n. 39 SENTENZA 26 gennaio - 25 febbraio 2016 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, 11, 13 e 17, comma 1, della legge della Regione Marche 17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche alla legge regionale 10 novembre 2009, n. 27 "Testo unico in materia di commercio", alla legge regionale 11 luglio 2006, n. 9 "Testo unico delle norme regionali in materia di turismo", e alla legge regionale 29 aprile 2008, n. 8 "Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale"), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23-27 gennaio 2015, depositato in cancelleria il 2 febbraio 2015 ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2015. Visto l'atto di costituzione della Regione Marche;

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l'avvocato dello Stato Giovanni Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche. Ritenuto in fatto 1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 23-27 gennaio 2015 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 2 febbraio (registro ricorsi n. 19 del 2015), ha promosso, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della legge della Regione Marche 17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche alla legge regionale 10 novembre 2009, n. 27 "Testo unico in materia di commercio", alla legge regionale 11 luglio 2006, n. 9 "Testo unico delle norme regionali in materia di turismo", e alla legge regionale 29 aprile 2008, n. 8 "Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale"), per violazione dell'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost., e degli artt. 11 e 17, comma 1, della medesima legge regionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 1.1.- Con la prima censura, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che gli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della legge reg. Marche n. 29 del 2014, modificando, rispettivamente, gli artt. 10 e 11 della legge regionale n. 27 del 2009 e inserendo gli artt. 16-bis e 16-ter nella medesima legge regionale, introducono una tipologia di struttura commerciale ("parco commerciale") non prevista a livello statale e ne dettano integralmente la disciplina. In particolare, la definizione di parco commerciale contenuta nella norma regionale includerebbe le medie e le grandi strutture di vendita e consentirebbe «che gli esercizi commerciali in esso presenti possano essere di qualsiasi tipologia, compresi, quindi, anche gli esercizi di vicinato». Inoltre, richiedendo, tra le altre previsioni, che per l'apertura, il trasferimento di sede, l'ampliamento e la modifica del settore merceologico sia necessaria «la preventiva autorizzazione rilasciata ai sensi delle previsioni regionali dedicate alle medie e alle grandi strutture», introduce «limitazioni vietate ai sensi di tutta la recente normativa comunitaria e statale [...], frapponendo un effettivo ostacolo alla libera concorrenza nella Regione Marche». Il nuovo quadro normativo regionale si porrebbe, pertanto, in contrasto, secondo il ricorrente, con la direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), con l'art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, di cui e' attuazione, e sarebbe, per queste ragioni, in violazione dell'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost. A conferma della illegittimita' costituzionale delle disposizioni regionali censurate, il ricorrente, richiamando la sentenza n. 165 del 2014, afferma «che non possono essere inserite procedure che aggravano l'avvio di un'attivita' commerciale». 1.2.- Con la seconda censura, l'Avvocatura generale dello Stato lamenta che, in base agli artt. 11 e 17, comma 1, della legge Regione Marche n. 29 del 2014 (che hanno, rispettivamente, modificato gli artt. 14, comma 2, e 28, comma 2, della legge regionale n. 27 del 2009), sono condizionate al parere delle organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative a livello regionale, delle associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale, nonche' delle organizzazioni dei lavoratori del settore maggiormente rappresentative a livello regionale, le previsioni per il rilascio delle autorizzazioni (art. 11) e la definizione dei criteri e delle modalita' per l'apertura, il trasferimento e l'ampliamento di un esercizio di vendita della stampa quotidiana e periodica, anche a carattere stagionale (art. 17, comma 1). L'inclusione dell'inciso, rispettivamente, nel primo articolo, «sentite» e, nel secondo articolo, «previo parere» delle indicate organizzazioni, contrasterebbe con l'art. 14, numero 6), della citata direttiva comunitaria n. 2006/123/CE, la quale vieta «il coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in seno agli organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o ai fini dell'adozione di altre decisioni delle autorita' competenti, ad eccezione degli organismi o ordini e delle associazioni professionali o di altre organizzazioni che agiscono in qualita' di autorita' competente», e, di conseguenza, violerebbe l'art. 117, primo comma, Cost. 2.