n. 59 SENTENZA 10 gennaio - 23 marzo 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 16 settembre 2015, relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Roberto Calderoli nei confronti dell'onorevole Cecile Kyenge Kashetu, promosso dal Tribunale ordinario di Bergamo, con ordinanza-ricorso notificata il 27 giugno 2016, depositata in cancelleria il 28 giugno 2016, novamente notificata e depositata, a seguito dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 101 del 2017, rispettivamente il 25 maggio e il 12 giugno 2017, e iscritta al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2016, fase di merito. Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell'udienza pubblica del 9 gennaio 2018 il Giudice relatore Franco Modugno;

udito l'avvocato Francesco Saverio Bertolini per il Senato della Repubblica. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza-ricorso depositata il 29 gennaio 2016 (d'ora in avanti: ricorso), il Tribunale ordinario di Bergamo, sezione del dibattimento penale, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 16 settembre 2015 (Atti Senato, XVII legislatura, Doc. IV-ter, n. 4), con la quale l'Assemblea ha affermato che «il fatto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge n. 122 del 1993, convertito dalla legge n. 205 del 1993», per il quale pende giudizio penale davanti al Tribunale ricorrente, relativo alle dichiarazioni rese dal senatore Roberto Calderoli nei confronti dell'allora Ministro per l'integrazione, onorevole Cecile Kyenge Kashetu, concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, come tali insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Il ricorrente premette di essere investito del procedimento penale nei confronti del senatore Roberto Calderoli, imputato del reato di diffamazione per aver offeso l'onore e il decoro dell'onorevole Kyenge con frasi pronunciate nel corso di un comizio tenuto «alla presenza di una vasta platea di circa 1.500 spettatori», nell'ambito della «festa indetta dalla Lega Nord» a Treviglio il 13 luglio 2013, e poi ampiamente diffuse da organi di stampa a tiratura nazionale. Al senatore Calderoli si addebita, in particolare, di aver affermato che l'onorevole Kyenge «sarebbe un ottimo Ministro, [...] ma dovrebbe esserlo in Congo non in Italia, perche' se c'e' [...] bisogno di un Ministro per le pari opportunita' per l'integrazione, c'e' bisogno la', perche' [...] se vedono passare un bianco la' gli sparano», attribuendo, altresi', alla stessa onorevole Kyenge «sembianze di orango», tali da lasciare «sconvolto» il dichiarante nel vederla comparire sul sito internet del Governo italiano. Con le aggravanti di aver commesso il fatto con un mezzo particolare di pubblicita', quale il comizio (art. 595, terzo comma, del codice penale), e per finalita' di discriminazione razziale (art. 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, recante «Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa», convertito, con modificazioni, in legge 25 giugno 1993, n. 205). Il Tribunale ordinario di Bergamo riferisce che, non ravvisata «l'evidenza del collegamento funzionale tra le dichiarazioni dell'imputato e la sua attivita' politica», aveva disposto «l'immediata trasmissione degli atti al Senato della Repubblica» ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato). Il Senato della Repubblica - prosegue ancora il ricorrente - a seguito di votazioni per parti separate, nella seduta del 16 settembre 2015, «esprimeva voto favorevole alla relazione della Giunta [delle elezioni e delle immunita' parlamentari] sull'insindacabilita' del fatto ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge n. 122 del 1993, e voto contrario sull'insindacabilita' del fatto» ai sensi dell'art. 595, terzo comma, cod. pen. 1.1.- Tanto premesso, il Tribunale ricorrente solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato «sotto un duplice profilo». Sotto un primo aspetto, il ricorrente afferma che compito delle Camere, ai sensi degli artt. 68, primo comma, Cost. e 4 della legge n. 140 del 2003, e' esclusivamente quello di valutare la sussistenza o non del nesso tra opinioni espresse dal parlamentare ed esercizio delle relative funzioni, mentre sarebbe riservata alla giurisdizione la «qualificazione giuridica del fatto». Il Senato della Repubblica, ritenendo la sindacabilita' della diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, terzo comma, cod. pen., e l'insindacabilita' della circostanza aggravante di cui all'art. 3 del d.l. n. 122 del 1993, avrebbe invece invaso un «settore riservato alla giurisdizione»: avrebbe infatti «apprezzato non un fatto, naturalisticamente unitario, ma la sua qualificazione giuridica», con la conseguenza che il Tribunale si troverebbe a giudicare «su un fatto diversamente qualificato rispetto a quello contestato dal Pubblico Ministero». Sotto un secondo profilo, il giudice bergamasco assume che le dichiarazioni oggetto del procedimento penale non sarebbero coperte dalla guarentigia di cui all'art. 68, primo comma, Cost. - come, invece, ritenuto dal Senato della Repubblica - non avendo esse un contenuto sostanzialmente identico a quello delle opinioni espresse nei due atti di sindacato ispettivo richiamati nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari (atto n. 4-00166 del 14 maggio 2013 e atto n. 4-00324 del 6 giugno 2013): atti nei quali erano state mosse critiche alle dichiarazioni del Ministro Kyenge, secondo le quali la «clandestinita'» costituirebbe un «non reato», rilevando come esse rischiassero di tradursi in una «istigazione a delinquere» nei confronti degli immigrati, «in nome della rivendicazione di un diritto inesistente». Per un verso, infatti, l'assimilazione di una signora di colore a un orango giustificherebbe, comunque sia, «in astratto la contestazione della natura razzista dell'insulto», escludendone ogni possibile collegamento con l'attivita' parlamentare. Per un altro, non sarebbe ravvisabile alcun collegamento tra simili espressioni e «il contenuto delle problematiche politiche in tema di immigrazione, fenomeno che tra l'altro non riguarda solamente soggetti di colore». 1.2.- Ad avviso del ricorrente, infine, sussisterebbero sia i presupposti soggettivi del conflitto - essendo il Tribunale «organo competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sull'asserita illiceita' delle condotte oggetto di contestazione in sede penale» - sia i presupposti oggettivi, discutendosi, da un lato, della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT