n. 51 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 agosto 2016 -

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (C.P. 80224030587), presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 per il ricevimento degli atti, fax 06.96514000 e pec ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, con sede in Trieste Piazza dell'Unita' d'Italia n. 1, per la dichiarazione della illegittimita' costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 28 giugno 2016 n. 10, pubblicata nel B.U.R. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 29 giugno 2016, recante: «Modifiche a disposizioni concernenti gli enti locali contenute nelle leggi regionali numeri 1/2006, 26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2007, 2/2016 e 27/2012.», limitatamente agli articoli 7, 12, comma 1, lettera b) e 51 comma 2. La legge del Friuli-Venezia Giulia n. 10/2016, con riferimento alle disposizioni di cui agli articoli 7, 12, comma 1, lettera b) e 51 comma 2, presenta profili di illegittimita' costituzionale e viene quindi impugnata per i seguenti Motivi 1) Articoli 7 e 12, comma 1, lettera b) 1 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 10/2016, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera e) e lettera s) della Costituzione nonche' dell'art. 5, punto 7) e punto 14) dello Statuto regionale. 1.1. Con la legge n. 10/2016, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha inteso apportare modifiche e integrazioni alla normativa regionale concernente gli enti locali. In particolare, l'art. 7 della legge regionale n. 10/2016 sostituisce l'art. 27 della legge regionale n. 26/2014 (Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative) riguardante le «Ulteriori funzioni comunali esercitate in forma associata». A seguito di tale modifica, la nuova formulazione del citato art. 27 dispone, al comma 1, che «Nell'ambito di ciascuna Unione, i Comuni esercitano in forma associata le funzioni comunali nelle materie e attivita' e con le decorrenze di seguito indicate: a) a decorrere dal 1° luglio 2016, la programmazione e gestione dei fabbisogni di beni e servizi in relazione all'attivita' della Centrale unica di committenza regionale;

b) a decorrere dal 1° gennaio 2017, i servizi finanziari e contabili e il controllo di gestione, nonche' almeno due tra le seguenti: 1) opere pubbliche e procedure espropriative;

2) pianificazione territoriale comunale ed edilizia privata;

3) procedure autorizzatorie in materia di energia;

4) organizzazione dei servizi pubblici di interesse economico generale;

5) edilizia scolastica e servizi scolastici;

c) a decorrere dal 10 gennaio 2018, le restanti materie e attivita' di cui alla lettera b)». Al successivo, comma 3, il citato art. 7 prevede, altresi', che «(...) le funzioni nelle materie di cui alla lettera b) sono esercitate in forma associata dai Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, ridotti a 5.000 se appartenenti o appartenuti a comunita' montane, mediante convenzione, in modo da raggiungere la medesima soglia demografica complessiva, e, in alternativa, avvalendosi degli uffici dell'Unione». L'art. 12, comma 1, lettera b) della legge regionale in esame aggiunge poi il comma 1-bis all'art. 40 della legge regionale n. 26/2014 prevedendo che «Entro il 31 dicembre 2016 i Comuni facenti parte di convenzioni attuative aventi per oggetto funzioni e servizi previsti dagli articoli 26 e 27 possono mantenerle operative fino al conferimento all'Unione e comunque non oltre il 31 dicembre 2017 adeguandone e integrandone il contenuto. La competenza a deliberare in ordine all'aggiornamento delle convenzioni attuative e' attribuita alle Giunte comunali». 1.2. Nel modificare le norme regionali sopra indicate, gli articoli 7 e 12, comma 1, lettera b) della legge n. 10/2016 disciplinano l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse economico generale - senza escludere il servizio idrico integrato - tra le funzioni comunali da esercitare in forma associata. Le norme in esame nella parte in cui affidano l'organizzazione del servizio idrico integrato ai comuni - che ne devono garantire l'esercizio in forma associata - esorbitano dalle competenze legislative attribuite alla Regione dallo Statuto speciale, approvato con legge costituzionale n. 1 del 1963, e dalle norme di attuazione del medesimo. La Regione Friuli-Venezia Giulia, infatti, non dispone di competenza legislativa esclusiva in materia di servizio idrico integrato. Ne' a tale servizio possono riferirsi le materie indicate all'art. 4 dello Statuto;

