 della medesima disposizione, contrasterebbe con l'art. 3 Cost. Ricorda il rimettente che disposizione analoga a quella censurata era contenuta nell'art. 5 della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica), il quale vietava a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attivita' di propaganda di qualsiasi genere, ancorche' inerente alla loro attivita' istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l'inizio della campagna elettorale e per la durata della stessa, ad eccezione delle attivita' di comunicazione istituzionale indispensabili per l'efficace assolvimento delle funzioni proprie delle amministrazioni pubbliche. Tale divieto non era pero' assistito da sanzione penale. Osserva ancora il giudice a quo che la successiva legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parita' di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), all'art. 13, ha abrogato l'art. 5 della legge n. 515 del 1993, introducendo una nuova disciplina all'art. 9 della stessa legge n. 28 del 2000. La disposizione da ultimo ricordata stabilisce, al comma 1, che, dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, e' fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attivita' di comunicazione, ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni. Secondo il rimettente, il citato art. 9...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT