n. 38 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 marzo 2015 -

Ricorso nell'interesse della regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Nicola Vendola, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 221 del 20 febbraio 2015, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Marcello Cecchetti del Foro di Firenze (pec. marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it) e dall'avv. Vittorio Triggiani, Coordinatore dell'Avvocatura Regionale, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via Antonio Mordini n. 14, come da mandato a margine del presente atto, contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 1, commi 420, 421, 422, 423, 424 e 427 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)], pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300 (S.O. n. 99), per violazione degli articoli 3, primo comma, 81, ultimo comma, 97, secondo comma, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo, quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo, secondo, quarto e ultimo comma, della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lett. e) , e comma 2, lett. b), della legge cost. n. 1 del 2012, e degli articoli 9, comma 5, e 10, comma 1, della legge n. 243 del 2012. 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, della legge n. 190 del 2014. 1.1 - Premessa. Il comma 420 prevede una serie di divieti puntuali di spesa per le province delle regioni a statuto ordinario. In particolare, la disposizione che qui si contesta cosi' prevede: «A decorrere dal 1° gennaio 2015, alle province delle regioni a statuto ordinario e' fatto divieto: a) di ricorrere a mutui per spese non rientranti nelle funzioni concernenti la gestione dell'edilizia scolastica, la costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente, nonche' la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;

  1. di effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza;

  2. di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, anche nell'ambito di procedure di mobilita';

  3. di acquisire personale attraverso l'istituto del comando. I comandi in essere cessano alla naturale scadenza ed e' fatto divieto di proroga degli stessi;

  4. di attivare rapporti di lavoro ai sensi degli articoli 90 e 110 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. I rapporti in essere ai sensi del predetto art. 110 cessano alla naturale scadenza ed e' fatto divieto di proroga degli stessi;

  5. di instaurare rapporti di lavoro flessibile di cui all'art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni;

  6. di attribuire incarichi di studio e consulenza». Tali previsioni sono costituzionalmente illegittime, per violazione di numerosi parametri costituzionali, secondo quanto si specifichera' di seguito. 1.2. - Violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119, secondo comma, Cost. In primo luogo, deve essere evidenziato che le prescrizioni sopra richiamate violano l'autonomia legislativa regionale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», che gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., affidano alla potesta' concorrente di Stato e regioni. Cio' in quanto esorbitano dal limite dei principi fondamentali che le citate disposizioni costituzionali pongono alla competenza della legge statale nella materia de qua. Non vi e' chi non veda, infatti, come le disposizioni in esame siano di estremo dettaglio. Esse, infatti, impongono vincoli puntuali a determinate voci di spesa, in contrasto con quanto la giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha da tempo escluso che la legge statale possa fare. Sul punto, ex plurimis, si veda la sent. n. 417 del 2005, secondo cui «la previsione da parte della legge statale di limiti all'entita' di una singola voce di spesa non puo' essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perche' pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si risolve percio' «in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area [...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (in senso analogo, si veda anche la sent. n. 390 del 2004). Si consideri peraltro che le disposizioni in questione non prevedono semplicemente «vincoli» a specifiche voci di spesa (ed es., imponendo di contenerle in una determinata misura, magari individuata in una percentuale di quella inserita in bilancio nell'esercizio precedente), ma veri e propri divieti: la specificita', la puntualita' e il grado dettaglio di tali prescrizioni sono dunque al massimo possibile. Al riguardo, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha gia' provveduto a dichiarare costituzionalmente illegittime norme statali in tema di coordinamento della finanza pubblica che ponevano precetti certamente non piu' dettagliati di quelli qui in discussione, in quanto esorbitanti dalla competenza statale in materia. A mero titolo di esempio puo' essere qui richiamata la gia' ricordata sent. n. 417 del 2005, che ha accolto le questioni proposte da parte regionale nei confronti di norme statali che introducevano «puntuali vincoli» concernenti «le spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonche' le spese per l'acquisto di beni e servizi». Ebbene, tali vincoli sono stati ritenuti costituzionalmente illegittimi, ancorche' fossero imposti dalle norme allora in discussione in modo certamente piu' flessibile e meno dettagliato rispetto a cio' che avviene nel caso del comma 420 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014. Ad esempio, l'art. 1, comma 9, del d.l. n. 168 del 2004 prevedeva che la spesa «per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione» non potesse essere «superiore alla spesa annua mediamente sostenuta nel biennio 2001 e 2002, ridotta del 15 per cento», mentre i successivi commi 10 e 11 prevedevano analoghe limitazioni alle spese rispettivamente per missioni all'estero e rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, e per l'acquisto di beni e servizi. Come si vede, si trattava di prescrizioni certamente meno rigide e puntuali degli assoluti divieti su specifiche voci di spesa che in questa sede si contestano. Eppure quei vincoli sono stati dichiarati incostituzionali, nella parte in cui si rivolgevano alle regioni ed agli enti locali, in quanto non potevano considerarsi principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica» (sent n. 417 del 2005, par. 6.3 del Considerato in diritto). I vincoli posti dalle disposizioni impugnate sono dunque ben piu' puntuali e stringenti di quelli gia' dichiarati incostituzionali in precedenti sentenze. Essi pertanto devono considerarsi costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., in quanto pongono norme di estremo dettaglio nell'ambito della materia di competenza legislativa concorrente del «coordinamento della finanza pubblica». 1.3. - Violazione dell'art. 119, primo comma, Cost. Le disposizioni in questione violano altresi' l'autonomia finanziaria, sotto il profilo della spesa, riconosciuta alle province dall'art. 119, primo comma, Cost. Non vi e' chi non veda, infatti, come l'imposizione rigida di divieti puntuali di specifiche voci di spesa sia del tutto incompatibile con una qualsiasi (anche minima) autonomia di spesa. L'autonomia finanziaria, sul versante delle uscite, riconosciuta alle province dalla norma costituzionale citata, comporta infatti che a tali enti sia garantita una sfera di autodeterminazione minima intangibile in relazione alla destinazione delle proprie spese. Si tratta di un principio basilare dell'autonomia politico-amministrativa di tutti gli enti territoriali che compongono la Repubblica, tale per cui la definizione dell'indirizzo politico-amministrativo di ciascun ente e' affidato ai processi democratici di deliberazione pubblica che si svolgono nel suo ambito, ovviamente entro i limiti posti dagli altri enti - ed in particolare da quelli dotati di competenza legislativa - nel rispetto delle prescrizioni costituzionali. L'annullamento della possibilita' di autodeterminarsi in relazione alle proprie spese non rappresenta, pero', un limite all'esercizio di un'autonomia, ma la sua radicale negazione, sia pure in un settore specifico anche se di importanza strategica come quello del pubblico impiego. La normativa impugnata viola quindi l'art. 119, primo comma, Cost., in quanto da essa deriva la radicale negazione dell'autonomia finanziaria, sul versante della spesa, riconosciuta alle province da tale disposizione costituzionale e - per conseguenza - una corrispondente compressione dell'autonomia politico-amministrativa di tali enti. 1.4. - Violazione degli articoli 3, primo comma, e 81, ultimo comma, Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012 e dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012. L'odierna ricorrente e' consapevole che la riforma costituzionale del 2012 (legge cost. n. 1 del 2012), e la relativa normativa di attuazione (legge n. 243 del 2012), hanno riconosciuto allo Stato ulteriori possibilita' di disciplina di numerosi aspetti della finanza pubblica delle autonomie territoriali. Anche ove si...

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