n. 343 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 agosto 2015 -

TRIBUNALE DI LECCE Sezione del riesame Il Tribunale, riunitosi in Camera di consiglio nelle persone di: dott. Silvio M. Piccinno - Presidente;

dott. Anna Paola Capano - Giudice;

dott. Antonio Gatto - Giudice;

Ha pronunciato la seguente ordinanza nei confronti di P.A., n...., il..., sul ricorso presentato il 15 giugno 2015 avverso l'ordinanza emessa dal g.u.p, presso il Tribunale di Lecce in data 27 marzo 2015 con la quale si disponeva la misura cautelare della custodia cautelare in carcere. 1. Il giudice applicava detta misura avendo ritenuto sussistere nei confronti del ricorrente gravi indizi di colpevolezza dei delitti di cui agli artt. 74 e 73, D.P.R. n. 309/90 (capi A), A1), A2), A3) e A4)). Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso il difensore per l'annullamento dell'ordinanza. 2. All'udienza del 26 giugno 2015 il difensore chiedeva preliminarmente che il procedimento si svolgesse in pubblica udienza e sollevava questione di costituzionalita' dell'art. 309, comma 8, in relazione all''rt. 127 c.p.p. sulla base delle considerazioni che seguono: "La premessa e' rappresentata, ineludibilmente, dalle sentenze recenti della Corte costituzionale n. 97 e n. 109 del 2015, con le quali sono stati dichiarati illegittimi da un canto, (sent. n. 97), gli artt. 666 comma 3 e 678 col c.p.p. nella parte in cui non consentono che, su richiesta degli interessati, il procedimento di fronte al Tribunale di Sorveglianza, nelle materie di sua competenza, si svolga nelle forme dell'udienza pubblica e, dall'altro canto, (sent. n. 109) gli artt. 666 comma 3, 667 comma 4 e 676 c.p.p. nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l'ordinanza in materia di confisca si svolga, davanti al GE, nelle forme dell'udienza pubblica. Le due sentenze gemelle hanno aperto una breccia ormai non rimediabile verso la trattazione - sempre su richiesta delle parti interessate - dei procedimenti nelle forme dell'udienza pubblica laddove si verta in tema di diritti fondamentali della persona e che ricevono una tutela di rango costituzionale. E cosi' e' certamente nel procedimento che si celebra innanzi al Tribunale del Riesame, laddove le questioni riguardano diritti fondamentali della persona come quello della liberta' personale (misure cautelari personali) e della proprieta' (misure cautelari reali).Sicche' anche nel caso di specie le norme censurate sono in contrasto con Part. 117, col Cost. e, in via interposta, con l'art. 6 paragr. 1 C.e.d.u., nella parte in cui afferma il principio di pubblicita' dei procedimenti giudiziari;

in contrasto con l'art. 111 Cost. che impone un giusto processo, posto che il processo equo deve poter prevedere di procedere in forma pubblica, almeno nei casi in cui siano gli interessati a richiederlo. A tal proposito si richiamano gli argomenti che sono stati sviluppati nelle recenti sentenze n. 97 e n. 109, ben adattabili al caso de quo. I dati normativi in scrutinio - art. 309 comma 8 e art. 127 comma 6 c.p.p. - sono univoci nell'escludere la partecipazione del pubblico al procedimento in questione. Il comma 8 del citato art. 309 prevede, infatti, che il procedimento davanti al Tribunale del riesame si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'art. 127. La formula, in assenza di deroghe, rimanda espressamente all'art. 127 cod. proc. pen. e, comunque, espressamente al suo comma 6, in forza del quale «L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico», ossia in Camera di consiglio. Non e' revocabile in dubbio che tale regime si rivela incompatibile con la garanzia della pubblicita' dei procedimenti giudiziari, sancita dall'art. 6, paragrafo 1, della CEDU, cosi' come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, e, di conseguenza, con l'art. 117, primo comma, Cost., rispetto al quale la citata disposizione convenzionale assume una valenza integrativa, quale «norma interposta». L'art. 6, paragrafo 1, della CEDU stabilisce - per la parte conferente - che «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata [...], pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale [...]», soggiungendo, altresi', che «La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordirle pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal Tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia». La Corte europea dei diritti dell'uomo ha gia' avuto modo di ritenere in contrasto con l'indicata garanzia convenzionale taluni procedimenti giurisdizionali dei quali la legge italiana prevedeva la trattazione in forma camerale. Cio' e' avvenuto, in specie, con riguardo al procedimento applicativo delle misure di prevenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia, sulla cui scia sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro Italia;

sentenza 17 maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia;

sentenza 2 febbraio 2010, Leone contro Italia;

sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri contro Italia;

sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia) e al procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro It.). La Corte europea e' pervenuta a tale conclusione richiamando la (propria costante giurisprudenza, secondo la quale la pubblicita' delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo cosi a realizzare lo scopo dell'art. 6, paragrafo 1, della CEDU: ossia l'equo processo. Come attestano le eccezioni previste dalla seconda parte della norma, questa non impedisce, in assoluto, alle autorita' giudiziarie di derogare al principio di pubblicita' dell'udienza. La stessa Corte europea ha, d'altra parte, ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare - quale, ad esempio, il carattere «altamente tecnico» del contenzioso - possano giustificare che si faccia a meno di un'udienza pubblica, in ogni caso, tuttavia, l'udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, deve essere «strettamente imposta dalle circostanze della causa». Con particolare riguardo al procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, la Corte di Strasburgo non ha negato che detta procedura possa presentare «un elevato grado di tecnicita'» e far emergere, altresi', esigenze di protezione della vita privata di terze persone. Ma ha rilevato che l'entita' della «posta in gioco» - rappresentata (nel caso delle misure patrimoniali) dalla confisca di «beni e capitali» - e gli effetti che la procedura stessa puo' produrre sulle persone non consentono di affermare «che il controllo del pubblico» - almeno su sollecitazione del soggetto coinvolto - «non sia una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti dell'interessato». Di conseguenza, ha ritenuto «essenziale», ai fini della realizzazione della garanzia prefigurata dalla norma convenzionale, «che le persone [...] coinvolte in un procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si vedano almeno offrire la possibilita' di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d'appello» (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro It.). In termini similari la Corte europea si e' espressa con riferimento al procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione, non ravvisando, anche in tal caso, alcuna circostanza eccezionale atta a giustificare la deroga generale e assoluta al principio di pubblicita' dei giudizi, insita nella previsione della sua trattazione in forma camerale (art. 315, comma 3, in relazione all'art. 646, comma 1, cod. proc. pen.). Nell'ambito di tale procedura, infatti, i giudici interni sono chiamati essenzialmente a valutare se l'interessato abbia contribuito a provocare la sua detenzione intenzionalmente o per colpa grave: sicche' non si discute di «questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo» (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro It.). Come gia' rilevato dalla Consulta con le citate sentenze n. 93 del 2010, n. 135 del 2014 e n. 97 del 2015, la norma convenzionale, come interpretata dalla Corte europea, non contrasta con le conferenti tutele offerte dalla Costituzione (ipotesi nella quale la norma stessa rimarrebbe inidonea a integrare il parametro dell'art. 117, primo comma, Cost.), ma si pone, anzi, in sostanziale assonanza con esse. L'assenza di un esplicito richiamo, non scalfisce, infatti, il valore costituzionale del principio di pubblicita' delle udienze giudiziarie, peraltro...

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