n. 78 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 2015 -

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA (Sezione Sesta) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1830 del 2015, proposto da Tommaso Manna, rappresentato e dall'avv. Francesco Castiello e dall'avv. Raffello Capunzo ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo difensore in Napoli, alla via Tommaso Caravita n. 10;

Contro Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso i cui uffici - alla via A. Diaz n. 11 - e' ope legis domiciliato;

Per l'annullamento: del provvedimento del Ministero della Difesa - Direzione Generale PERSOMIL - Direttore III Divisione del 6 novembre 2014, prot. n. 451/1/2014, notificato in data 24.11.2014, con il quale e' stata disposta, nei confronti del ricorrente, la misura della perdita del grado per rimozione;

nonche' degli atti connessi, ivi incluso il decreto dirigenziale del direttore generale PERSOMIL 24.6.2014, richiamato nelle premesse del provvedimento suindicato. Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2015 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

  1. Con il gravame in epigrafe, proposto in riassunzione a seguito della declaratoria di incompetenza pronunciata dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione Prima bis, con decisione n. 3785 del 5.3.2015, il ricorrente, gia' Maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, impugna il provvedimento indicato in epigrafe a seguito e per effetto del quale e' stata applicata, nei suoi confronti, la misura della perdita del grado per rimozione. Tale sanzione ha fatto seguito alla definizione, con condanna, del procedimento penale promosso nei suoi confronti per i seguenti addebiti «... in qualita' di pubblico ufficiale, nello svolgimento delle funzioni, perche' in servizio di pattuglia nell'espletamento del controllo alla circolazione stradale, in violazione dell'art. 172 comma 1 e 10 del codice della strada - che prevede una contravvenzione per il conducente di autoveicolo che non indossa la cintura di sicurezza - intenzionalmente procurava un vantaggio patrimoniale a ..Omissis.., consistito nella mancata elevazione del verbale di contravvenzione al codice della strada atteso che la stessa non indossava la cintura di sicurezza. In Castello di Cisterna l'11.5.2008». All'esito del giudizio di prime cure il G.U.P. di Nola, in sede di rito abbreviato, con sentenza n. 7/09 del 15.1.2009, condannava, il ricorrente per i reati a lui ascritti (articoli 110, 323 c.p.) ritenendo al contempo configurabile l'ipotesi attenuata di cui all'art. 323-bis codice penale e, per l'effetto, applicava nei suoi confronti la pena finale di mesi 2 e gg 20 di reclusione, nonche', ai sensi degli articoli 28, 31 e 37 c.p., quella accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di mesi 2 e gg. 20, disponendo la sospensione della pena inflitta a termine e condizioni di legge. In sede di gravame, la Corte d'Appello di Napoli, con sentenza n. 1354 del 14.5.2012, riformando la decisione di primo grado, sostituiva la pena detentiva di mesi due e giorni 20 di reclusione con la corrispondente pena pecuniaria di €

3.040,00 di multa. Tanto per la «...modestia del fatto e l'incensuratezza dell'appellante». Il giudice d'appello, inoltre, revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena (..come da richiesta difensiva accompagnata dal parere favorevole del P.G.) e confermava, per il resto, l'impugnata sentenza. Tale statuizione giurisdizionale, una volta respinto dalla Suprema Corte di Cassazione il relativo ricorso, acquisiva, in data 27.5.2014, l'incontrovertibilita' propria del giudicato. Di qui, dunque, ed a decorrere proprio dal 27.5.2014, la misura amministrativa applicata con il provvedimento oggi impugnato, consistente nella perdita del grado ai sensi degli articoli 866, comma primo, e 867, comma terzo, del decreto legislativo n. 66/2010 (di seguito anche C.O.M.) nonche' nell'iscrizione d'ufficio del ricorrente nel ruolo dei militari di truppa dell'Esercito Italiano senza alcun grado, ai sensi dell'art. 861 comma quarto del richiamato testo normativo, e nella definitiva cessazione del rapporto ex art. 923 C.O.M. 1.1. Il suddetto provvedimento, assunto nella forma del decreto ministeriale, ed adottato dal direttore della III divisione in ragione di espressa delega, rilasciata in base al disposto degli articoli 16 e 17 del d.lgs. n. 165/2001, e' stato attratto nel fuoco della contestazione attorea in ragione dei seguenti motivi di gravame: a) incompetenza dell'organo che ha adottato l'atto non essendo, a dire del ricorrente, delegabili i poteri qui in rilievo in ragione del disposto di cui all'art. 867 comma 1 del c.o.m. che affida la relativa statuizione ad un «decreto ministeriale». La norma citata, in ragione del suo valore semantico, consentirebbe soltanto per gli appuntati ed i carabinieri che la rimozione dal grado venga assunta tramite «determinazione ministeriale». Secondo la prospettazione attorea, in considerazione del grado di Maresciallo rivestito dal ricorrente, l'adozione del provvedimento destitutorio, nelle forme del decreto ministeriale, avrebbe dovuto intendersi riservata al Direttore Generale PERSOMIL;

