n. 43 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 febbraio 2018 -

LA I CORTE D'ASSISE DI MILANO composta dagli illustrissimi signori: dott. Ilio Mannucci Pacini, Presidente;

dott.ssa Ilaria Simi, giudice;

sig.ra Lucia Maltese, giud. pop.;

sig.ra Anna Carriero, giud. pop.;

sig.ra Daniela Pallari, giud. pop.;

sig. Mauro Vaghi, giud. pop.;

sig. Viviano Maffezzoli, giud. pop.;

sig.ra Cecilia Straziota, giud. pop.;

ha pronunciato la seguente, ordinanza nella causa penale a carico di C. M., n. a ... il ... el. dom.to c/o avv. Massimo Rossi, piazza Sant'Ambrogio, 16 - Milano, libero - presente. Difensori: avv. Massimo Rossi, piazza Sant'Ambrogio, 16 - Milano, avv. Francesco Di Paola, via Mezzacapo, 221/c Sala Consilina;

Imputato del reato p. e p. dall'art. 580 c.p., per aver rafforzato il proposito suicidiario di A. F. (detto F.), affetto da tetraplegia e cecita' a seguito di incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, prospettandogli la possibilita' di ottenere assistenza al suicidio presso la sede dell'associazione Dignitas, a Pfaffikon in Svizzera, e attivandosi per mettere in contatto i famigliari di A. con la Dignitas fornendo loro materiale informativo;

inoltre per aver agevolato il suicidio dell'A., trasportandolo in auto presso la Dignitas in data 25 febbraio 2017 dove il suicidio si verificava il 27 febbraio 2017;

Conclusioni: dei Pubblici Ministeri dott.ssa Tiziana Siciliano e Sara Arduini: assoluzione perche' il fatto non sussiste;

in sub. sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 580 c.p., per violazione degli artt. 2, 3, 13, 32 c. 2 e 117 Cost. quest'ultimo in rel. agli artt. 2, 3 e 8 CEDU. In caso di condanna chiedono la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica perche' proceda nei confronti di altri soggetti che avrebbero agevolato il suicidio di F. A.;

dei difensori avv.ti Massimo Rossi e Francesco Di Paola: assoluzione perche' il fatto non sussiste;

in sub. sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 580 c.p.;

in sub. concedere le attenuanti di cui agli artt. 62 n. 1 e 62 bis c.p. con condanna a una pena adeguata al caso concreto. La Corte d'assise di Milano, all'esito dell'odierna camera di consiglio, ha pronunciato la seguente ordinanza. La Corte ritiene di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidiario, ritenendo tale incriminazione in contrasto e violazione dei principi sanciti agli artt. 3, 13, II comma, 25, II comma, 27, III comma della Costituzione, che individuano la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell'offensivita' della condotta accertata. Infatti, deve ritenersi che in forza dei principi costituzionali dettati agli artt. 2, 13, I comma della Costituzione ed all'art. 117 della Costituzione con riferimento agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, all'individuo sia riconosciuta la liberta' di decidere quando e come morire e che di conseguenza solo le azioni che pregiudichino la liberta' della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame. Rilevanza della questione. La questione e' rilevante per le seguenti ragioni. A M. C., a seguito dell'ordinanza d'imputazione coatta pronunciata dal G.I.P. di Milano in data 10 luglio 2017, e' stato contestato dalla Procura della Repubblica di Milano il reato di cui all'art. 580 c.p. per aver «rafforzato» il proposito suicidiario di F. A. (detto F.), realizzato attraverso diverse condotte: prospettandogli la possibilita' di ottenere assistenza al suicidio presso la sede dell'associazione Dignitas, sita nella cittadina di Pfaffikon, in Svizzera;

