n. 70 SENTENZA 10 marzo - 30 aprile 2015 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, promossi dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due ordinanze del 13 maggio 2014, e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 25 luglio 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 35, 158, 159 e 192 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nn. 14, 41 e 46, prima serie speciale, dell' anno 2014. Visti gli atti di costituzione di C.G. e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonche' gli atti di intervento di T.G. e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Riccardo Troiano per C.G., Luigi Caliulo e Filippo Mangiapane per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Il Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013, (r.o. n. 35 del 2014), la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due ordinanze del 13 maggio 2014 (r.o. n. 158 e r.o. n. 159 del 2014), e la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 25 luglio 2014, (r.o. n. 192 del 2014) hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24, del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall' art. 1, comma 1 della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento», in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36, primo comma, 38, secondo comma, 53 e 117, primo comma, della Costituzione. Il Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, premette di essere stato adito per la condanna dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere al ricorrente i ratei di pensione maturati e non percepiti nel biennio 2012-2013, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria fino all'effettivo soddisfo, previa dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'azzeramento della perequazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo INPS introdotto dalla norma censurata. Il giudice rimettente rileva che la discrezionalita' di cui gode il legislatore nella scelta del meccanismo perequativo diretto all'adeguamento delle pensioni, fondata sul disposto degli artt. 36 e 38 Cost., ha trovato il proprio meccanismo attuativo nel sistema di perequazione automatica dei trattamenti pensionistici, introdotto dall'art. 19 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale). Aggiunge che il blocco introdotto dalla normativa censurata reitera, rendendola piu' gravosa, la misura di interruzione del sistema perequativo gia' a suo tempo sancita dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitivita' per favorire l'equita' e la crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), che era limitata ai soli trattamenti pensionistici eccedenti otto volte il trattamento minimo INPS, nonostante il monito rivolto al legislatore dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 316 del 2010, teso a rimuovere il rischio della frequente reiterazione di misure volte a paralizzare il meccanismo perequativo. Con la misura censurata, secondo il rimettente, si sarebbe violato l'invito della Corte, mediante azzeramento della perequazione per i trattamenti pensionistici di piu' basso importo, per due anni consecutivi e senza alcuna successiva possibilita' di recupero. Il giudice a quo richiama la giurisprudenza costituzionale (in particolare la sentenza n. 223 del 2012) secondo cui la gravita' della situazione economica, che lo Stato deve affrontare, puo' giustificare anche il ricorso a strumenti eccezionali, con la finalita' di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari con la garanzia dei servizi e dei diritti dei cittadini, nel rispetto del principio fondamentale di eguaglianza. Deduce, quindi, la violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost., poiche' l'assenza di rivalutazione impedirebbe la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l'adeguatezza e dell'art. 36, primo comma, Cost., in quanto il blocco della perequazione lederebbe il principio di proporzionalita' tra la pensione, che costituisce il prolungamento della retribuzione in costanza di lavoro, e il trattamento retributivo percepito durante l'attivita' lavorativa. Sostiene, altresi', la lesione del combinato disposto degli artt. 36, 38 e 3 Cost., poiche' la mancata rivalutazione, violando il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altererebbe il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati. Deduce, inoltre, la violazione del principio di universalita' dell'imposizione di cui all'art. 53 Cost. e di quello di non discriminazione ai fini dell'imposizione e di parita' di prelievo a parita' di presupposto di imposta di cui al combinato disposto degli artt. 3, 23 e 53 Cost., poiche', indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura adottata si configurerebbe quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria, in quanto doverosa, non connessa all'esistenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e collegata esclusivamente alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. 2.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia - Romagna, che ha sollevato con due distinte ordinanze la questione di legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, riferisce che il ricorrente nel giudizio principale lamentava la mancata rivalutazione automatica del proprio trattamento pensionistico in applicazione della norma oggetto di censura, per effetto della esclusione del meccanismo di perequazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS. Evidenzia, alla luce della giurisprudenza costituzionale, l'illegittimita' delle frequenti reiterazioni di misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo, sottolineando, altresi', il carattere peggiorativo della norma censurata rispetto all'art.1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, cosi' determinando il blocco dell'adeguamento dei trattamenti superiori a tre volte, anziche' a otto volte, rispetto al trattamento minimo INPS, avuto anche riguardo alla vicinanza temporale rispetto all'ultimo azzeramento attuato, nonche' alla mancata previsione di un meccanismo di recupero. In particolare, secondo il giudice a quo, il vizio della norma censurata emerge ove si consideri che la natura di retribuzione differita delle pensioni ordinarie e' stata ormai definitivamente riconosciuta dalla Corte costituzionale (viene richiamata la sentenza n. 116 del 2013). Il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta, con piu' evidenza, discriminatorio, poiche' grava su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu' possibile ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro, con conseguente lesione degli artt. 3 e 53 Cost. Ad avviso della Corte rimettente, il mancato adeguamento delle retribuzioni equivale a una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti, ancorche' il blocco sia formalmente temporaneo, non essendo previsto alcun meccanismo di recupero, con conseguente violazione degli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost. Tale blocco incide sui pensionati, fascia per antonomasia debole per eta' ed impossibilita' di adeguamento del reddito, come evidenziato dalla Corte costituzionale, secondo la quale i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell'osservanza dell'art. 53 Cost., che non consente trattamenti in peius di determinate categorie di redditi da lavoro (viene richiamata ancora la sentenza n. 116 del 2013). La Corte dei conti aggiunge che l'introduzione di un'imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, viola il principio della parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante e che, quindi, il blocco della perequazione si traduce in una lesione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto la norma censurata limita i destinatari della stessa soltanto ad una "platea di soggetti passivi", cioe' ai percettori del trattamento pensionistico, in violazione del principio della universalita' della imposizione. Essa sottolinea, inoltre, come l'intervento legislativo evidenzi il carattere sempre piu' strutturale del meccanismo di azzeramento della rivalutazione e non quello di misura eccezionale, non reiterabile, senza osservare il monito espresso dalla...

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