n. 31 SENTENZA 5 ottobre 2016- 9 febbraio 2017 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 161 e 163 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Asti, nel procedimento penale a carico di T.B. ed altro, con ordinanza del 10 novembre 2015, iscritta al n. 22 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2016 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo. Ritenuto in fatto 1.- Il giudice monocratico del Tribunale ordinario di Asti, con ordinanza del 10 novembre 2015, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 21, 24, 111 e 117 della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.848 (d'ora in avanti CEDU), questione di legittimita' costituzionale degli artt. 161 e 163 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono la notifica personale dell'atto introduttivo del giudizio penale, «quantomeno» nell'ipotesi di elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio «nei termini indicati e argomentati nella parte motiva». Il giudice rimettente riferisce di procedere nei confronti di due persone imputate del reato di cui all'art. 624 del codice penale che, in data 17 aprile 2014, a seguito dell'invito formulato ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen., hanno eletto domicilio presso il difensore di ufficio nominato dalla polizia giudiziaria procedente. Dopo aver precisato che i due imputati sono stati resi edotti del processo a loro carico mediante la notificazione del decreto di citazione a giudizio per l'udienza dibattimentale del 29 maggio 2015, effettuata soltanto al difensore di ufficio, e che a tale udienza essi sono risultati assenti, il rimettente afferma di essere «quantunque "costretto" a procedere a mente dell'art. 420 bis comma 2 c.p.p. alla luce della formale elezione di domicilio avutasi» e, per tale motivo, dichiara di sollevare la questione di legittimita' costituzionale nei termini sopra indicati. Cio' premesso, dopo aver riportato il testo dell'art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen., risultante a seguito della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), il rimettente osserva come il legislatore del 2014, nell'intento di conformare la legislazione interna ai dettami della Corte europea dei diritti dell'uomo, in punto di equo processo in absentia, abbia individuato talune fattispecie normative «sintomatiche di una conoscenza procedimentale idonea a legittimare il prosieguo». In particolare, il giudice a quo sofferma l'attenzione sull'espressione contenuta nel comma 2 dell'art. 420-bis cod. proc. pen. la' dove si riferisce all'imputato «che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio». Questa espressione, ad avviso del rimettente, «si riconnette» all'art. 161, comma 1, cod. proc. pen., nel cui ambito e' possibile selezionare non solo ipotesi che non destano perplessita' (come quelle dell'elezione di domicilio presso il difensore di fiducia o della dichiarazione di domicilio seguita poi da notifica, anche non personale ma, comunque, effettuata alla stregua delle indicazioni di cui all'art. 157 cod. proc. pen.), ma anche fattispecie problematiche e frequentissime nella prassi giudiziaria che, invece, consentono il processo in absentia in condizioni «convenzionalmente "critiche"». Tra tali ipotesi problematiche vi sarebbe quella oggetto del presente dubbio di costituzionalita', costituita dalla notificazione della vocatio in iudicium effettuata soltanto al difensore di ufficio, nominato dalla polizia giudiziaria e presso cui l'indagato ha eletto domicilio. Il rimettente osserva come nella totalita' dei casi l'elezione (e la dichiarazione di domicilio) ai fini delle notificazioni ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen. sia un atto che ha luogo in un momento di gran lunga antecedente rispetto all'inizio del processo, «sovente tenuto a distanza di anni e talora dinanzi ad Autorita' Giudiziaria diversa, per le piu' svariate ragioni processuali, rispetto a quella inizialmente titolare del procedimento». Cio' nonostante, il legislatore del 2014 riconoscerebbe all'elezione di domicilio l'idoneita' a legittimare il prosieguo dell'instaurando processo, ritenendola sintomatica di una conoscenza procedimentale rilevante. Quanto alla possibilita' di letture convenzionalmente orientate, il giudice a quo afferma di non potervi procedere perche' l'espressione «che abbia eletto domicilio» e' formula generica, comprensiva di tutte le ipotesi sottostanti l'istituto dell'elezione di domicilio, con la conseguenza che il giudice non puo' che proseguire il processo a carico dell'imputato che abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio, in presenza di regolari notifiche, presso lo stesso, dell'avviso dell'udienza. In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente effettua un preliminare apprezzamento sul piano della ragionevolezza ex art. 3 Cost., evidenziando come l'art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen. accomuni fattispecie tra loro assai diverse, in quanto alcune integrano ipotesi di conoscenza personale e diretta dell'avviso dell'udienza, mentre altre, come...

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