attivandosi per mettere in contatto i familiari di A. con la suindicata associazione e fornendo loro materiale informativo. Inoltre, gli e' stato contestato di avere «agevolato» il suicidio di A., avendolo il 25 febbraio 2017 trasportato in auto da Milano (luogo ove A. viveva) a Pfaffikon, presso la sede clinica della Dignitas, dove il suicidio si e' verificato il 27 febbraio 2017. Dall'istruttoria svolta dinanzi a questa Corte e' emerso che M. C. ha certamente realizzato la condotta di «agevolazione» contestata, avendo aiutato F. A. a recarsi in Svizzera presso la Dignitas, ma e' stato escluso che l'imputato abbia compiuto alcuna delle condotte a lui ascritte di rafforzamento della decisione suicidiaria. V. I., fidanzata di A., C. C., madre dello stesso, e C. L. V., suo medico curante, hanno testimoniato che la decisione di F. di rivolgersi alla citata associazione svizzera era intervenuta in modo autonomo ed in epoca antecedente ai suoi contatti con C. Piu' in particolare i testimoni hanno riferito che F. A., a seguito di un incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, era rimasto tetraplegico e affetto da cecita' bilaterale corticale (che significa permanente). Non era autonomo nella respirazione (necessitando, seppur non continuativamente, dell'ausilio di un respiratore e di periodiche aspirazioni del muco), nell'alimentazione (era gravemente disfagico con deficit sia della fase orale sia di quella degluttitoria, e necessitava di nutrizione intraparietale) e nell'evacuazione (1) . Egli soffriva di ricorrenti contrazioni e spasmi (che, come illustrato dal consulente del P.M., l'anestesista-rianimatore dott.ssa M. C. M., erano incoercibili e gli provocavano sofferenze che non potevano essere completamente lenite farmacologicamente, se non mediante sedazione profonda), ma aveva preservato le sue funzioni intellettive. Dopo lunghi e ripetuti ricoveri, cure e infruttuosi tentativi riabilitativi (le sedute di fisioterapia dopo i primi tempi erano proseguite solo a scopo palliativo), nel dicembre 2015 A. era stato accompagnato dalla fidanzata in India per tentare di migliorare le sue condizioni con il trapianto di cellule staminali. Tale terapia gli aveva procurato un beneficio molto limitato e solo temporaneo. L'insuccesso di questo tentativo e l'acquisita consapevolezza dell'inesistenza di cure per la sua malattia avevano determinato A. a decidere di porre termine alla sua vita. Nel marzo/aprile 2016 A. aveva comunicato ai suoi cari (che continuavano ad assisterlo a casa, prestandogli ogni necessaria assistenza materiale, psicologica, relazionale) di aver deciso di non continuare la propria vita nelle condizioni di sofferenza continua sopra descritte, e aveva loro espresso la ferma volonta' di morire. V. I. e la madre avevano tentato di dissuaderlo da tale decisione, chiedendogli di rimandare l'attivazione delle pratiche per realizzarla. F., pero', per dimostrare la sua determinazione, aveva rifiutato per alcuni giorni di essere alimentato e di parlare (i testi hanno tutti riferito dello «sciopero» dell'alimentazione e della parola adottato da F. per indurre i propri congiunti ad assecondare la propria irremovibile decisione). Proprio a seguito della decisione assunta, A. aveva anche chiesto a J. E. M., la persona che affiancava la madre e la fidanzata nel provvedere alle sue cure, di «lasciarlo morire», in particolare di non provvedere ad aiutarlo quando aveva le sue ricorrenti crisi respiratorie (crisi particolarmente violente che vennero documentate nel filmato in cui Antoniani manifesto' pubblicamente la sua volonta' di morire) o comunque di commettere «qualche sbaglio» nell'assistenza medica. E. M. ha riferito in dibattimento di avere rifiutato di aderire a tale richiesta. Agli inizi di maggio 2016, reperite con l'ausilio di V. I. le informazioni sulle strutture svizzere ove era praticata l'assistenza al suicidio, sempre per il tramite della fidanzata, F. contatto' in Svizzera alcune di quelle organizzazioni, dapprima la Exit e poi la Dignitas. In quel periodo contatto' anche l'Associazione Luca Coscioni, che sapeva svolgere attivita' informativa sulle decisioni del fine vita. Dopo aver pagato la quota associativa alla Dignitas, A. entro' in contatto diretto con M. C. Nello specifico di tale rapporto, dai documenti acquisiti al fascicolo dibattimentale risulta che il 31 maggio 2016 F. si fece rilasciare dal medico curante un certificato che descriveva le sue condizioni di salute e attestava la sua piena capacita' di intendere e volere. In quella stessa data V. I. invio' una mail a M. C. nella quale, dopo essersi presentata come fidanzata di E. A., ne illustrava le condizioni di salute e riferiva che lo stesso aveva chiesto a lei e a sua madre di occuparsi delle pratiche per il suicidio assistito. Affermava quindi che pur avendo gia' preso contatti con alcune strutture, voleva ora potersi confrontare per telefono con lui per «avere la possibilita' di esporle alcune domande per serenita' di F. e di sua madre». Alcuni giorni dopo C. entro' in contatto con F. A. e nel corso di alcuni successivi incontri gli espose le possibilita' di essere sottoposto in Italia alla sedazione profonda, con interruzione della respirazione e dell'alimentazione artificiale, lasciando che la malattia facesse il suo corso. Di fronte alla ferma richiesta di A. di recarsi in Svizzera per porre fine alla sua vita presso una delle strutture che praticavano l'assistenza al suicidio, l'imputato accetto' di accompagnarlo. F. , tramite la fidanzata, stava intanto continuando a seguire le pratiche per ottenere il «benestare» al suicidio assistito da parte della Dignitas (definito «semaforo verde»), presupposto perche' la struttura fissasse la data nella quale quella decisione sarebbe stata attuata, e in quei mesi si lamento' frequentemente del lungo tempo necessario ad ottenerli. La Dignitas, infine, a seguito della documentazione trasmessa dai familiari di A., rilascio' il benestare e fisso' per il 27 febbraio 2017 il giorno in cui avrebbe fornito a F. il farmaco per porre fine alla sua vita. In quei mesi, successivi alla fissazione della data, A. ribadi' sempre la sua scelta, che comunico' dapprima agli amici e poi pubblicamente (si veda il filmato gia' menzionato e l'appello al Presidente...

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