2) illegittimita' costituzionale dell'art. 866 comma primo del c.o.m. nella parte in cui prevede l'automatica applicazione della misura della perdita del grado per contrasto con gli articoli 3, 97, 52 e 117 della Costituzione. Segnatamente, verrebbero in rilievo i seguiti profili di contrasto: sub artt. 3 e 97 della Costituzione in quanto verrebbero trattate in modo uguale situazioni diseguali (chi ha subito condanna all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e chi ha subito quella temporanea) con conseguente violazione dei principi di imparzialita' ed equita' che costituiscono valori immanenti che trovano fondamento nell'art. 3 della cost. e nel principio di ragionevolezza;

sub art. 52 della Costituzione nella parte in cui prevede che l'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della repubblica, con necessita' di salvaguardare, dunque, anche in tale ambito, le garanzie difensive. L'ordinamento militare non sarebbe separato da quello militare con conseguente applicazione dei medesimi principi e delle medesime garanzie (C. Cost. n. 287 del 23.7.1987 - Corte costituzionale n. 126 del 29.4.1985 - Corte costituzionale 19.3.1993 n. 103) con la conseguenza che il cittadino - militare non puo' essere privato del diritto alla valutazione, caso per caso, della congruita' dei sacrifici a lui imposti in relazione alle finalita' di interesse pubblico da perseguire;

sub art. 117 per violazione del principio di proporzionalita' sanzionatoria, oggi consacrato anche nell'art. 5 della convenzione europea del 26.5.1997 ratificata con legge n. 300 del 29.9.2000. Peraltro, verrebbe compresso il principio di equita' ex art. 41 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea codificato dal trattato di Lisbona. Resiste in giudizio l'Amministrazione intimata che ha concluso per il rigetto del ricorso, anche in ragione del fatto che la Corte costituzionale, pronunciandosi su casi di analogo contenuto, avrebbe gia' respinto, anche di recente, analoghe questioni di costituzionalita'. Con ordinanza n. 965 del 14.5.2015 il Collegio, pronunciandosi sulla domanda cautelare spiegata dal ricorrente, ha fissato, ai sensi dell'art. 55 comma 10 del c.p.a., l'udienza di discussione per la trattazione di merito del ricorso in epigrafe. All'odierna udienza il ricorso veniva trattenuto in decisione. 2. Il giudizio va sospeso e gli atti rimessi alla Corte costituzionale per lo scrutinio di costituzionalita' degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923 comma 1 del decreto legislativo n. 66/2010. Ed, invero, il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in relazione articoli 3, 97, 24, 4 e 35 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale, anzitutto, dell'art. 866 comma primo del c.o.m. nella parte in cui prevede che «La perdita del grado, senza giudizio disciplinare, consegue a condanna definitiva, non condizionalmente sospesa, per reato militare o delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione o della interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle pene accessorie di cui all'art. 19, comma 1, numeri 2) e 6) del codice penale». Parimenti il suddetto scrutinio s'impone anche rispetto alle ulteriori disposizioni sopra richiamate siccome alla prima strettamente collegate nell'ambito di un'unica complessa fattispecie normativa e, dunque, concorrenti a delineare, secondo una vincolante sequenza scandita da rigidi automatismi, il risultato di recidere il rapporto del militare con l'Amministrazione di appartenenza senza la mediazione costitutiva di un procedimento amministrativo che consenta di apprezzare, nel rispetto delle garanzie difensive, la congruita' di siffatta misura punitiva in relazione alle finalita' di interesse pubblico da perseguire. Ed, invero, il sindacato in argomento s'impone rispetto anche alla previsione di cui al comma 3 dell'art. 867 del C.O.M. nella parte in cui prevede (in riferimento alle casistica cui va ricondotta la fattispecie qui in esame) che «Se la perdita del grado consegue a condanna penale, la stessa decorre dal passaggio in giudicato della sentenza». Allo stesso modo, va attratto nel fuoco del medesimo sindacato l'art. 923 del C.O.M., rubricato «Cause che determinano la cessazione del rapporto di impiego» ed inserito nella sezione V riferita alla «Cessazione dal servizio permanente», nella parte in cui, al comma I, annovera tra le cause suddette anche la perdita del grado (lettera i) ancorche' pronunciata in assenza di un...

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