- Con memoria depositata il 27 febbraio 2015, la Regione Marche si e' costituita, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato. 2.1.1.- Con riferimento alla censura mossa nei confronti degli artt. 7, comma 1, e 8, comma 4, della legge regionale impugnata per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la difesa regionale argomenta l'inammissibilita' della questione per genericita' e assoluta carenza di motivazione. Secondo la difesa regionale, la parte ricorrente avrebbe omesso di spiegare le ragioni per le quali la definizione di "parco commerciale" (art. 7, comma 1) e il suo richiamo nel contesto di una previsione relativa ai parametri di parcheggio per realizzare strutture di vendita (art. 8, comma 4) sarebbero in contrasto con la normativa statale in materia di «tutela della concorrenza». L'unico elemento riportato dalla ricorrente, ma senza che sia messo in relazione con le norme regionali impugnate, sarebbe l'articolo 4, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo, 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale definisce i centri commerciali. Ritiene, inoltre, la Regione che il termine "parco commerciale" «rientr[i] ormai da tempo nel linguaggio comune non soltanto del settore commerciale, ma anche della giurisprudenza civile ed amministrativa» e che «[l]a differenza principale rispetto al centro commerciale, in ogni caso, rest[i] l'unitarieta' o meno della costruzione in cui sono inseriti gli esercizi commerciali». L'inclusione di tale tipologia di esercizio commerciale nell'applicazione delle disposizioni in materia di commercio in sede fissa «non rappresenta altro», secondo la Regione resistente, «che un'ulteriore tutela rivolta agli operatori commerciali ed agli stessi cittadini» e interviene nel rispetto delle finalita' perseguite dalla Regione stessa in attuazione dei principi comunitari e delle leggi statali in materia di tutela della concorrenza. La censura sarebbe comunque manifestamente infondata, non essendo il contenuto delle disposizioni censurate idoneo a incidere, sotto un qualunque aspetto, sulla tutela della concorrenza. 2.1.2.- Con riferimento alla censura avanzata nei confronti dell'art. 13 della legge regionale n. 29 del 2014 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la difesa regionale ritiene l'inammissibilita' della questione per due ordini di motivi: 1) il ricorrente sostiene l'introduzione, ad opera della disposizione regionale, di limitazioni all'esercizio dell'attivita' commerciale vietate dalla normativa statale, semplicemente richiamando l'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, ma senza indicare il contenuto di tali limitazioni, ne' quali aspetti della censurata disposizione regionale vi contrasterebbero;

2) il riferimento all'autorizzazione richiesta dalla disposizione regionale ai fini dell'apertura dei parchi commerciali, del trasferimento di sede, dell'ampliamento e della modifica del settore merceologico non e' sostenuto da alcuna spiegazione circa la sua configurabilita' quale limitazione illegittimamente posta. A tal proposito la Regione, richiamando la sentenza n. 165 del 2014, afferma che «la mera previsione da parte di una legge regionale di un'autorizzazione a carico delle strutture di vendita [...] non viola in se' e per se' la normativa statale in materia di "tutela della concorrenza", rendendosi pertanto necessaria, al fine di lamentare la suddetta violazione nel giudizio di legittimita' costituzionale, una compiuta esplicazione delle ragioni specifiche che la sorreggono». La censura sarebbe, secondo la difesa regionale, comunque manifestamente infondata, in quanto l'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, nonche' l'art. 10 della direttiva comunitaria di cui l'atto governativo e' attuazione, non vietano di per se' la previsione di un regime autorizzatorio: l'art. 31, comma 2, nel prevedere la liberta' di apertura degli esercizi commerciali, «costituisce un principio generale, come tale suscettibile di subire deroghe», purche' esse rientrino...

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