n. 77 SENTENZA 7 marzo - 19 aprile 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, come modificato dall'art. 13 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, promossi dal Tribunale ordinario di Torino in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 30 gennaio 2016 e dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 28 febbraio 2017, iscritte rispettivamente al n. 132 del registro ordinanze 2016 e al n. 86 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2016 e n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visti gli atti di costituzione di Antonio Benedetto, della REAR societa' cooperativa a rl, di Elvira Rasulova, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL);

udito nella udienza pubblica del 7 marzo 2018 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Alberto Piccinini e Amos Andreoni per Elvira Rasulova, Vincenzo Martino e Amos Andreoni per Antonio Benedetto, Giorgio Frus per la REAR societa' cooperativa a rl e l'avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Il Tribunale ordinario di Torino ed il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, entrambi in funzione di giudice del lavoro, con le ordinanze rispettivamente del 30 gennaio 2016 e del 28 febbraio 2017, iscritte al n. 132 del 2016 e al n. 86 del 2017 del registro ordinanze, hanno sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall'art. 13, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162;

disposizione questa che prevede che il giudice, se vi e' soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novita' della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti, puo' compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero. Le ordinanze fanno riferimento a plurimi parametri in parte coincidenti. Il Tribunale ordinario di Torino richiama gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione;

il Tribunale ordinario di Reggio Emilia deduce gli artt. 3, primo e secondo comma, 24, 25, primo comma, 102, 104 e 111 Cost., nonche' gli artt. 21 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e gli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questi ultimi come parametri interposti per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost. Entrambi i giudici rimettenti incentrano i dubbi di legittimita' costituzionale della disposizione censurata sulla mancata previsione, in caso di soccombenza totale, del potere del giudice di compensare le spese di lite tra le parti anche in casi ulteriori rispetto a quelli ivi previsti. Il solo Tribunale di Reggio Emilia deduce altresi' la mancata considerazione del lavoratore ricorrente come parte "debole" del rapporto controverso al fine della regolamentazione delle spese processuali. 2.- In particolare, il Tribunale ordinario di Torino e' investito del ricorso proposto da un socio lavoratore di una societa' cooperativa, con mansioni di addetto al controllo ingressi e alla viabilita', avente ad oggetto, in via principale, la domanda di ricalcolo retributivo in base ad un contratto collettivo diverso da quello applicato dalla datrice di lavoro, con conseguente richiesta di condanna della societa' resistente al pagamento delle relative differenze retributive;

in via subordinata, il ricorso ha ad oggetto la domanda di condanna della societa' resistente al pagamento delle integrazioni contrattuali delle indennita' legali di infortunio e malattia computate con riferimento al contratto collettivo applicato dalla societa'. A fondamento della domanda il socio lavoratore ricorrente ha dedotto che la societa' aveva fatto applicazione di un contratto collettivo sottoscritto da organizzazioni datoriali e sindacali non sufficientemente rappresentative ed ha quindi chiesto l'applicazione, ai fini della verifica della congruita' retributiva, di altro diverso contratto collettivo, gia' utilizzato in vertenze similari. La societa' si e' costituita ed ha chiesto il rigetto delle domande indicando, sempre ai fini del giudizio di congruita' della retribuzione, quale termine di raffronto, un contratto collettivo ulteriormente diverso da quello invocato dal ricorrente. Quanto alla domanda subordinata, la resistente ha osservato che l'esclusione dell'integrazione contrattuale delle indennita' legali di malattia e di infortunio aveva fatto seguito ad una delibera assembleare del 20 giugno 2011, approvata per garantire la sopravvivenza della societa' messa in stato di crisi, in conformita' all'art. 6, comma 1, lettere d) ed e), della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore). Cio' premesso, il rimettente, dopo aver disposto consulenza contabile, ha rigettato entrambe le domande con sentenza qualificata "non definitiva" e, con separata ordinanza, ha disposto la prosecuzione del giudizio per la definizione del regolamento delle spese di lite;

all'esito di discussione orale ha sollevato, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo novellato dall'art. 13, comma 1, del citato d.l. n. 132 del 2014, quale convertito in legge. Ad avviso del rimettente si configurerebbe la violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, in quanto sussisterebbe una sproporzione tra il fine perseguito - quello di «disincentivare l'abuso del processo» - e lo strumento normativo utilizzato, consistito nella «limitazione estrema ed oltre ogni misura delle ipotesi di compensazione» delle spese di lite. Mentre il testo, come modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di processo civile), era gia' «del tutto sufficiente a scongiurare eventuali abusi, da parte del giudice, nell'uso dello strumento della compensazione contenendo essa gia' una regolamentazione del tutto rigorosa ed appropriata». Il medesimo parametro sarebbe poi violato - secondo il giudice rimettente - sotto il profilo del principio di eguaglianza, avuto riguardo alle situazioni contemplate dalla norma raffrontate, quali tertia comparationis, con quelle escluse, di pari gravita' ed eccezionalita', individuate dalla giurisprudenza di legittimita'. Il tribunale rimettente deduce altresi' la violazione dell'art. 24, primo comma, Cost., in quanto la riduzione delle ipotesi di compensazione soltanto a due (oltre a quella tradizionale della soccombenza reciproca) «tende [...] a scoraggiare in modo indebito l'esercizio dei diritti in sede giudiziaria, divenendo cosi' uno strumento deflattivo (e punitivo) incongruo» nelle ipotesi in cui la condotta della parte, poi risultata soccombente, non integra casi di abuso del processo, ma sia improntata a correttezza, prudenza e buona fede. Parimenti sarebbe violato l'art. 111, primo comma, Cost., sotto il profilo del principio del giusto processo, in quanto la disposizione censurata, consentendo la compensazione nei soli casi indicati, «limita il potere - dovere del giudice di rendere giustizia, anche in ordine al regolamento delle spese di lite, in modo appropriato al caso concreto». 3.- Nel giudizio incidentale di legittimita' costituzionale promosso dal Tribunale ordinario di Torino si sono costituite le parti del giudizio a quo, che hanno depositato memorie. Il lavoratore socio ha aderito alle censure mosse dall'ordinanza di rimessione, ribadendo cio' con successiva memoria e concludendo per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. La societa' resistente ha rilevato in via preliminare che la regolamentazione delle spese di lite non e' suscettibile di autonomo distinto giudizio, richiamando a tal proposito l'ordinanza n. 314 del 2008 di questa Corte. Nel merito sottolinea come la disposizione censurata non costituisca uno «strumento punitivo incongruo», essendo ragionevole porre, di regola, i costi del processo a carico di colui che lo ha attivato con esito negativo, e limitare la possibile compensazione delle spese di lite ad ipotesi tassativamente previste, stante il carattere eccezionale delle medesime. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilita' o l'infondatezza della sollevata questione di legittimita' costituzionale. In particolare la difesa dell'interveniente afferma la ragionevolezza della individuazione da parte del legislatore, nell'esercizio dell'ampia discrezionalita' di cui egli gode in materia processuale, di ipotesi specifiche e tassative che giustifichino la compensazione delle spese di lite. Si tratterebbe di una scelta che non entra in collisione con i parametri costituzionali che il giudice rimettente assume essere violati e che integrerebbe il giusto mezzo per conseguire la finalita' deflativa al fine di «disincentivare» l'abuso del processo. E'...

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