in particolare le competenze indicate al punto 1-bis) (ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni) e al punto 9) (viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse locale e regionale) del predetto articolo. Le citate norme statutarie, infatti, sono poste a presidio di interessi differenti riconducibili al potere di diretta organizzazione della Regione nei confronti degli enti locali e di gestione degli acquedotti di interesse locale e regionale e, dunque, non intersecano affatto la materia del servizio idrico integrato. Le disposizioni regionali censurate, d'altra parte, travalicano i limiti della competenza legislativa concorrente garantita alla Regione. L'art. 5 dello Statuto, in particolare, riconosce alla Regione Friuli-Venezia Giulia («In armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonche' nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni») la potesta' legislativa, al punto 7), in tema disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione di tali servizi e, al punto 14), in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni nonche' di opere idrauliche di 4A e 5A categoria. Vi e', pero', che le norme censurate dettano disposizioni per la gestione del servizio idrico integrato che oltrepassano i confini delle suddette competenze legislative statutarie segnati dai principi dettati dal Legislatore statale specie con le norme di seguito richiamate. Codesta ecc.ma Corte, infatti, ha piu' volte affermato (sentenza n. 234/2010) che «in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio, la disciplina statale costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle regioni, ordinarie o a statuto speciale, e dalle Province autonome» (sentenze n. 272 del 2009 e n. 378 del 2007), in quanto «lo Stato stabilisce "standard minimi di tutela"», intendendosi tale espressione nel senso che lo Stato assicura una tutela «adeguata e non riducibile» dell'ambiente (sentenza n. 61 del 2009) valevole anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (sentenza n. 101 del 2010). 1.3. Le norme regionali censurate, peraltro, appaiono inconciliabili con il vigente quadro normativo nazionale relativo all'organizzazione territoriale del predetto servizio idrico integrato (SII). L'art. 7 della legge regionale n. 10/2016, infatti, nel sostituire il previgente testo dell'art. 27, della legge regionale n. 26/2014, al comma l, lettera d), affida ai comuni l'esercizio in forma associata delle funzioni comunali concernenti la «organizzazione dei servizi pubblici di interesse economico generale». La norma sospettata evoca dunque la nozione di «servizio di interesse economico generale» (SIEG) rinvenibile in ambito europeo negli articoli 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. E' opportuno, tuttavia, precisare che il riferimento alle imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale, contenuto nell'art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, non include l'intera gamma dei servizi pubblici conosciuti dagli ordinamenti nazionali, bensi' esclusivamente quei servizi, gestiti in forma imprenditoriale, che assumono la denominazione di servizi economici, industriali o commerciali. L'ordinamento italiano, dal canto suo, non esplicita direttamente la nozione di «servizio pubblico di rilevanza economica». La rilevanza economica del servizio va comunque intesa come possibilita' (valutabile anche in concreto e non solo in astratto) di produrre ricavi dalla gestione del servizio e come contendibilita' sul mercato del servizio. Per individuare la rilevanza economica del servizio la giurisprudenza, adotta un criterio relativistico, che tiene conto delle peculiarita' del caso concreto, quali l'effettiva struttura del servizio, le concrete modalita' dei suo espletamento, i suoi specifici connotati economico organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio (Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488). La distinzione tra i servizi pubblici locali di rilevanza economica rispetto a quelli che di tale rilevanza sono privi assume rilievo sul piano: a) della competenza legislativa (lo Stato ha competenza legislativa in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica);

b) dei modelli organizzativi ammissibili;

c) della relazione tra mercato e principi di socialita'. Pur in assenza di una diretta esplicitazione della nozione di «servizio pubblico di rilevanza economica», non manca nel nostro ordinamento la possibilita' di rivenire alcuni indici di riconoscimento di tali servizi (come quelli indicati nella giurisprudenza del Consiglio di Stato sopra citata) che valorizzano i loro caratteri peculiari. D'altra parte, per una piu' compiuta ricostruzione della nozione di «servizio pubblico di rilevanza economica», appare utile il richiamo alla normativa comunitaria. In ambito europeo, le interpretazioni elaborate dalla giurisprudenza comunitaria in merito alla nozione di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), di cui ai citati...

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